Era una persona estremamente riservata; una caratteristica, questa, non rara nelle grandi personalità di tutti i tempi. Eppure, al di là del suo carattere introverso, amava circondarsi di colori e suoni e, soprattutto, di quegli innumerevoli omini stilizzati che danno alla sua arte uno stile inconfondibile; da sempre.
Lui è Keith Haring, l’artista americano diventato famoso non solo come uno dei più grandi esponenti della Street Art mondiale, ma anche per aver reso il linguaggio dell’arte accessibile a tutti, a partire dai più piccoli, con cui amava trascorrere le sue giornate insegnando loro a creare e a colorare una realtà con la quale non sempre è facile convivere, ma che puoi affrontare da un altro punto di vista, facendo appassionare gli altri a ciò che ami fare tu, nel tentativo di mantenere sempre vivo l’entusiasmo e la speranza in un domani migliore.
Haring era un uomo molto impegnato nel sociale; un artista poliedrico che, attraverso le sue opere, ha sempre trasmesso messaggi molto forti, servendosi spesso di ironia e sarcasmo, senza avvalersi d’altri mezzi se non della volontà di uscire dalla tela, per invadere le strade ed abbattere le barriere d’un mercato dell’arte che a lungo andare rischiava d’ingabbiare la creatività, finendo per ridurre l’opera finale ad un mero prodotto di consumo.
Un artista che amava Napoli e che, da essa, era ed è tuttora amato. Non è un caso, infatti, che il capoluogo campano ha voluto omaggiarlo ospitando Keith ed i suoi Radiant babies nel cuore del settecentesco Palazzo Roccella, all’interno degli spazi espositivi del PAN di via dei Mille.
Si intitola Dalla Napoli di Keith Haring ai giorni nostri l’esposizione che, dallo scorso 2 dicembre e fino al 28 febbraio 2022, accoglierà diversi capolavori di Keith Haring, ma anche opere perfettamente in sintonia con la Napoli della Street Art e della cultura Pop dagli anni ‘80 ai giorni nostri.
Roxy in the box, Luciano Ferrara e Trallallà arricchiscono una mostra senza precedenti, che vuole rendere omaggio al movimento che, grazie all’arrivo sul territorio napoletano di artisti internazionali, trovò, un tempo non molto lontano, forte espressione nella città.
L’idea prende vita dall’intuizione del curatore Andrea Ingenito, il quale, dopo aver visionato gli scatti inediti del celebre fotografo Luciano Ferrara, particolarmente attivo in quegli anni, ha pensato di creare un percorso unitario che iniziasse dalla Napoli del dopo terremoto, centro artistico per eccellenza, fino alla città odierna, che vive un continuo e costante fermento sociale e culturale.
Sono oltre 100 i capolavori esposti in mostra, a partire da diverse opere di Haring (tra cui il celebre Randi 88 – inchiostro sumi su carta -, la serie completa White Icons, il Radiant Baby, una cartolina/invito interamente scritta e disegnata a mano dall’artista); le 30 litografie in bianco e nero realizzate per il catalogo della mostra di Lucio Amelio, provenienti da importanti collezioni private, ed inoltre una sala completamente dedicata agli scatti di Luciano Ferrara, che sono un ricco documento visivo del fermento artistico della Napoli di oltre 40 anni fa.
Un racconto fatto di luci, suoni, immagini ed emozioni, che prosegue con due artisti figli di quell’epoca straordinaria. All’interno di questo filone narrativo, infatti, si inseriscono perfettamente le creazioni della pop artist napoletana Roxy in the Box (all’anagrafe Rosaria Bosso), artista eclettica che racconta la sua città con occhio critico e sempre vigile, con l’intento di scoprire gli infiniti volti d’una metropoli popolare fatta, contemporaneamente, di Mostri e bella gente, ed inoltre di Santi protettori in formato maxi (tra i capolavori presenti in mostra, spettacolari i ritratti di San Gennaro e Santa Patrizia, i suoi Martiri da bere in chiave Pop, oppure le monumentali Madonne del 1999, La Madonna Addulurata e La Madonna Mmaculata).
Roxy si spinge ben oltre la Pop Art stessa, e lo fa ponendo la propria attenzione sull’individuo con i suoi turbamenti, la sua sofferenza e la sua solitudine. Il colore, come afferma lei stessa, le serve proprio per vestire il suo nero. Questo è il messaggio universale, che parte dal suo box ed arriva outside the box; dal buio alla luce.
L’esposizione dà la possibilità di vedere anche opere dello street artist napoletano Trallallà, che omaggia il capoluogo partenopeo attraverso l’ormai famosissima immagine della procace Sirena “Ciaciona”, simbolo di una città ricca di bellezza, cultura ed abbondanza, nella quale tutti, indistintamente, trovano accoglienza ed ospitalità. Basta passeggiare nei vicoli del centro storico per trovare queste ammiccanti figure femminili ovunque: sui muri, sulle saracinesche dei negozi e sulle superfici più disparate, in special modo quelle segnate dallo scorrere del tempo, quasi a voler dar loro una seconda vita, che ha le sembianze serene d’una rinascita.
Alfonso de Angelis (nome d’arte di Trallallà, ndr.) ama condividere le sue creazioni con la gente e fra la gente; proprio come Keith Haring, la cui opera continua ad ispirare artisti di tutto il mondo, e che a Napoli è custodita come un tesoro prezioso. Un’eredità lasciata da un generoso artista americano, scomparso a soli 31 anni a causa di un brutto virus: l’HIV. Un nemico che non gli ha dato scampo, ma ch’egli ha cercato di combattere fino alla fine.