Il 16 maggio 1960, Theodore H. Maiman azionò il primo laser funzionante a Malibù in California presso i laboratori della Hughes Research e a metà degli anni Sessanta, alcuni artisti vagamente collegati e geograficamente vicini (California del sud) rivolgono la loro attenzione dalla creazione di oggetti tradizionali verso una produzione legata alla percezione sensoriale immersa nella luce e nello spazio. Nasce così il movimento Light and Space, non formalmente organizzato e legato alle esperienze della Op Art, del Minimalismo e dell’Astrattismo Geometrico e in qualche modo influenzato dall’artista americano John Dwyer McLaughlin, uno dei pionieri del Minimalismo.
Interpretata come tentativo di superamento delle limitazioni dell’astrattismo, è parimenti indubbio che l’impulso alla Light and Space Art fu in parte anche tecnologico, ma la lettura generalmente fatta di superamento del movimento astratto non tiene conto dell’incidenza delle nuove tecnologie rispetto alla relazione con il colore. L’accantonamento dell’astrattismo è nella realtà una conseguenza della potenzialità offerta alla produzione artistica dalle nuove tecnologie che non mutarono, però, nella realtà, la percezione dell’uomo e dell’Artista verso il colore; il colore viene sottratto alla dimensione del gioco spirituale semplicemente perché neutrale rispetto al nuovo spirito di questi anni.
Il Movimento Light and Space
Considerato uno sviluppo della Minimal Art degli anni Sessanta e Settanta, il Movimento Light and Space incentrava la sua ricerca sull’influenza che le forme geometriche e l’uso della luce potevano avere sull’ambiente e sulla percezione dello spettatore, dando vita a installazioni di grandi dimensioni in grado di coinvolgere il pubblico in un’esperienza sensoriale travolgente, che può essere letta come un moderno concetto di sublime. Non dobbiamo dimenticare, d’altronde, che negli anni Sessanta l’arte si allontana dall’idea della bellezza universale, muovendo verso una nuova esperienza estetica, un nuovo concetto di sublime, appunto, che potesse ospitare le tensioni della modernità.
La natura del lavoro degli artisti che ruotano attorno a questo Movimento, peraltro, è ben sintetizzata dal titolo della mostra che si tenne presso l‘UCLA nel 1971 e che, di fatto, presenta al “mondo” questo nuovo movimento: Transparency, Reflection, Light, Space. Nelle opere di questi artisti – tra i quali i più noti sono Doug Wheeler, Robert Irwin e James Turrell – compaiono spesso neon, vetro, resina, acrilico e luci fluorescenti. Tutti materiali che ricorrono anche nella scultura Pop e Minimal, ma che gli artisti del Movimento Light and Space utilizzano per sottolineare come la luce vi si riflette, vi passa attraverso, o si piega intorno a loro.
Robert Irwin
Robert Irwin dal 1965 realizzò una sua serie di dipinti su dischi riflettenti, usando smalti e tempere su sfondi argento metallico. Irwin accendeva riflettori sui suoi lavori e il riflesso della luce sui bordi dei dischi provocava la sensazione di una superfice pittorica senza limiti. Per tutto il decennio successivo, Irwin lavorò per dematerializzare ulteriormente la sua opera, creando colonne prismatiche semi-trasparenti che aspiravano a uno stato di “non-oggettualità”. Nel 1971, Irwin realizzò al MoMA un’installazione Intitolata Fractured Light — Partial Scrim Ceiling — Eye-Level Wire in cui l’opera d’arte era appena percettibile: un’alternaternanza di colori fluorescenti caldi e freddi montati su un lucernario. Nelle parole dell’artista l’operae era «una sorta di arcobaleno subliminale nello spazio».
Dopo l’esperienza del MoMA, Irwin creò installazioni sfuggenti, realizzate con materiali eterei, luminosi e quasi impercettibili. L’installazione Soft Wall del 1974, ad esempio, consisteva in un velo traslucido posto a 18 pollici da una delle pareti della Pace Gallery, dove fu esposta. L’effetto era quello di una stanza vuota, in cui una parete era stranamente sfocata. Nel 1977, al Whitney Museum, Irwin estende i suoi interventi all’aperto: dipinge un aereo nero all’incrocio tra 42th Street e Fifth Avenue, e tende un cavo tra le Torri Gemelle.
