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La primavera di Georgia O’Keeffe. Storia di un restauro partecipato

del

“I quadri From the Plains I e Orange and Red Streak furono dipinti a New York molti mesi dopo aver lasciato quel mondo sconfinato. Quel lamento delle mucche che giorno e notte chiamavano i loro vitelli è un suono che mi ha sempre tormentato. Il suo battito ritmico regolare, simile alle antiche litanie dei penitenti, si ripeteva all’infinito l’intero giorno e l’intera notte. Era un rumore intenso e straziante che risuonava sotto le stelle nel vuoto di quell’immensa pace.”

Georgia O’Keeffe, nata con solide ascendenze europee, è stata probabilmente la prima artista di successo a nobilitare con la sua pittura dei grandi spazi propriamente americani: il deserto, le mesas, i canyon, le praterie. Quel “mondo sconfinato”, austero e selvaggio, di cui parla nel ricordo sopra riportato.

Nata nel 1887 a Sun Prairie, nel Midwest cuore dell’America, si formò tra Chicago e New York, centri culturali del paese, trovando, però, la sua dimensione artistica ed esistenziale in uno dei luoghi più periferici degli Stati Uniti: il deserto del Nuovo Messico.

“Nella distesa infinita di queste colline sono presenti tutti i colori della tavolozza: dai gialli pallidi alle sfumature dell’ocra, alle terre arancioni, rosse e viola fino ai toni soffusi del verde. Gli uomini non associano niente a queste colline, alla nostra terra deserta, a quello che, a mio parere, è il nostro paesaggio più bello.”

Dipinto con paesaggio americano con prateria e canyon_generato con Firefly

Le sue opere maggiori sono esposte nei principali musei americani, ma è nella remota Santa Fe che si trova l’unica istituzione a lei interamente dedicata: il Georgia O’Keeffe Museum, fondazione nata dalla volontà di due benefattrici e collezioniste private, e che si occupa, tra l’altro, della conservazione della casa-studio della pittrice, il mitico Ghost Ranch di Abiquiu.

Proprio a questa casa è legata la curiosa storia del dipinto Spring del 1948, tra le tele più grandi e iconiche conservate a Santa Fe. Eseguito dall’artista in seguito al rientro da un lungo soggiorno a New York, per un tempo prolungato subì danni dovuti a infiltrazioni di umidità proveniente dal soffitto in adobe (impasto utilizzato da molte popolazioni per costruire mattoni), il quale era stato bucherellato…da una tarantola che vi aveva scavato il nido. Problemi da deserto americano.

La stessa O’Keeffe aveva manifestato preoccupazioni riguardo allo stato di salute del dipinto, ma è stato solo di recente che il museo che ne è ora proprietario ha deciso di risolvere il problema conservativo con un restauro vero e proprio.

Restauro reso possibile nel 2020 dal finanziamento che annualmente la Bank of America – banca privata da non confondere con la Federal Reserve – elargisce in seguito a un bando pubblico al quale istituzioni museali di tutto il mondo possono partecipare.

Così sono stati coperti parte dei 145 mila dollari necessari a un intervento che ha richiesto 1250 ore di lavoro, oltre due anni, e che per due mesi è stato aperto al pubblico che ha potuto assistere live ai lavori dei restauratori. Un’esperienza immersiva con fini didattici e di visibilità già utilizzata da grandi musei con il Rijksmuseum per il restauro della Ronda notturna di Rembrandt, ma che nel contesto di un piccolo museo fuori dai circuiti internazionali come quello di Santa Fe acquista un fascino peculiare.

Un restauro che è servito, quindi, da volano per un ritorno di immagine e interesse non tanto sull’opera dell’artista – O’Keeffe non ne ha bisogno – quanto sul museo stesso, tanto che siamo a parlarne qui e ora, a decine di migliaia di chilometri di distanza. E tanto che, in concomitanza con la fine del restauro, molte opere del museo del Nuovo Messico, sono volate a Basilea, esposte nella retrospettiva dedicata all’artista americana dalla Fondazione Beyeler.

L’intervento di restauro crea sempre un valore più ampio rispetto all’ambito della sola opere su cui è eseguito. È una regola che vale per il pubblico quanto per il privato, e casi come questo lo dimostrano. E sia mai che l’interesse nel visitare quel remoto museo e “l’immensa pace” di quei luoghi che ispirarono quella pittura sia venuto al lettore quanto è venuto a me.

“Così mi sono detta: dipingerò quel che vedo, quel che il fiore significa per me, ma lo dipingerò grande per indurre la gente a prendersi il tempo di osservarlo. Indurrò perfino gli affaccendati newyorkesi a guardare quel che io vedo nei fiori.”

Tutte le citazioni sono tratte da Memorie, Georgia O’Keeffe, 2003, Abscondita, Milano.

Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.

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