Il 14 settembre scorso, a Manhattan, è stata inaugurata la nuova sede della Pace Gallery al 540 della West 25th Street: uno stabile intero di otto piani, per un totale di 7.000 mq di superficie, progettato dallo Studio Bonetti/Kozerski. I primi tre piani (negli Stati Uniti si considera 1° piano il nostro “Piano terra”) sono destinati alle esposizioni: gli spazi sono caratterizzati dall’assenza di colonne e pilastri, il che permette la massima flessibilità per gli allestimenti.
Il settimo piano sarà invece sede di una programmazione incentrata principalmente sulla multidisciplinarietà, sui nuovi media e sulla performance: Pace Live — questo il nome della stagione che includerà anche incontri e conferenze — prenderà il via il 2 novembre con una settimana dedicata a The Films of Song Dong, documentazione dell’attività performativa dell’artista cinese dagli anni Novanta a oggi. I piani rimanenti sono occupati da uffici e il sesto è una terrazza che offre una bellissima vista su Chelsea. Al 1° piano/Piano terra vi è anche una biblioteca di oltre undicimila volumi tra cataloghi, libri e periodici.
Al momento l’unica esposizione ancora in corso, tra quelle inaugurali, è la bellissima retrospettiva su Alexander Calder, Small Sphere and Heavy Sphere, che chiuderà il 26 ottobre. Si tratta di una mostra che, con molto equilibrio, propone pezzi rari dell’artista senza escluderne le opere più tipiche: si va da venti disegni a inchiostro che il ventisettenne Calder realizzò nel 1925 durante le sue visite agli zoo di Central Park e del Bronx — e che, assieme a un altro centinaio di essi, furono pubblicati l’anno successivo nel volume Animal sketching — alle sculture realizzate con fil di ferro negli anni 1928-29 (inclusa una delle celebri Circus Scene); da sei oli su tela del 1930, alquanto inediti — di cui cinque fortemente influenzati dall’incontro con Piet Mondrian, avvenuto quell’anno — al primissimo mobile costruito da Calder e inserito in una sorta di installazione del 1932/33 che dà anche il titolo alla mostra (questo pezzo, come altri, proviene dalla Calder Foundation). Vi sono poi altre sedici opere che coprono il resto della carriera dell’artista dal 1931 al 1966, inclusi tre grandi mobiles: splendido Red Maze III del 1954.
All’inizio del percorso espositivo vi è anche un brevissimo film del 1933, Mobile Rushes di Jean Painlevé (1902-1989: fu noto soprattutto come documentarista scientifico e in gioventù fu vicino al gruppo dei Surrealisti), che costituisce la prima documentazione cinematografica dei mobiles in movimento, alcuni dei quali attivati dallo stesso Calder all’esterno del suo studio parigino.
Se la Pace Gallery si espande cambiando sede, Gagosian non è da meno. Approfittando del trasferimento della Pace dalla 24ma Strada, nonché della chiusura della Mary Boone Gallery in seguito ai guai giudiziari che hanno portato alla condanna a 30 mesi di carcere della sua fondatrice, giudicata colpevole di frode fiscale, sembra che Larry “Go-Go” abbia acquisito entrambi gli spazi, adiacenti alla sua sede al 541 della 24ma Ovest (una delle cinque newyorkesi, cui si aggiungono altre 12 gallerie sparse in tutto il globo) che in futuro potrebbe così raggiungere un’estensione di circa 2000 mq.
Al momento, Gagosian sta presentando una grande mostra di Richard Serra articolata in tre diverse sedi. Sulla 24ma, fino al 7 dicembre, sono esposti i Forged Rounds, quattro monumentali gruppi di cilindri in acciaio forgiato di varie dimensioni, tutti realizzati nel 2019. Pure del 2019, ma meno interessanti, sono i Triptychs and Diptychs presenti al 980 di Madison Avenue (fino al 2 novembre): venti pannelli in bianco e nero realizzati con paintstick, inchiostro per acquaforte e silice su carta a mano.
Spettacolare è invece la Reverse Curve che rimarrà installata al 522 della 21ma Strada fino al 1° febbraio dell’anno venturo: una scultura in acciaio COR-TEN lunga più di trenta metri e alta quasi quattro, concepita nel 2005 per il progetto pubblico Invito a… ideato da Claudio Parmiggiani per il Comune di Reggio Emilia (che portò, tra il 2004 e il 2006, alla commissione di opere di Luciano Fabro, Sol LeWitt, Eliseo Mattiacci, Robert Morris per la città emiliana) ma ora finalmente realizzata per questa mostra.
Non lontano dalla sede di Gagosian sulla Madison Avenue, da Lévy Gorvy (al numero civico 909) è infine in corso, fino al 26 ottobre, una retrospettiva di Pierre Soulages intitolata A century, in omaggio al centesimo compleanno dell’artista che cadrà il prossimo 24 dicembre e verrà festeggiato con una personale al Louvre di Parigi.
Venti opere ripercorrono la carriera dell’artista dal 1954 fino al maggio di quest’anno — commovente la grafia incerta con cui l’autore firma uno dei quadri più recenti, sul retro dell’unica tela esposta sospesa e non appesa al muro, come l’artista auspicherebbe. La data scelta come punto d’inizio della retrospettiva non è casuale, essendo l’anno in cui Soulages ebbe la prima mostra personale alla Kootz Gallery di New York, con cui avrebbe avuto un rapporto fecondo per più di un decennio.
L’artista era “sbarcato” in America l’anno precedente per la mostra Younger European Painters al Solomon R. Guggenheim Museum; nel 1955 avrebbe esposto al MoMA in The new decade: Two European Painters and Sculptors; la sua presenza in America culminerà poi con le retrospettive del 1968 che toccheranno vari luoghi degli States e del Canada, inclusa la Albright-Knox Art Gallery di Buffalo. È interessante notare come l’attività di Soulages negli Stati Uniti sia stata contemporanea a quella di maestri dell’Espressionismo Astratto come Rothko, Kline, De Kooning, Barnett Newman.
Tutti i lavori presenti in questa retrospettiva, quindi, provengono da collezioni pubbliche e private americane o sono stati presentati per la prima volta negli Stati Uniti. Si tratta di una mostra splendida; l’unica nota dolente è forse l’illuminazione “normale” delle opere, con faretti puntati dall’alto, che non rende giustizia ai giochi di riflessione della luce sul (non)colore su cui si basa l’arte del maestro dell’outrenoir: le grandi campiture di pittura lucide, opache, striate risultano troppo uniformi, e il gioco di sfumature creato dalla luce assorbita o riflessa va un po’ ricercato dal fruitore accorto più che risultare evidente di per sé. (Leggi anche —> I novantanove anni di Pierre Soulages)