ArteFiera è finita ormai da qualche giorno e quindi è ampiamente giunto il momento di sbilanciarci in resoconti di varia natura, con l’entusiasmo post evento ormai placato. In effetti, immaginavo di tornare dalla mia visita piena di cose da dire e raccontare. Invece, forse complice la stanchezza di un gennaio lungo quasi interminabile, sul treno mentre rientravo verso casa sono riuscita a focalizzare solo sulle tante immagini che avevo per la testa.
Sono forse le immagini – quelle che restano impresse – che fanno funzionare o no una fiera? Credo proprio di no e per dirla come il suo Menaging Director Enea Righi: “Le fiere funzionano se ci sono vendite”. Ed è lì che occorre guardare se si vogliono stilare report più o meno funzionali. Non tanto il numero di visitatori, i caricamenti del sito internet, ecc. Il termometro vero è quello che restituisce il numero delle transazioni, gli assegni scambiati, gli accordi firmati.
Al netto del fatto che il grado di soddisfazione di chi ha frequentato gli spazi della fiera di Bologna lo scorso fine settimana sia stato alto e che l’intera organizzazione dell’evento si sia dimostrato al livello delle aspettative, ciò che interessa prettamente a una restauratrice – conservatrice sono gli aspetti di cura dell’immenso patrimonio osservato nei padiglioni.
Effettivamente si tratta di un vero e proprio patrimonio, quello che gallerie grandi e piccole, storiche e più giovani hanno portato con loro in fiera.
Mentre camminavo nel padiglione 26 interamente dedicato a opere di artisti che hanno un posto ben chiaro nei libri di storia dell’arte, ho pensato più volte che mi sembrava di camminare in una sala di un museo, pure importante. Da Boccioni a De Chirico, da Sironi a Fontana passando per Burri.
E in effetti non era una sensazione così sbagliata, se si pensa che il Peggy Guggenheim di Venezia espone nelle sue sale proprio gli stessi nomi e simili: Accardi, Bonalumi, Balla, Castellani, Mirò e via dicendo.
Allora la domanda sorge spontanea: perché un’istituzione (privata, sia ben chiaro) come quella veneziana si impegna in progetti di conservazione preventiva avviando collaborazioni importanti per salvaguardare le sue opere e la storia che portano con loro, mentre in fiera (qualsiasi, non solo quella di Bologna) ci si limita a un semplice controllo dei valori di temperatura e – forse – di umidità?
Sì perché dallo scorso luglio, il dipartimento di conservazione della collezione Peggy Guggenheim di Venezia sta lavorando intensamente proprio a questo tema. In collaborazione con l’Istituto di Scienze del Patrimonio Cultuale ISPC del CNR sono state avviate campagne di analisi della qualità dell’aria in relazione al flusso di visitatori, anche in base ai tempi di permanenza davanti ad alcune opere più apprezzate e conosciute.
Certo, mi rendo conto della problematica che sto sollevando. Una problematica pratica di non poco conto, e totalmente attuale, dal momento che proprio in questi giorni anche i musei più importanti del mondo si stanno chiedendo se, noi tecnici non ci stiamo forse formalizzando troppo intorno all’annosa questione del rispetto dei parametri ambientali standard.
In effetti, solo la scorsa settimana il New York Times pubblicava un articolo che riportava le parole del vicedirettore del Guggenheim di Bilbao (anche se il nome è uguale, nulla ha a che vedere con quello citato sopra di Venezia), quelle del vice direttore della fondazione Prussian Cultural Heritage di Berlino e la posizione del Rijksmuseum di Amsterdam tutti favorevoli a ricalibrare le condizioni ambientali dei lori spazi a favore di un maggiore risparmi energetico.
Detto ciò, la mia riflessione riguardo gli ambienti fieristici e il loro monitoraggio vuole piuttosto lanciare un monito. Forse essere di spunto per cominciare a riflettere sull’importanza delle corrette condizioni espositive per permettere ai capolavori che vengono venduti, comprati, trasportati, riallestiti in casa in ogni angolo del mondo di resistere nel tempo e di non dover subire costosi e impegnativi restauri a danno avvenuto.
Non esporre dipinti su tela in corrispondenza di una forte fonte di calore, non lasciare inchiostri su carta illuminati dalla luce del sole, non scegliere di appendere un dipinto su supporto ligneo, magari protetto sul fronte da un plexiglass, sulla parete esterna di una casa sempre esposta a nord.
In ogni fiera dovremmo sentir parlare anche di questo, perché dove ci sono capolavori dell’arte moderna o espressioni artistiche della cultura più contemporanea, dovrebbe esserci per forza anche sensibilità e attenzione alla loro corretta cura.