Genova, Salita della Tosse. E’ qui che, nel 1998, inizia la storia della Casa d’Aste Cambi di Genova che oggi è ai vertici del mercato italiano delle aste con un giro d’affari che, negli ultimi anni, si è letteralemnte triplicato. Sembra ieri, infatti, che la casa genovese annunciava di aver superato, per la prima volta, i 10 milioni di fatturato annuo. Correva l’anno 2010 e oggi, quel fatturato, non scende mai sotto i 26 milioni, con un record personale di oltre 35 stabilito nel 2017.
Un successo, quello di Cambi, in cui il Dipartimento di Arte Moderna e Contemporanea ricopre un ruolo fondamentale. Aperto nel 2008, infatti, in 10 anni è arrivato a pesare per il 20% del fatturato aziendale, chiudendo il 2018 con un aggiudicato totale di 5.880.000 euro, il più alto di sempre, e portando a casa un +78% rispetto allo scorso anno. Oltre a record importanti come quelli di Antonio Donghi e Cagnaccio di San Pietro. Per saperne di più abbiamo scambiato qualche battuta con Daniele Palazzoli che oggi guida, assieme a Michela Scotti, il Dipartimento.
Nicola Maggi: Il 2018 per il vostro dipartimento è stato un anno storico, a coronamento, peraltro, di un periodo di grande successo per Cambi che ha da poco compiuto 20 anni di attività…
Daniele Palazzoli: «Ovviamente non posso che essere soddisfatto dei risultati ottenuti dal dipartimento di moderno e contemporaneo nel 2018. Entrambe le aste da noi proposte hanno sfiorato i 3 milioni di euro di fatturato e questo ci piazza ai primissimi posti in Italia nel settore, contribuendo, con un ruolo di primo piano, agli esiti della casa d’aste, che è attiva dal 1998 e negli ultimi cinque anni ha moltiplicato il suo giro d’affari (con sedi a Milano, Genova, Torino e Roma) con il fatturato record di 35 milioni di Euro di venduto ottenuto nel 2017. Lo stesso anno in cui la nostra Casa ha stabilito anche il record per l’opera più cara mai venduta in asta in Italia: la straordinaria statua in bronzo dorato Zanabazar del XVII secolo venduta per 4.7 milioni di euro dal dipartimento di arte orientale capitanato da Dario Mottola».
N.M.: Fondamentale, per il vostro lavoro, è certamente la fiducia dei collezionisti che vi devono affidare le proprie opere oltre che acquistarle. Come si costruiscono rapporti duraturi nel settore delle aste?
D.P.: «I rapporti duraturi si creano con la serietà, ma non basta. Se una casa d’aste riesce ad arrivare così in alto è perchè nel tempo ha dimostrato, con i fatti, al collezionista che le affida la sua opera o la sua intera collezione, di tenerci a quello che fa. Che per il suo staff è una battaglia da vincere ottenere il risultato migliore rispetto alla concorrenza. A noi piace coinvolgere il prestatore nel nostro piano strategico, spiegargli passo passo il nostro modo di lavorare: dalla ricerca delle pubblicazioni, fondamentali per rendere il più appetibile possibile un’opera d’arte, alla campagna pubblicitaria che intendiamo fare. Vogliamo che sappia tutto, in modo che possa toccare con mano il fatto che manteniamo le promesse. Nel lungo periodo questo paga più di qualsiasi altra cosa. E anche per l’acquisto funziona così. Il possibile compratore non sempre si muove in autonomia, ma ha il desiderio di essere supportato nella decisione e quando tu dai buoni consigli, disinteressati e motivati, in quel momento ti sei fatto un cliente a vita, con cui spesso nasce anche un rapporto di amicizia. E quando vorrà vendere si rivolgerà a te».
N.M.: I cataloghi italiani sono sempre stati molto abbondanti. Ultimamente, invece, si assiste ad un tentativo di maggior selezione e anche di maggior attenzione alla documentazione che accompagna le opere… come sta cambiando il mercato italiano?
