Troppo veloce e con un consumo di arte più da fast food che non da collezionisti appassionati d’arte. È questo che nell’era pre-Covid era diventato il sistema dell’arte, secondo l’immagine tratteggiata da Sveva D’Antonio della Collezione Taurisano il 7 ottobre scorso a Napoli in occasione del primo appuntamento di Trasversale: il ciclo di conversazioni messo a punto da Marianna Agliottone con l’obiettivo di dare un contributo alla ripartenza dell’economia del pensiero dell’arte nel contemporaneo.
Un ritratto crudo, ma molto realistico, quello della collezionista napoletana che assieme al marito, Francesco Taurisano, porta avanti una delle esperienze collezionistiche più interessanti del nostro Paese. (Leggi anche -> Collezione Taurisano: continuità e sostenibilità dell’arte contemporanea)
«Nei mesi del lockdown – racconta in dialogo con l’artista e curatrice Maria Adele Del Vecchio -, con mio marito abbiamo cercato di supportare costantemente i nostri artisti, perché questa per noi è la cosa fondamentale: mantenere sempre la figura dell’artista al centro del collezionare».
«Il periodo che stiamo vivendo – aggiunge – ha evidenziato e fatto emergere la profonda crisi che sta attraversando il sistema dell’arte». Un sistema, prosegue la collezionista, in cui gli artisti per primi sono stati messi in sofferenza a causa di un ciclo di produzione sempre più di massa, che non lascia il tempo di riflettere e di dar vita ad una produzione più meditata. Il tutto per soddisfare la domanda di un mercato al limite della bulimia.
Temi non nuovi per chi ci segue da tempo. Più volte, sulle pagine virtuali di Collezione da Tiffany, abbiamo parlato dei ritmi imposti agli artisti dal mercato per tenere il passo dei tanti impegni espositivi e fieristici, spesso a scapito della qualità. Adesso, però, la tragedia che stiamo vivendo ci dà la possibilità di ripensare tutto e di cercare, anche per il mondo dell’arte, un modello più sostenibile di sviluppo.
«Questo periodo di rallentamento forzato – commenta ancora Sveva d’Antonio – ha fatto sì che tutti noi facessimo un passo indietro e che anche i collezionisti si facessero carico di questa situazione». E raccontando di come lei e il marito abbiano preso in mano la collezione di famiglia aggiornandola alla propria “contemporaneità” aggiunge: «Il ruolo del collezionista non deve essere passivo, di mero consumatore dell’ultima parte della catena. Per un collezionista è fondamentale, oltre che estremamente arricchente, essere coinvolto nel processo creativo degli artisti che segue, vedere qual è il pensiero che sta dietro a ciascuna opera e come questa prende forma».
Un approccio al collezionismo certo non facile, ma che sicuramente può essere da esempio per cambiare un mercato in cui il collezionista ha ormai preso le sembianze del businessman con tanti soldi e sempre di fretta.
«I collezionisti alla Panza di Biumo non esistono più – aggiunge la collezionista stuzzicata da Del Vecchio che le chiede cosa significhi per lei frequentare gli artisti – Ma se hai anche un solo minuto è fondamentale spenderlo in modo produttivo. Il nostro è un modello che in pochi possono seguire, me ne rendo conto, ma è fondamentale instillare un po’ di responsabilità in chi colleziona, specialmente in coloro che hanno maggior disponibilità. Perché non è possibile che non si possa mai trovare tempo per ciò che si ama».
Un sostegno, quello del collezionista all’artista, fondamentale per la stessa carriera di quest’ultimo. Ma l’artista, come ricorda Maria Adele Del Vecchio, non dovrebbe mai dimenticare la propria “postura sociale”.
«L’arte – commenta – deve parlare con la società e la società dovrebbe conoscerla di più. È sbagliatissimo che la società rimanga fuori da questo mondo. L’arte serve a migliorarti ed è un motore di crescita, di consapevolezza, di visione».
Eppure la società, specie in Italia, sembra rimanere spesso ai margini del mondo dell’arte. Complice la situazione strana di un Paese, come evidenza Sveva D’Antonio, che «da un lato rende istituzionale la formazione artistica, inserendola con le Accademie nel proprio sistema scolastico, ma poi sembra tirarsene fuori, come se non ci fosse una reale presa di coscienza da parte dello Stato che non sostiene chi vuole intraprendere la carriera artistica».
Con il risultato, aggiunge la collezionista, che molti artisti italiani se ne vanno in Belgio o in Olanda perché lì trovano un sistema ben organizzato che gli consente di avere studi ad affitti contenuti, oltre a vari tipi di sostegno e di sussidio.
«Per chi inizia a collezionare – spiega Sveva d’Antonio – è fondamentale la figura del gallerista, del mediatore che ti inizia a questo mondo e ti educa, ti fa scoprire il contemporaneo. Perché se l’arte del passato viene insegnata a scuola, la produzione artistica di oggi la si scopre solo frequentando le gallerie, i curatori e gli artisti. Un collezionista, spesso, compra un artista che conosce meno perché glielo ha consigliato un altro artista di sua fiducia o perché si fida del gallerista che glielo propone anche se, alla fine, si deve sempre collezionare con gli occhi e non con le orecchie. L’ultima decisione la devi prendere tu e deve essere una scelta empatica».
«Al di là dei suoi inevitabili difetti ed eccessi – conclude la collezionista – quella dell’arte è una catena molto virtuosa, basata sul dialogo tra le parti, sul confronto, ma perché funzioni è fondamentale che tutti gli attori del sistema sopravvivano». E proprio questa idea di considerare il sistema dell’arte non come l’insieme di tante individualità, ma come un organismo collettivo, potrebbe essere, come ha sottolineato in chiusura Marianna Agliottone, una chiave per dar vita ad un nuovo modello di sviluppo del sistema dell’arte.