La casa del collezionista è un progetto sartoriale. Cucito su misura tra architetture rigorose, boiserie che nascondono porte e pareti tone sur tone. Una scala di grigi in armonia con l’involucro esterno, composto da blocchi di cemento, interrotto da grandi vetrate luminose a scandirne il rigore e il razionalismo. Tailor made sono anche gli abiti realizzati dalla storica sartoria A. Caraceni, che la ospita nei propri spazi. Arrivata alla terza generazione, ha saputo tradurre l’intramontabile artigianalità, in uno stile senza tempo affascinando l’imprenditoria e l’industria di tutto il mondo.
Dal 25 al 27 Novembre, Spazio Caraceni apre le sue porte a un immaginario collezionista. Il lusso discreto di un ambiente dal sapore maschile, in un file rouge con la sartoria, fa da cornice alla mostra pensata e progettata dai curatori, Corinna Turati, Alessandro Buganza e Margherita Castiglioni.
I lavori scelti sono collocati, in un accordo misurato, tra poltrone di pelle, libri da collezione della Taschen, l’angolo bar per degustare un bicchiere di brandy e un sottofondo di musica jazz. Equilibrato è anche l’uso dei pezzi di design (la cui ricerca ha spesso trovato punti di congiunzione con l’arte), in sintonia con vecchi mobili recuperati da cantine impolverate.
Marco Casentini, Henry Chapman, Cleo Fariselli, Piero Gilardi, Gaetano Pesce, Pino Pinelli, Namsal Siedlecki, Isabel Alonso Vega, diversi per pratiche e generazioni, rappresentano questo ideale “esperimento”, come lo considera una delle curatrici che abbiamo incontrato, Corinna Turati.
La contemporaneità si trova in un coerente filo (non solo metaforico), con le esperienze della pittura analitica, dell’arte povera e ambientale e delle astrazioni geometriche, in cui la relazione tra passato e presente è sintesi e summa, di un’esplorazione cartografica tra correnti, fenomeni e avventure artistiche.
Il giovanissimo Namsal Siedlecki (USA 1986), inserisce elementi organici in un bagno galvanico. La sua zucca è bloccata in una corteccia luccicante, dove solo la parte superiore prosegua la naturale decomposizione che finirà per inglobarsi nell’involucro. Un lavoro in cui l’immortalità e il destino dell’oggetto, convivono oggettualizzando quel concetto vita-morte-vita, in cui l’opera rinasce diversa da quella di origine.
La materia è cifra stilistica anche per Cleo Fariselli (Cesenatico 1982), nei calchi del viso e degli orecchi, risalente ai suoi diciassette anni (epoca in cui decide di dedicarsi all’arte). Sculture di raku (antica tecnica orientale del XVI secolo, utilizzata per la realizzazione di ciotole per la cerimonia del tè) diventano simulacro del mondo intimo e corporeo, reso eterno da ritratti antropomorfi.
Il colore implode su librerie e pareti, interrompendo la palette neutra con tinte energetiche, come nei vasi in resina flessibile, realizzati a mano, della serie Fish Design di Gaetano Pesce (La Spezia 1939) e nei monocromi rossi del dittico di Pino Pinelli (Catania 1938). Questi ultimi sono piccole opere che entrano a fare parte di una dimensione extrapittorica, carica e colma, in grado dare volume alla tela e teatralmente incorniciati tra le tende.
Rollecoaster, sfera multicolore in acrilico su perspex, di Marco Casentini (La Spezia 1961), racconta i colori della città vista dall’alto. Paesaggi metropolitani e “realisti” che si alternano, in un dialogo a distanza, su pareti opposte con i Tappeti di natura di Piero Gilardi (Torino 1942). Chiusi in box di plastica, foglie, piante e piccoli frutti, riprodotti in poliuretano espanso, ricostruiscono frammenti di territorio. Un’indagine iniziata intorno agli anni sessanta, in grado di disegnare geografie bucoliche che troverà un’estensione fisica, oltrepassando i confini della galleria, nel progetto del PAV, Parco d’arte vivente del 2008 a Torino.
Impalpabili le sfumature nella tela di Henry Chapman (USA 1987), con pennellate leggere e evanescenti che abbozzano forme anatomiche, figure e narrazioni fatte di una gestualità apparentemente fragile. Come fragili sono le sculture di Isabel Alonso Vega (Madrid 1968), che racchiudono in scatole sovrapposte di plexiglass, pigmenti di colore cristallizzati all’interno. Opere che appaiono inafferrabili, colte in quel gioco di sospensioni e di visioni moltiplicate dalle trasparenze del suo contenitore.
Spazio Caraceni, come ogni salotto borghese, diventa luogo di incontri con un appuntamento a chiusura della mostra, Le stagioni del collezionismo. Sabrina Donadel (Private Collection Sky Arte), Giorgio Fasol (Collezione Agi), Franco Lizza (Collezione Lizza), Virginia Elisa Montani Tesei (avvocato di diritti dell’arte di PCT- Professional Trust Company) e Tommaso Tisot (Presidente CDA PTC-Professional Trust Company) affrontano il tema del collezionismo, accennando a questioni pratiche e cogenti come la tutela delle opere o il passaggio generazionale.
La casa del collezionista è pensata come un’esperienza breve ma intensa, scevra da qualunque esercizio estetico, trova attraverso il confronto e lo scambio, uno spazio privato di condivisione e di riflessione sull’arte.