D.P.: «Il mercato dell’arte in generale, e quindi non solo quello italiano, è da sempre soggetto a cambiamenti e fluttuazioni. Con l’avvento di internet il nostro non è più un settore di nicchia, poiché la reperibilità di un’opera d’arte e la tracciabilità delle vendite in asta sono davvero a portata di un “click” e questo ha fatto sì che il collezionismo sia profondamente cambiato. In molti casi il collezionista è diventato, prima di tutto, un investitore estremamente attento ai passaggi in asta e alle vendite in galleria di ciò che gli interessa e, secondo questa logica, chi si vuole distinguere deve stare attento ai dettagli. La stima è solo la punta dell’iceberg, la cosa più importante è redarre una schedatura dell’opera la più accurata possibile, in modo che il potenziale acquirente abbia i mezzi necessari per capire, nella maniera più indiscutibile, la correttezza della nostra valutazione. Una schedatura ampia e precisa è anche sinonimo di professionalità ed è questo che, in un parco di scelta così vasto, porta sia chi deve vendere sia chi vuole comprare a scegliere te piuttosto che la concorrenza».
N.M.: Quali sono gli artisti, le correnti e i movimenti più ricercati dai collezionisti di arte moderna e contemporanea?
D.P.: «Il collezionista, rifacendomi a quanto dicevo prima, è avido di conoscenza e in tal senso direi che la domanda che si crea su un artista è sempre più determinata da quanto gli esperti più influenti nel settore (gallerie, case d’asta, riviste, siti specializzati) ne parlano e da quanto e come lo propongono. Se, ad esempio, assistiamo ad un aumento importante, a parità di datazione, dimensione e qualità, del valore di aggiudicazione di un’opera dello stesso autore in un’asta importante, è quasi sicuro che ciò ne aumenterà notevolmente la domanda e, di conseguenza, ne diminuirà l’offerta a prezzi in linea con l’aggiudicazione precedente a quella che ha destato interesse. Detto questo, ovviamente, non esiste solo il mercato di ciò di cui si sente parlare entusiasticamente e che fa record d’asta, ci mancherebbe. Vi sono autori che raramente conoscono crisi e che vengono considerati da sempre capiscuola. Mi riferisco a Lucio Fontana, Alberto Burri e Piero Manzoni, tanto per citare le avanguardie del secondo dopo guerra. Oppure Giorgio Morandi, Giorgio De Chirico, Giacomo Balla e Umberto Boccioni se pensiamo al primo Novecento.
Questo se restiamo al panorama italiano. Sui movimenti ci sarebbe molto da dire, è evidente che un artista come Lucio Fontana spinga il collezionista a informarsi non solo su di lui, ma anche sullo Spazialismo in generale, con una conseguente crescita di interesse, lenta ma graduale, anche per altri artisti che ne hanno fatto parte. Così come è normale che ricomincino ad avere ottimi risultati movimenti o artisti che hanno profondamente inciso la storia dell’arte, con il loro curriculum espositivo importante o con la scarsa reperibilità dei loro lavori. La qualità (e la rarità) prima o poi viene sempre riconosciuta, perciò non c’è da stupirsi che stia avendo così tanto successo il figurativo storico italiano e in particolare il Realismo Magico di cui noi possiamo vantarci di detenere due record mondiali per vendite in un’asta: mi riferisco a quelli ottenuti da Antonio Donghi (212.500 Euro) e Cagnaccio di San Pietro (162.500 Euro) nella nostra ultima del 4 dicembre 2018».
N.M.: Nel mondo si parla sempre più spesso dei Millennials e del loro ruolo sul mercato. E’ in atto anche da noi un ricambio generazionale sul fronte del collezionismo? Se sì, come sta influenzando le vostre strategie?
