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Il Generale e il ministro d’Indocina

del

“Alla mia destra, ho e avrò sempre André Malraux. Con la presenza al mio fianco di questo geniale amico, so che in ogni discussione, quando il tema è serio, il suo giudizio folgorante mi aiuterà a dissipare i dubbi.”

Ci deve essere una legge fisica per cui due uomini fuori dall’ordinario si attraggono.

È il caso del generale Charles De Gaulle, autore delle parole in apertura, e di André Malraux.

Il generale che si fece politico e lo scrittore che si fece ministro. E non ministro degli interni o del tesoro – istituzioni consolidate nelle gerarchie di uno stato moderno -, ma ministro della cultura, una fattispecie allora del tutto nuova, praticamente da lui inventata, con cui primeggiare all’interno del governo.

Perché in Francia, evidentemente, les affaires culturelles sono una questione vitale per la nazione, al pari delle finanze e dell’ordine pubblico.

Un breve riepilogo di storia non guasterà. Il 14 giugno del 1940, le truppe tedesche occupano Parigi. Il generale De Gaulle è sottosegretario alla difesa, sostenitore della linea contraria all’armistizio, a differenza del governo, che firma quell’armistizio e si sposta a Vichy.

De Gaulle ripara in Inghilterra. Il 18 giugno, con una celebre prolusione trasmessa sulle frequenze della BBC, chiama la Francia insoumise alla resistenza.

Militare brillante, eroe della Grande Guerra, De Gaulle aveva speso i vent’anni di pace a meditare sul ruolo della Francia nella Storia, formulando un’idea senza compromessi: la Francia è grandeur.

Su binari diversi corre la vita di André Malraux. Scrittore senza diploma superiore, giornalista, filosofo. Personaggio dalla biografia fumosa, secondo alcuni tendente alla mitomania. Sin dall’infanzia, affetto da sindrome di Tourette.

Intellettuale indipendente, ispirato tanto dalle idee surrealiste e patafisiche quanto dal consumo di oppiacei, è figlio di un’epoca turbata dallo spettro rivoluzionario che si aggira per il mondo. È uomo desideroso d’azione.

Negli anni Venti, è in Indocina a rivendere sul mercato antiquario pezzi d’archeologia. A Shanghai, è molto prossimo ai rivoluzionari comunisti che tentano la presa di potere contro i loro stessi alleati nazionalisti del Kuomintang. Frutto di questa esperienza particolare, è un romanzo dai valori universali, La condition humaine:

“L’umanità era densa e pesante, pesante di carne, di sangue, di sofferenza, eternamente legata a se stessa come tutto ciò che muore; ma anche il sangue, anche la carne, anche il dolore, anche la morte si dissolvevano lassù nella luce come la musica nella notte silenziosa”.

Dall’Africa alla Spagna, dove assiste alla guerra civile dal lato repubblicano, poi torna in Francia e risponde presente all’appello patriottico di De Gaulle.

Rimane vicino al generale anche quando questi si ritira a vita privata, attraversando il deserto per dieci anni, prima di essere richiamato a furor di popolo a risollevare le sorti di una nazione in caduta libera.

Nasce una nuova repubblica, la cosiddetta Cinquième, di cui De Gaulle è il primo presidente eletto. Una monarchie républicaine, come viene definita dai critici, un presidenzialismo forte che permette alla Francia di svincolarsi da ogni forma di sudditanza dai due blocchi di Yalta e di intraprendere una propria terza via.

Per André Malraux, si profila un compito eccezionale: organizzare un ministero del tutto nuovo, chargé des affaires culturelles, come visto sopra.

Malraux aveva sviluppato una teoria del tutto personale di cultura. Facendo proprie alcune idee dello gnosticismo cristiano arcaico, vedeva l’arte come universale manifestazione dell’uomo lungo il suo cammino di liberazione. Dalle grotte di Lascaux ai templi buddisti del Laos, passando per le pale bizantine e le sculture romaniche, tutto è un unico afflato.

Recependo il potenziale dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità, nel 1947 pubblica la prima edizione di un caposaldo della cultura francese, Le Musée Imaginaire, un volume in cui i suoi commenti sull’arte, dai toni ispirati, sono affiancati da una raccolta di fotografia di opere disparatissime. Un catalogo definitivo della storia dell’arte universale.

“Un crocifisso romanico non era al suo nascere una scultura, la Madonna di Cimabue non era da principio un quadro, persino la Pallade Atena non era inizialmente una statua. I musei hanno tanta parte nella nostra relazione con le opere d’arte, che stentiamo a pensare che non ne esistano, non ne siano mai esistiti là dove si ignora o si ignorò la civiltà dell’Europa moderna; e che da noi ne esistano da meno di due secoli.

[…]

Oggi, uno studioso dispone della riproduzione a colori della maggior parte delle opere magistrali, scopre numerose pitture secondarie, le arti arcaiche, la scultura indiana, cinese e precolombiana dell’antichità, parte dell’arte bizantina, gli affreschi romanici, molte arti selvagge e popolari. S’è aperto infatti un museo immaginario, che spingerà all’estremo l’incompleto confronto imposto dai veri musei: rispondendo all’appello di questi, le arti figurative hanno inventato la loro stamperia”.[1]

Quando un uomo con idee del genere viene nominato ministro della cultura del paese che ha sancito, nel 1789, i droits de l’homme et du citoyen, la speranza di stabilire una terza via culturale sorge nei cuori di chi non si ritrova nei modelli delle imperiose culture americana e sovietica.

Difficile stabilire se Malraux sia in effetti riuscito in questo o meno. Certo è che, sotto la sua egida, la Francia si è lanciata in operazioni culturali epiche ed epocali. Come quando i due capisaldi del Louvre, Gioconda e Venere di Milo, vengono spediti, nel 1963, rispettivamente in mostra al Metropolitan di New York e a Tokyo come ambasceria ai giochi olimpici estivi dell’anno successivo.

Se, con la raggiunta deterrenza nucleare, De Gaulle aveva reso la Francia una potenza politica e militare, con le sue operazioni Malraux la rende una superpotenza culturale.

Il decennio di De Gaulle e Malraux si conclude informalmente nel maggio del Sessantotto. Quando il generale replica secco agli slogan di studenti e manifestanti che la ricreazione è finita, forse intimamente intuisce che in realtà sia finita la sua epoca.

Si dimette da presidente l’anno successivo, dopo la sconfitta in un referendum da lui fortemente voluto. Finisce, così, anche il tempo di Malraux, che non accetta più incarichi ministeriali e si ritira a vita privata. Oppio e alcool gli presentano un conto salatissimo.

Quando muore, nel 1976, in Italia un ministero analogo a quello francese esiste da appena due anni. È stato istituito nel 1974, per volontà di Giovanni Spadolini, col nome di Ministero per i beni culturali e ambientali.

Dopo un certo andirivieni di nomi e competenze, la denominazione adottata dal 2021 è quella di Ministero della Cultura, in perfetta omonimia con quello francese, il Ministère de la Culture. Forse che sia lo spettro della rivoluzione culturale di André Malraux, il ministro della cultura par excellence, ad aggirarsi per l’Europa?


[1] Traduzione estrapolata dalla versione comparsa in Il museo dei musei. Le voci del silenzio, Aesthetica, 2023.

Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.

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