Occhi puntati su Hong Kong. E’ qui che ormai si scrive la storia del mercato dell’arte. Le aste cinesi non sembrano, infatti, conoscere botte d’arresto e hanno surclassato Europa e Stati Uniti nei ranking internazionali, posizionando la Cina al primo posto nel marcato globale dell’arte. Come se non bastasse, più della metà degli artisti presenti nella Top 10 mondiale delle aste sono cinesi.
«Se la crisi del 2008 ha colpito duramente la maggior parte dei mercati del mondo e per una forte ripresa, in particolare per quanto riguarda l’arte contemporanea, si è dovuto attendere il 2010 – spiega Anders Petterson, direttore della ArtTactic Ltd –, l’Asia ha ricominciato a correre fin da subito». «Le difficoltà economiche affrontate dall’Europa e dagli Stati Uniti – prosegue Petterson – hanno rallentato i loro rispettivi mercati a differenza della rapida crescita registrata, in primo luogo, in Cina dove l’arte contemporanea sta attualmente vivendo un secondo boom».
La Cina ha superato Stati Uniti e Europa – In pochissimi anni il mercato cinese dell’arte si è posizionato al primo posto sulla scena globale dopo cinquanta anni di dominio incontrastato delle piazze europee e statunitensi. Un risultato strabiliante se si pensa che, di norma, i mercati impiegano molto di più a svilupparsi. La Cina, invece, in soli tre anni è salita dal terzo posto alla vetta della classifica, relegando la Francia al quarto posto e superando New York e Londra che, fino a qualche tempo fa, erano considerate irraggiungibili.
Grande sconfitto di questa lotta: il mercato europeo che, nonostante abbia triplicato i risultati passando dai 1,3 miliardi di dollari del 2002 ai 3 miliardi del 2010, ha perso costantemente strada nell’ultimo decennio. Se nel 2003, infatti, in Europa veniva venduto l’80% dei lotti di arte aggiudicati nel mondo e generato il 55% dei ricavi, oggi questi sono il 33% e i lotti venduti solo il 66%. Gli Stati Uniti si sono mantenuti abbastanza stabili sul fronte delle opere battute all’asta (14-16%) ma hanno decisamente ceduto il passo per quanto riguarda i ricavi, passando dal 47% del 2004 al 30% del 2010.
Il calo dei mercati occidentali e la rapida crescita di quelli orientali ha così rinconfigurato lo scenario globale del mondo delle aste con la Cina che, con 3 miliardi di dollari di ricavi nel 2010, rappresenta oggi il 33% della torta, seguita dagli Stati Uniti (30%), dal Regno Unito (19%) e dalla Francia (5%). Le cose vanno un po’ meglio per l’Occidente se si stringe il campo: New York è ancora la prima piazza in termini di ricavi (2,7 mld di dollari nel 2010) seguita da Beijing (2,3 mld), Londra (1,8 mld), Hong Kong, Parigi, Shanghai e Hangzhou.
Se nel successo del mercato cinese è possibile intravedere, comunque, lo zampino occidentale, anche nella classifica globale delle case d’asta la Cina, con Poly International, si trova al terzo posto. Pur vedendo Christie’s e Sotheby’s nelle prime due posizioni, infatti, la Top10 mondiale è quasi tutta cinese con la Poly al terzo posto seguita da China Guardian e Beijing Hanhai Art Auction. Solo al sesto grandino troviamo Phillips de Pury, tallonata però da altre auction house cinesi.
Tutti in Cina: la nuova Eldorado dell’arte – La crescita esponenziale del mercato dell’arte cinese fa gola a molti. In particolare a chi vende arte contemporanea, segmento ancora minoritario se confrontato con quello degli old masters. «Tutti stanno mandando il proprio personale in Cina o aprono una sede ad Hong Kong. – commenta Matt Carey-Williams della Haunch of Venison in un’intervista rilasciata a The Art Newspaper – Vogliono esserci quando il “rubinetto” sarà aperto perché allora ci sarà un mercato immenso da conquistare».
Come sempre accade nei mercati emergenti, anche in Cina i nuovi ricchi hanno cominciato la loro carriera di collezionisti acquistando opere di artisti locali storicizzati. Questo, da un lato, per una sorta di patriottismo – sponsorizzato anche dal Governo -, dall’altro, perché più in linea con i loro parametri estetici. Con l’evolversi dei gusti questi collezionisti cominceranno sicuramente a guardare anche oltre le proprie frontiere e allora è facile prevedere un vero e proprio boom anche per l’arte contemporanea internazionale, in parte preannunciato dal crescente successo che qui stanno riscuotendo i giovani artisti locali. Un successo che, dati i numeri di questo mercato, sta influenzando pensantemente anche i ranking mondiali dei risultati d’asta: più della metà della Top10 internazionale relativa agli artisti contemporanei è composta, infatti, da cinesi e anche se Jean-Michel Basquiat o Andy Warhol sono ancora i giganti del mercato, non ci sarà da attendere molto per vederli sorpassati dai loro rivali orientali, spinti dai nuovi miliardari asiatici.
La Cina e l’arte contemporanea: un rapporto controverso – La partecipazione della Cina alla 54esima Biennale di Venezia la dice lunga su quale sia il rapporto tra il paese asiatico e l’arte contemporanea. Scorrendo i nomi degli artisti chiamati a rappresentare l’arte del proprio paese alla kermesse veneziana, infatti, non solo non si trova nessun blockbuster – e questo sarebbe il meno, visto che il successo in asta non è per forza sinonimo di alta qualità artistica – ma dei cinque selezionati dal curatore Peng Feng solo uno non proviene dall’Accademia Centrale di Belle Arti di Pechino, la più grande istituzione cinese ma anche la più vicina ai dettami del governo. Una partecipazione quanto mai “istituzionale”, dunque, che non vuol tenere conto delle altre importati realtà artistiche del paese, come l’Accademia dello Zhejiang o del Sichuan dove hanno studiato, ad esempio, artisti come Zhou Chunya o Zhang Xiaogang e da cui stanno per uscire le nuove promesse del futuro. Una sorta di censura che, con il silenzio, tenta in modo un po’ pasticciato di far dimenticare cosa succede nel paese: dal caso Ai Weiwei – il cui studio è stato demolito dopo l’arresto – alla chiusura delle mostre di artisti non allineati, fino allo sfratto della colonia artistica di “Weihai Road 696” a Shanghai. A far da contraltare a questa presenza “ufficiale” il padiglione Fuoribiennale. Qui, sotto la guida del curatore indipendente Wang Lin, l’altra Cina dell’arte contemporanea, quella degli artisti non allineati di cui proprio Ai Weiwei può essere considerato il capostipite. Due spazi e un solo paese, prigioniero delle sue contraddizioni ma molto incline a chiudere un occhio quando si tratta di affari. Basti pensare che all’ultima edizione di Art HK – principale fiera asiatica di arte contemporanea e una delle più importanti al mondo – diverse gallerie hanno presentato opere proprio di Ai Weiwei sfruttando la libertà concessa dal governo cinese ad Hong Kong.