Per il progetto Prospettive, curato da Giulia Tosetti, lo scorso 25 settembre si è svolto da Tosetti Value, a Torino, un incontro di approfondimento legato alla mostra personale di Mishka Henner. L’incontro ha visto coinvolte in un dialogo molto interessante e proficuo, personalità tra loro anche molto diverse.
Un geografo come Franco Farinelli, docente presso l’Università degli Studi di Bologna, un manager di Google Italia, Fabio Vaccaronno, un imprenditore di successo come Alberto Baban, di VeNetWork, e lo stesso Dario Tosetti, CEO di Tosetti Value. Accanto a loro, a presentare la mostra, lo stesso artista, Mishka Henner, e Walter Guadagnini, direttore di Camera, che ha collaborato alla realizzazione della mostra insieme con Galleria Bianconi di Milano.
Lo scopo dell’evento, anzi degli eventi che fanno e faranno parte del progetto, è indagare le relazioni e i contatti che intercorrono tra mondo dell’arte e della cultura, con l’economia. La domanda è, in sostanza, se questi due mondi possono collaborare tra loro, influenzandosi a vicenda in una sorta di circolo virtuoso di vicendevole approfondimento e arricchimento.
Mishka Henner, classe 1976, è un fotografo molto particolare. Ma, più che al mondo della fotografia in senso stretto, il suo lavoro si ispira, come sostiene lo stesso artista, al ready made duchampiano e, per la ricerca di una prospettiva piatta e ribaltata, persino al cubismo. Di fatto Henner non scatta alcuna foto: il suo lavoro consiste piuttosto nel selezionare, scegliere e inquadrare immagini tratte da Google Earth. In particolare, le immagini da lui scelte riguardano allevamenti, industrie petrolifere e altre realtà industriali.
Le immagini che ne risultano hanno due caratteristiche evidenti, che saltano all’occhio fin dal primo sguardo. In primo luogo, sembrano quadri astratti. Le forme e le figure ritratte dalle foto scattate dal satellite di Google, finiscono infatti per somigliare a dipinti informali. Niente di più falso, però, anzi. Le immagini sono, infatti, quanto di più reale. Il secondo aspetto evidente è, poi, che le immagini appaiono come straordinariamente appiattite. In modo sottilmente inquietante, il paesaggio sembra divenuto piatto e, come notava Guadagnini nell’introduzione alla mostra, privo di orizzonte.
In queste immagini il mondo, dunque, appare finito, limitato, trasformato in un drammatico hortus conclusus di cui temiamo di sentirci quasi più prigionieri che abitanti. L’incontro è stato interessante poiché, nella discussione, è emerso come diversi punti di vista possono incontrarsi e lasciarsi interrogare dall’opera d’arte, per trovare nuovi stimoli e spunti di riflessione.
Se lo sguardo dell’imprenditore, allora, rileva nelle opere di Henner, ad esempio, la presenza sul territorio americano di allevamenti di mucche e industrie petrolifere, e dunque, traendone le conseguenze dal punto di vista geopolitico, osserva come possa nascere e aver luogo l’attuale tendenza americana a un’economia più chiusa, che ambisce all’autosufficienza, dal punto di vista del critico e del filosofo, lo sguardo si sposta su altri aspetti. E nota così come, dove per Kant la visione del mondo nella sua totalità era un’idea regolativa della ragione, qualcosa a cui avvicinarsi asintoticamente, ma che non poteva mai essere colta dall’intelletto, oggi Google Earth sembra voler valicare quei confini, metaforiche colonne d’Ercole tracciate dal filosofo tedesco.
Ma è proprio così? Oppure stiamo ancora una volta, come voleva Bateson, confondendo la mappa con il territorio, o, peggio ancora, con uno slittamento concettuale non indifferente dal punto di vista esistenziale, il web con la realtà?
Ciò che è interessante, da questo punto di vista, non è dunque tanto l’idea di conquistare una visione totale e completa del mondo, trasformandolo in un’immagine priva di profondità, quanto di cogliere la sfida che queste immagini ci pongono. Magari per cambiare prospettiva e cercare di fare nostra, per quanto possibile, una visione d’insieme che ci consenta di comprendere meglio e in modo più approfondito il modo in cui viviamo, ci muoviamo, ci relazioniamo gli uni con gli altri e sfruttiamo le risorse del pianeta.
Una visione d’insieme, dunque, che tenga conto di tante diverse, innumerevoli voci. Quelle che abitano le immagini del satellite, così come quelle del mondo dell’arte, della cultura e dell’economia. Perché ne possa nascere un dialogo produttivo e fruttuoso per tutti.