«Il gioco è un corpo a corpo con il destino», scriveva Tommaso Landolfi in La piccola apocalisse e Alessandro Procaccioli, con la sua arte, sembra incarnare alla perfezione questa definizione. Un gioco serio, quello messo in scena da Procaccioli, al cui lavoro è dedicata, proprio in questi giorni, una bella mostra presso la galleria Montoro12 di Roma, che lo rappresenta. Giovane talento originario di Latina, Alessandro Procaccioli, come ha scritto il critico Guglielmo Gigliotti, «mette il gioco al centro del gioco dell’arte. Il gioco della vita, e dunque della morte; dell’amore e, ineluttabilmente, della guerra; dell’infanzia innocente e del soldato che spara per uccidere». Lo abbiamo incontrato nei giorni dell’inaugurazione ed ecco cosa ci ha raccontato del suo lavoro.
Nicola Maggi: “La cultura nelle sue fasi originarie porta il carattere di un gioco”. Quanto ti riconosci in questa frase di Huizinga?
Alessandro Procaccioli: «Sicuramente condivido con Huizinga il pensiero circa la strutturazione della società, ossia di un’entità e di un’identità che nasce insieme col gioco. Se ci pensiamo, anche istituzioni come i tribunali, ad esempio, hanno regole come il gioco; parimenti le hanno eventi quali la guerra; vedono il distribuirsi di “parti” e il costituirsi (o istituirsi) di una partita da giocare. Huizinga poi parla lungamente anche della funzione che in questa fase svolge il linguaggio, il gioco primo dell’uomo; in fondo anche l’arte è un linguaggio e in quanto tale nomina per “attira[re] le cose nel dominio dello spirito”. Un tentativo di comprendere e creare al contempo. È quello che faccio con il mio lavoro: rielaboro una forma, metto in atto un processo creativo, traduco il dato nel mio mondo, e nel momento della realizzazione lo rendo di nuovo al mondo».
N.M.: Nelle tue opere l’elemento ludico viene affrontato da varie angolazioni. Che cos’è il gioco per Alessandro Procaccioli?
A.P.: «Il gioco è l’età felice, un tempo di sospensione in cui il mondo è percepito e creato al contempo. Col gioco si cresce, si imita il mondo adulto diceva Freud, e si fa l’uomo. E l’uomo adulto perde sì l’immaginario che aveva accompagnato quell’età, quella frenetica e bramosa voglia di costruire storie, dar corpo a forme, ma continua comunque a guardarvi con un che di nostalgia e come il ricordo sfumato, ma lieto, che può ammantare ed esorcizzare le paure della vita adulta. Col gioco si creano mondi e paesaggi; e il paesaggio, come lo intendo io, è qualcosa che va al di là del percepito (e questa è la facoltà bambina che con la mia arte intendo mantenere viva). Faccio riferimento soprattutto ai lavori su intonaco, dove lo spazio è occupato spesso da una piccola immagine che fornisce informazioni su e di un paesaggio puramente [glossary_exclude]astratto[/glossary_exclude], ideato esclusivamente dalla presenza di elementi essenziali: una linea, una campitura di colore che per convenzione associamo alla linea di orizzonte, al colore del cielo o dell’erba e così via. Quindi penso a uno stato mentale, poiché un paesaggio in sé non esiste, esiste un territorio semmai. Il paesaggio è prodotto dall’uomo, è il risultato di un’attività semiotica di interpretazione. Il paesaggio è come io racconto e vedo un territorio, è un dato soggettivo; oggettivo è il territorio. Il paesaggio non è mai descrittivo, ma evocativo; nasce da ciò che ci si ricorda: una suggestione, un odore, un colore…»
N.M.: Crescendo, spesso, ci si dimentica quanto era bello giocare. Nel tuo lavoro il richiamo mnemonico, il ricordo, ha un ruolo importante. Penso a lavori come Eravamo ricordo e nessuno sapeva…
A.P.: «L’adulto trova godimento nella competizione; penso che, a differenza del bambino, l’adulto perda l’interesse a inventare storie e scenari, sia incapace di guardare il giocattolo come mezzo per attivare la propria capacità creativa. In Eravamo ricordo e nessuno sapeva affiorano, sporadicamente, da una griglia nera, dei soldatini che ci ricordano di essere stati bambini. Il titolo è una citazione di Cesare Pavese, è ciò che Achille dice a Patroclo ricordando l’infanzia nei Dialoghi con Leucò, quando ogni gesto, ogni cenno era un gioco, quando insieme si giocava e “la giornata era breve, ma gli anni non passavano mai”; Achille chiede a Patroclo se sappia cos’è la morte e chiosa: “Poi viene il giorno che d’un tratto si capisce, si è dentro la morte, e da allora si è uomini fatti”. In qualche modo nei miei lavori si cerca di riconciliare questa frattura causata dalla consapevolezza. Si cerca di articolare e mettere alla prova la percezione infantile e la percezione adulta del gioco, fino a rendere sottile la distinzione al punto di farla svanire. Si rincomincia così a giocare. E il ricordo è di nuovo attivo».
N.M.: In opere come Frag o Cristi e Pesaculi, il gioco diventa anche uno strumento per affrontare realtà drammatiche: la guerra, la morte, il dolore…
A.P.: «Oppure il gioco di Combinazione aleatoria racchiuso in qualche modo nel lancio del dado. Il gioco è strategia per il perseguimento di un obiettivo o si affida al caso, dove la ragione e il calcolo non valgono; il giocatore non può imporsi sul destino in quest’ultima situazione, ma giocare le sue mosse e affidarsi al responso della sorte; un po’ come la vita. Vincere o perdere. Si ripropone l’andirivieni tra il ricordo innocente del gioco-bambino e l’attualità di un gioco-adulto che incide ed offende. Nella visione, la memoria si riattiva per non sfuggire più; il dato si fissa nel mentre si staziona a guardare. In questi casi si opera per l’abolizione dell’astrazione, attraverso l’uso dell’astrazione stessa (il ricordo impresso). Non rappresentare, ma trasformare o quantomeno guidare la realtà percepita».
N.M.: Nel tuo processo creativo ti cimenti con i media più vari, dall’intonaco al bitume, passando dalla carta ai timbri. Come scegli i materiali con cui dar vita ai tuoi lavori?
A.P.: «Quando ho iniziato questo ciclo sul gioco mi è sembrato più adatto provare dei materiali che presentassero delle caratteristiche in grado di richiamare gli strumenti spesso utilizzati dai bambini, come ad esempio il calco, il timbro. Ho pensato di utilizzare le resine per la realizzazione dei timbri e il polimero per l’impronta, il rilievo. Il tutto partendo dalle immagini che sono il ricordo dell’oggetto-giocattolo che fu. Per quanto riguarda l’intonaco, il suo utilizzo, come spiegato, si lega all’idea di paesaggio. Presto attenzione al cromatismo dei vecchi muri per strada, a come il colore affronta il tempo, perde la brillantezza. E il colore, come le immagini che alla fine dipingo, portano addosso lo scorrere del tempo. Se ci pensi anche il gioco è strettamente correlato allo scorrere del tempo».
N.M.: Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
A.P.: «Ci affidiamo alla sorte. Intanto giochiamo».