Si apre oggi alle ore 18, presso la Galleria Russo di Roma, la mostra Mario Sironi la poetica del Novecento. Opere dalle collezioni di Margherita Sarfatti e Ada Catenacci che chiude, idealmente, l’intenso focus su Mario Sironi aperto, in occasione dei sessant’anni dalla morte dell’artista, dall’approfondita retrospettiva Mario Sironi. Sintesi e Grandiosità in corso, fino al 27 marzo, al Museo del Novecento di Milano.
Oltre 70 le opere esposte nella rassegna romana che, come spiega il curatore Fabio Benzi, “è una mostra piuttosto speciale di Mario Sironi. Presenta prevalentemente delle opere che provengono da due collezioni che furono tra le più significative di arte italiana del XX secolo”, una assemblata da Margherita Sarfatti e l’altra da Ada Catenacci Balzarotti.
La prima aggiunge Benzi, “lo riteneva il più grande artista italiano della sua epoca, lo amava al punto da collezionarne diecine anzi centinaia di opere, selezionatissime”. Ada Catenacci, invece, con Sironi era in amicizia ed era “solita commissionare opere specifiche proprio grazie alla consuetudine con l’artista”.
“A questi due straordinari gruppi di opere sironiane, già selezionati attraverso gli occhi di due tra le maggiori intelligenze collezionistiche del tempo – prosegue Benzi – sono stati aggiunti alcuni capolavori che la Galleria Russo ha trattato nel corso degli ultimi anni“.
“La mostra – continua il curatore – è dunque in bilico su uno schema antologico, ma filtrato attraverso un privilegiato, più personale e speciale gusto collezionistico, espresso dalla personalità di due grandi collezioniste. Nella scelta, molto varia, spicca un nucleo di opere illustrative, che evidenzia l’innata ed esplicita vocazione dell’artista di procedere per ragionamenti di forme che intendono essere anche espressioni di idee, di comunicazione, di pensiero, sgretolando quasi il formalismo fine a se stesso della pura pratica artistica, dell’arte per l’arte”.
Le opere in mostra tracciano così un sintetico percorso degli sviluppi della ricerca di Sironi dal 1908 alla fine degli anni ’50, rendendo conto di quella vastità creativa che trova pochi paragoni tra gli artisti del suo secolo: “Avete un grande artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto”, scriverà di lui uno dei suoi più entusiasti supporter, Pablo Picasso.
L’ansia di modernità che lo divora gli impone sperimentazioni continue e il confronto con gli ambienti artistici d’avanguardia. Di ogni novità intercettata e cavalcata riesce sempre a restituire una sua personale, inconfondibile interpretazione.
“In Sironi – spiega Fabio Benzi – si fondono inscindibilmente classicità apollinea e drammaticità “anticlassica”, persino caricaturale, pensiero illuminista e irrazionalismo romantico, bellezza platonica e forzatura espressionista. Tutti questi aspetti emergono da queste selezionatissime opere”.
“La scelta – conclude – dà perfettamente un’idea della qualità altissima che Sironi nella sua poliedrica attività ha raggiunto. Dall’illustrazione al disegno, dal bozzetto al dipinto ad olio, è rappresentata una selezione in cui Sironi esprime più che mai la sua ansia di creatività”.
E così, di un percorso autonomo parla già la pittura degli esordi, evocata in mostra da Paesaggio urbano, un pastello del 1908 che mostra una pennellata divisionista resa diversa da quella dell’amico-maestro Giacomo Balla dall’innesto di componenti espressioniste. E del tutto originale anche la sua visione del futurismo, movimento a cui aderisce sulla scia dell’amico Umberto Boccioni.
La Ballerina, uno strepitoso collage del 1916, e le altre opere in esposizione eseguite in quella fase parlano di un linguaggio più proteso verso le avanguardie russe che il cubismo francese osservato dai suoi compagni. Gli altri scompongono, cercando il segreto del movimento, lui sintetizza inventando semplificazioni geometriche.
Le suggestioni metafisiche che contaminano il suo lavoro all’inizio degli anni ’20 (Donna con lo specchio, 1921-22) producono opere popolate di veneri e manichini, lontane tuttavia dai lavori di de Chirico e Carrà per un’atmosfera di solitudine e tragicità quotidiana ancora senza confronti nell’arte europea del dopoguerra come spiega proprio Fabio Benzi.
Tragica, desolata eppure grandiosa è anche la bellissima Periferia urbana eseguita tra 1922 e 1923, opera paradigmatica della produzione di quell’insuperabile interprete della modernità urbana del ‘900 che fu Mario Sironi.
Il laconico Pastore del 1931-32 introduce all’invenzione della classicità novecentista, essenziale e volumetrica, un’arte che reinventa in chiave moderna Giotto e Masaccio. Studi preparatori per il bassorilievo del Palazzo dei Giornali e per composizioni murali rimandano all’impegno per l’architettura e ai nove anni (1934-1943) di totale rifiuto del quadro da cavalletto, l’arte borghese sostituita dall’aspro lavoro di conquista delle leggi dell’arte murale, l’arte sociale per eccellenza.
Il percorso espositivo è chiuso da alcuni esempi della produzione del dopoguerra, anni marcati dalla disillusione politica e da un pessimismo esistenziale che si riflette sul suo lavoro senza rallentarlo. Il groviglio di linee colorate che caratterizza le ultime composizioni lo conduce ai confini con l’informale.