Si è appena concluso il lungo week end parigino all’insegna dell’arte, come da tradizione, a metà del mese più caldo per il contemporaneo – proprio tra la londinese Frieze e la torinese Artissima – sempre nella sua location imprescindibile: il Grand Palais; e con tutta una serie di rondò collaterali di tutto rispetto e di grande richiamo sparsi ai quattro angoli della capitale. Parliamo della 44esima edizione della Fiac, che ha coinvolto 193 gallerie da tutto il mondo – di cui quattordici tra le più prestigiose del nostro paese – e circa 3.000 artisti tra mostri sacri ed emergenti con ottime quotazioni e altrettanti sostenitori. Non fosse stata sufficiente la loro presenza, non dimentichiamo gli emissari dei più grandi musei del mondo, che hanno presenziato all’inaugurazione e presentato il proprio contributo all’evento: dal MoMA di New York, ospitato dalla Vuitton Foundation nell’allestire una mostra temporanea di circa 200 pezzi della famosa collezione fino al 5 marzo 2018, al Metropolitan Museum in collaborazione con la Fondazione Irving Penn per un’esposizione proprio a cote del Grand Palais, passando dalla Tate Modern per David Hockney al Centre Pompidou, e ancora al Museo di Shanghai ed al Museo di Arte Contemporanea di Tokyo, presenti anche il MAMCO di Ginevra, il nostro MAXXI e il Leopold Museum Vienna, solo per citarne alcuni.
Insomma non mancava nessuno, dai collezionisti – oltre agli affezionati pare che siano stati diversi i nuovi nomi, a detta di molti galleristi consultati da varie testate specializzate – ai tanti curiosi ed appassionati, al punto che si è parlato di organizzazione meno fluida, di ingressi difficoltosi e rallentati. Di sicuro l’affluenza è stata all’altezza delle aspettative, il che ha confermato anche quest’anno il magnetismo della settimana dell’arte francese. Un accordo di vari elementi a cominciare, per chi non ricorda la maestosità del Grand Palais, dalla scelta della decennale location: un enorme padiglione vetrato inaugurato in occasione dell’Esposizione Universale del 1900 e che, dopo il restauro tra metà anni Novanta ed il 2005, sarà nuovamente chiuso al pubblico tra il 2020 e il 2023, la cui imponenza viene amplificata dalla quantità di luce che è in grado di contenere, un impatto di grande effetto. Una location altamente scenografica, che suggerisce un’idea di prestigio riflessa nondimeno dalle scelte delle gallerie superstar invitate a partecipare all’evento. Anche per questo, forse, molti galleristi non hanno resistito alla tentazione di esporre diversi artisti ormai consacrati nell’olimpo del panorama artistico dell’ultimo secolo. Non sono quindi mancati Anish Kapoor, Lucio Fontana, Michelangelo Pistoletto, Claudio Parmiggiani, Andy Warhol, Tony Cragg, ma a parte qualche rara eccezione sono stati affiancati da opere decisamente più audaci, se non proprio soverchianti. Impressionanti le installazioni fluttuanti di Claire Morgan, delicate ma disturbanti, esposte da Karsten Greve, molto articolato Tomás Saraceno da Esther Schipper, decine di intrecci e di ragnatele sospese, suggestivo il vascello della giapponese Chiharu Shiota celato da una fitta maglia di fili scarlatti, esposto da Templon. Elegantissimo lo stand interamente in maiolica porpora di Giò Marconi, leggero quello della 303 Gallery di New York, il soffitto punteggiato di palloncini in fiberglass specchianti firmati Jeppe Hein.
Il piano terra del Grand Palais, cuore pulsante della Fiac, si è rivelato un tripudio di eleganza e vivacità, non solo espositiva ma anche relazionale, con il best of di gallerie in prima linea come Gagosian, Sprüt Magers, Gladstone, Perrotin, Sadie Coles, Konrad Fischer e le nostre Massimo Minimi, Continua e De Carlo, mentre nel piano ammezzato – che corre lungo tutto il perimetro a sud della struttura ed è stato suddiviso in settori, ad esempio il Salon Jean Perrin oppure il Salon d’Honneur – hanno trovato spazio le proposte di espositori come le nostre P420 e Francesca Minini, delle francesi Mor Charpentier e Semiose e degli inglesi di Richard Saltoun. Il settore Lafayette, come di consueto, è stato caratterizzato da dieci realtà scelte fra oltre cento candidati per la qualità dei progetti, su tutti Freedman Fitzpatrick (Los Angeles) e José Garcia (Messico).
Il Petit Palais non è stato da meno nella sua seconda edizione come contenitore di On Site, ospitando una quarantina di singole opere – sculture ed installazioni – selezionate ed allestite per dialogare con l’architettura del palazzo, in pieno stile bohèmien, ideato da Charles Girault nel 1900. Fra i più ammirati Fabrice Samyn con una selezione di dodici elementi in vetro colorato dalla serie Untitled del 2016, Claudio Parmiggiani con la sua campana Senza titolo del 2009, Martin Honert con Mutprobe (test of courage) del 1999. Una ventina di installazioni e sculture han trovato spazio anche tra il verde dei giardini delle Tuileries, dove il dado sovradimensionato di Gilles Barbier ed i chiodi giganti dei Los Carpinteros, insieme alle superfici specchianti via via più distorte di Pugnaire & Raffini hanno richiamato l’attenzione ed i flash di molti curiosi.