D.P.: «A mio parere sicuramente i Millenials avranno un ruolo sempre più importante nel mondo fluido del mercato dell’arte. Questo sicuramente porterà a un ricambio generazionale sul fronte del collezionismo e quindi anche sul modo di proporre un’opera d’arte. Già ora noi siamo sempre più attenti alla promozione di una vendita utilizzando il web ed investiamo sempre di più in tecnologia per aumentare costantemente la visibilità non solo della nostra casa d’aste, ma anche di ogni singola opera attraverso la rete e implementando la funzionalità del nostro sito. Fondamentale è anche essere presenti sui social, ma non trascuriamo di certo i metodi classici di comunicazione; siamo sempre presenti su tutti i più importanti quotidiani e le più importanti riviste del settore, poiché vi è ancora un enorme numero di collezionisti accorti che preferiscono i “vecchi” mezzi di comunicazione. Direi che la strategia si decide anche in base alle opere in vendita. Donghi e Cagnaccio, ad esempio, sono molto più apprezzati dal collezionista più maturo e quindi devono essere veicolati in un modo diverso rispetto ad artisti molto più recenti e più appetibili per i Millenials».
N.M.: E’ possibile fare un identikit del cliente tipo di Cambi? Età, professione, gusti…
D.P.: «La nostra abilità è proprio quella di arrivare un po’ a tutti. L’avvento dei Millenials e delle nuove forme di promozione obbliga ad essere al passo coi tempi, ma bisogna andare oltre se si vuole primeggiare. Ogni singola opera ha un suo target, e quindi va mostrata e valorizzata inquadrandola e gestendola in maniera singola e differenziata rispetto a un’altra. Se, ad esempio, sappiamo di avere un quadro molto importante per il mercato dell’Europa orientale è lì che andremo a concentrare le nostre forze. Ricercando e contattando, anche telefonicamente, eventuali compratori individuati in quella zona attraverso le nostre conoscenze professionali e tecnologiche. Per tentare di rispondere alla domanda, comunque, direi che il nostro collezionista tipo è quello che prevalentemente cerca di comprare esclusivamente da noi, perchè conosce le nostre dinamiche burocratiche e commerciali, si fida e si affida. Collezionisti, ma anche professionisti del settore dai quarant’anni in su. Un pubblico colto: notai, architetti e avvocati, ma anche i galleristi fra i più importanti in Italia e all’estero».
N.M.: Le vostre ultime aste hanno avuto un’ottima partecipazione internazionale. Che percentuale vendete all’estero e che ruolo ha l’online nel vostro successo?
D.P.: «Tutti i nostri dipartimenti sono seguitissimi all’estero. Pensando al 2018, abbiamo aggiudicato all’estero, su 8458 lotti, il 50% di essi. In 55 Nazioni e in 5 Continenti. Prevalentemente negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Cina. Va da sé che l’online e la sua fruibilità diventa fondamentale con una percentuale così alta di venduti fuori dal nostro Paese. Il cliente utilizza l’online per piazzare offerte in tempo reale, seguire l’asta, chiedere informazioni e controllare lo stato di conservazione dell’opera dato che in molti casi non gli sarà possibile vederla dal vero prima dell’acquisto».
N.M.: La situazione economico-politica, sia a livello nazionale che internazionale, è piuttusto confusa. Quali sono state le principali difficoltà che avete incontrato nel 2018?
D.P.: «La globalizzazione ha portato ad un’estrema interconnessione fra le varie opzioni di investimento, di cui fa parte anche il mercato dell’arte. In una situazione economico-politica incerta, di conseguenza, anche il valore delle opere d’arte e le relative aggiudicazioni sono soggette a variazioni dettate dall’andamento dei macro-sistemi. La confusione, in un certo senso, però porta anche all’ordine, nel senso che l’acquisto diventa sempre più selettivo, spazzando via i “non valori”, ossia le mode. Fondamentale nel 2018 è stato, quindi, riuscire ad organizzare delle aste/mostre mettendo in luce opere che fossero il più possibile appetibili in quanto ricercate, rare, importanti e documentate; questo da un punto di vista commerciale. Poi ovviamente è ancora più determinante essere sempre al corrente dei continui cambiamenti burocratici e fiscali che riguardano le vendite e gli acquisti, in modo da gestire perfettamente, ad esempio, i trasporti all’estero e i fogli che devono accompagnare le opere in viaggio e fare in modo che sia l’acquirente che il venditore siano tutelati e seguiti al meglio».
N.M.: Nelle vostre previsioni, invece, come sarà il 2019?
