In un primo semestre 2015 caratterizzato dal crollo del colosso cinese e dal rallentamento generale delle vendite d’arte nel mondo, ma non dei fatturati, Milano riconquista una posizione di primo piano nel settore delle Aste. Forte dei risultati primaverili di Christie’s e Sotheby’s, il capoluogo lombardo torna nella Top 10 delle capitali del mercato con un fatturato di 42.4 milioni di dollari. A rivelarlo è il report semestrale di ArtPrice che colloca Milano all’8° posto in classifica, subito dopo Canton (42.4 mln $) e prima di Vienna (41.1 mln $) e Monaco (36.0 mln $). Un risultato, quello raggiunto dalle aste milanesi, che la dice lunga sulle potenzialità del nostro mercato, il quale potrebbe certo aspirare ad una posizione ben più alta nel ranking globale.
L’Italia, invece, continua a “galleggiare” sull’1% del valore, contro una Francia e una Germania che rappresentano, rispettivamente, il 7% e il 3% del mercato internazionale dell’arte. Inutile fare paragoni con le altre piazze – Stati Uniti, Cina e Regno Unito -, ma particolarmente significativo appare, invece, il confronto con Parigi. Le aste della capitale francese, da gennaio a giugno, hanno totalizzato oltre 200 milioni di dollari di fatturato. E stiamo parlando di un mercato, quello della Francia, inesorabilmente in declino e tenuto a galla, in primo luogo, dalle vendite di artisti franco-cinesi. Mentre il nostro mercato potrebbe, in questo momento, avvantaggiarsi della grande domanda di arte italiana che proviene dal collezionismo internazionale. Un’opportunità, questa, di cui l’Italia riesce a cogliere solo frutti marginali a causa di una legislazione decisamente non favorevole (Vedi anche: Italia “maglia nera” del mercato internazionale)
Le potenzialità inespresse del mercato italiano
Per capire quanto sia desiderata l’arte italiana nel mondo, basti pensare che l’11% dei grandi collezionisti mondiali di arte contemporanea colleziona artisti italiani, come emerge dal primo Art Collector Report pubblicato da Larry’s List. Il report, peraltro, mette in evidenza anche un altro dato molto interessante per comprendere le potenzialità “inespresse” del nostro mercato. Secondo gli autori dello studio, infatti, in Italia risiede il 3% dei collezionisti mondiali per una cifra che si aggira sulle 120-150 persone. E si tratta solo di una stima al ribasso: in realtà, infatti, la scena italiana è decisamente più “florida” se si tiene presente che il report si riferisce solo a quei collezionisti che hanno una visibilità pubblica, ossia ad una “popolazione” di circa 4000-5000 art collector su un totale di 8000-10.000 persone che nel mondo collezionano arte contemporanea . Ma metodi di analisi a parte, quel 3% ci colloca al pari di Francia, Spagna, Korea del Sud e sopra l’India. Per non parlare del fatto che nel nostro Paese ci sono ben 15 musei privati di arte contemporanea: cifra che ci colloca al 5° posto nel mondo, ad un passo dalla Cina (18), ma ben lontani dalla Germania (45) che occupa la seconda posizione dopo gli States (48). (Vedi anche: Mercato: la “grande fuga” dell’arte italiana)
Far crescere il mercato per far crescere l’Italia
Tutti questi numeri ci dicono una cosa sola: che, per quanto la crisi, negli anni, abbia indebolito la capacità di spesa dei nostri collezionisti, il nostro mercato ha tutti i numeri, in termini di domanda e offerta, per crescere e occupare un posto ben più alto nelle classifiche internazionali. E un mercato sano e performante, potrebbe fornire anche quelle risorse necessarie alla tutela e alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, arginando, almeno in parte, la costante mancanza di fondi pubblici. A patto, ovviamente, che ci si decida a creare un sistema di regole e di tassazione adeguato che, da un lato, faccia sviluppare il nostro mercato e, dall’altro, incentivi il flusso di risorse da questo verso il nostro patrimonio.
Un esempio di quello che potrebbe accadere? Nel Regno Unito il mercato dell’arte attira annualmente flussi ingenti di turisti di fascia alta tanto da generare un fatturato che, qualche anno fa, si attestava sugli 11.6 miliardi di sterline, sostenendo circa 270 mila posti di lavoro, oltre a generare circa 911 milioni di sterline di gettito fiscale. Gli effetti? Direi molto positivi, almeno stando alle parole di Nicholas Penny, ex direttore della National Gallery: «Il mercato incoraggia la visita dei collezionisti e questi hanno fatto molto per sostenere le istituzioni culturali della Gran Bretagna; un mercato dell’arte fiorente permette agli stessi mercanti di essere sostenitori generosi. Senza pensare che il commercio di opere d’arte dipende anche dagli expertise che quindi promuove. I curatori, i mercanti e gli specialisti delle case d’asta imparano gli uni dagli altri e questo è un grande vantaggio per qualsiasi studioso d’arte che qui può vedere molto più di quanto sarebbe possibile se il mercato si trasferisse altrove». Forse una riflessione sarebbe opportuna.