Galeotto fu l’incontro di calcio. Costretto in casa per quattro mesi, a causa di un infortunio durante una partita, Fabio Rota, pittore emiliano classe 1976, incontra la fotografia per saziare la sua fame di creatività, messa a dura prova dalla sosta forzata. Nasce così un progetto selezionato come finalista della sezione astratto del Sony World Photography Awards del 2008 a Cannes. Da quel momento, pittura e fotografia si uniscono nella sua ricerca artistica che, mi spiega, «è incentrata sul cercare di far coesistere due linguaggi differenti sullo stesso piano. Di enfatizzare l’aspetto oggettivo (fotografia) allo stesso modo di quello soggettivo (pittura)».
Nicola Maggi: Da questo nuovo equilibrio nascono opere fortemente meditative, in cui sembra dominare il silenzio…
Fabio Rota: «La scelta dei soggetti delle mie opere parte quasi sempre da uno scatto fotografico, realizzato in situazioni di solitudine, di nebbia. Si tratta sopratutto di posti e momenti in cui la presenza umana è nulla, ma è testimoniata dalle caratteristiche dei luoghi, dalla presenza di elementi che ricordano il suo passaggio. Affiora, così, la memoria della presenza dell’uomo, che ha modificato o alterato il paesaggio rendendolo custode di elementi o presenze che raccontano e testimoniano storie e situazioni vissute. Una realtà che adesso funziona da sola e non ha più bisogno dell’uomo. Sono queste le situazioni che cerco, da dove nasce la mia fotografia. Situazioni che sono complete al 90% e che integro con il mio passato, le mie esperienze e il mio modo di vedere il mondo».
N.M.: Un mondo in cui è anche molto forte l’aspetto identitario, a cui si lega anche la scelta dei materiali che usi per realizzare i tuoi lavori…
F.R.: «E’ vero. Tutti i materiali che impiego per fare le mie opere appartengono al mio territorio (tele di lino usate nei caseifici, ad esempio) o sono materiali di scarto legati al tema dell’ecologia e della salvaguardia dell’ambiente (carta riciclata, stracci e stoffe di scarto). Tutto ciò per caratterizzare ancora di più l’appartenenza alla terra e a Madre Natura. Unica direzione, questa, dove credo che l’umanità possa andare in futuro per raggiungere una salvezza».
N.M.: Tra i tuoi ultimi lavori c’è anche un progetto particolare, in cui alla pittura e alla fotografia si unisce anche la musica: Musicraiser. Ce ne parli?
F.B.: «Sono uno che ha bisogno di mezzi espressivi diversi. Dopo aver unito la pittura e la fotografia ho sentito il bisogno di usare un mezzo espressivo ancora più veloce di quello che avevo usato fino a quel momento. Molto probabilmente perché sono in evoluzione. E così da tre anni sto lavorando con la musica che, in Musicraiser, si unisce a pittura e fotografia. Si tratta di un progetto dove 9 canzoni – scritte e cantate da me – corrispondono a 9 opere pittoriche e fotografiche. Due metà che si completano a vicenda, dando vita ad un’opera unica. Al momento sono ancora alla ricerca del luogo adatto dove presentarlo».
N.M.: Oltre a Musicraiser, cosa ci riservi per il futuro?
F.B.: «Come formazione artistica vengo dalla scuola di nudo e in questo momento sto cercando di unire la carnalità del corpo femminile con il paesaggio che, spesso, contiene una forte carica di erotismo».