D.P.: «Il 2019 è e sarà incentrato su quella che è la nostra nuova realtà. L’incremento del fatturato e l’aumento di clienti all’estero ci ha portato nel 2018 ad aprire nuovi dipartimenti, quale quello di fotografia e quello di fumetti e manifesti. Quest’anno ci aspettiamo di raccoglierne i frutti. Per quanto riguarda il nostro dipartimento di moderno e contemporaneo restiamo coi piedi per terra, ma l’obiettivo è quello di ripetere i numeri dell’anno scorso ed essere ancora di più il punto di riferimento per il figurativo di qualità, che sta finalmente vivendo un periodo di seconda giovinezza».
N.M.: Infine una domanda personale. Tu vieni dal mondo delle gallerie. Un mondo apparentemnte lontano da quello delle aste. Come è stato questo cambiamento professionale?
D.P.: «Questa è la domanda che mi piace più di tutte e sulla quale potrei soffermarmi per ore e ore, ma vedrò di essere sintetico. Il mercato delle aste mi ha da sempre affascinato. Sin dai tempi della Galleria Blu ero costantemente aggiornato sugli esiti delle vendite pubbliche. Facendo questo lavoro da più di vent’anni ho vissuto sulla mia pelle i cambiamenti del mercato, delle leggi, della burocrazia e questo è importantissimo per assistere sia il venditore che il compratore, per aiutarlo a districarsi. Una volta se non eri abbonato ai cataloghi di ogni singola casa d’aste risultava quasi impossibile sapere chi vendeva cosa e dove. Ricordo i fax che si mandavano per avere i risultati e l’attesa per averne risposta. Sì, aste e gallerie sono due mondi lontani, ma solo all’apparenza. Confrontarmi con questa realtà è sempre stata una sfida che prima o poi avrei voluto affrontare. Io amo le sfide e con questa nuova avventura lavorativa volevo trovare un punto di unione fra due realtà che sono diametralmente opposte solo come percezione. Dipende come un’asta viene gestita.
Quando ho scelto di entrare in questo settore la prima cosa da decidere era con quale casa d’aste collaborare. Per me la prima cosa che conta è la qualità delle relazioni interpersonali e per lavorare bene mi occorre che l’ambiente lavorativo sia il massimo anche dal punto di vista umano. Voglio avere sempre la possibilità di confrontarmi, essere criticato, criticare e crescere insieme. Conoscevo già da anni Matteo Cambi e Michela Scotti, che stimo e affianco da quando sono arrivato. E nella mia decisione ha contato molto anche il sapere che il poter aggiungere le mie qualità e la mia esperienza di gallerista al brillante lavoro fatto da Michela, avrebbe fatto la differenza e avrebbe ampliato esponenzialmente la portata dei nostri risultati. Io credo che il mio contributo più importante sia stato, oltre al bagaglio di amici collezionisti che da sempre mi seguono e che a me si affidano, anche la voglia spasmodica di rendere l’asta un percorso culturale in cui guidare il fruitore».
N.M.: Qual è per te il momento più importante nella costruzione dell’asta…
D.P.: «Sicuramente quello dell’impaginazione del catalogo che per me, Michela e per la nostra assistente Alice Gregotti – insostituibile per velocità e pazienza nell’assecondarci e nel proporci nuovi punti di vista – rappresenta la sintesi, il momento in cui vogliamo che tutto abbia un senso, come nelle pagine di un libro. Studiamo il punto di partenza e il punto di arrivo, in modo che chi consulta il catalogo, sia in forma cartacea che online, ne esca soddisfatto non solo per la qualità dei lotti, ma anche per il senso che abbiamo dato alla loro lettura. In questo, i brevi testi critici su alcuni gruppi o movimenti, che spesso accompagnano “il viaggio” attraverso le opere in catalogo, vogliono essere un momento di riflessione che spieghi perchè quel gruppo o quel movimento siano da tenere in considerazione. Insomma fare mercato deve essere obbligatoriamente anche fare cultura: l’asta per distinguersi deve essere un’esposizione come avviene in galleria. Con una ricerca e una logica che vadano oltre il mero aspetto commerciale».