James Turrell
Figura chiave del movimento californiano, Turrell creò installazioni luminose che esploravano la natura della percezione, ispirando una riflessione spirituale e mettendo l’osservatore in contatto con la natura. Ancora studente, Turrell creò la sua prima proiezione di luce, intitolata Afrum-Proto, in cui la luce, proveniente da un proiettore allo xeno, produce un effetto trompe l’oeil: un radioso cubo, apparentemente solido, che galleggia in un angolo di una stanza. Dopo la laurea, Turrell realizza esperimenti con la luce decisamente più ambiziosi: sigilla una serie di stanze in un hotel abbandonato, controllando l’ingresso della luce con un complesso percorso a ostacoli fatto di aperture quadrate e pareti mobili. Nel 1973, Turrell cominciò a creare i suoi Skyspaces: lucernari aperti nei tetti degli edifici che permettono al cielo di apparire a filo con l’apertura nel soffitto.
Nel 1977, Turrell acquista il Roden Crater, un vulcano spento vicino a Flagstaff (Arizona) e ne traforma il cratere più interno in un gigantesco osservatorio ad occhio nudo. Un lavoro, quest’ultimo, che lo impegnerà per circa trent’anni.
Doug Wheeler
Enigmatico co-fondatore del Moviemnto Light and Space, Doug Wheeler è noto per i suoi ambienti Infinity: installazioni immersive in cui tutti i punti di fuga sembrano scomparire e spaziare in un abisso fatto di luce bianca. I primi Light Paintings di Wheeler sono stati chiamati Encasements – tele bianche con le parti lucide che sporgevano dal muro di un paio di pollici.
Questi Encasements erano retroilluminati, in modo che la luce fluorescente, che emanava dai lati, emettesse un bagliore auratico. Nel 1970, in una installazione alla Tate, Wheeler estese la logica di questi primi Light Paintings creando disorientanti installazioni su larga scala. Il suo primo “ambiente infinito” su larga scala è del 1975 e fu realizzato per la Salvatore Ala Gallery di Milano.
Oltre il Movimento Light and Space
La Light Art, ovviamente, non si esaurisce nell’attività del Movimento Light and Space sulla costa occidentale degli Stati Uniti. Negli stessi anni, tanto negli States che in Europa le sperimentazioni sull’uso della luce artificiale come elemento linguistico incontrano l’interesse di vari artisti tra i quali sono da ricordare, certamente, Mary Corse, Dan Flavin e l’inglese Anthony McCall.
Mary Corse
A metà degli anni 1960, Mary Corse abbandona l’astrazione a favore della creazione di strutture semi-scultoree realizzate con materiali non tradizionali come il plexiglas e le luci fluorescenti. Vista quasi come un estranea, a causa del sesso e della giovane età, la Corse fu praticamente ignorata dai componenti del Movimento Light and Space, tanto che, nel 2011, affermò non solo di non aver fatto parte del gruppo, ma di non esserne neanche stata influenzata. Per anni il suo lavoro ha avuto solo un minimo riconoscimento istituzionale. Oggi, grazie ad un rinnovato interesse per il Movimento Light and Space, la sua figura e la sua opera stanno riemergendo dalle ombre.
Dan Flavin
Tra i più noti artisti di questo genere, Dan Flavin esaspera l’uso della luce. A differenza dei membri del gruppo Light and Space, Flavin si è avvicinato al Light Painting dal freddo ethos industriale del Minimalismo. Flavin ha iniziato a disegnare sculture che includono luci elettriche nel 1961. I suoi primi esperimenti con la luce artificiale sono le Icone: una serie di caselle colorate circondate da lampadine. In contrasto con l’approccio trascendente e quasi “spirituale” del movimento Californiano, le Icone di Flavin sono decisamente più neutre e ironiche. Nel 1963, Flavin iniziò a lavorare esclusivamente con tubi fluorescenti.
Anthony McCall
Mentre Flavin, Wheeler, Corse, Irwin e Turrell iniziano come pittori, Anthony McCall è arrivato alla Light Art dal cinema sperimentale. Figura di spicco nel laboratorio d’avanguardia London Film-makers Co–operative, realizza le prime opere legate alla luce sono film con paesaggi illuminati da piccoli fuochi artificiali.
Nel 1973, McCall fece il salto di qualità usando la luce elettrica. Il suo primo e più noto lavoro di questa serie, intitolato Line Describing a Cone, molto simile ad Afrum di James Turrell, consegna una presenza scultorea e volumetrica al mezzo immateriale della luce. Nei suoi lavori si percepisce, a tratti, l’influenza della precedente esperienza nel mondo del cinema.