Dal 28 febbraio al 3 marzo si svolge a New York The Art Show, nella bella cornice dell’Armory di Park Avenue, l’ex caserma del 7° Reggimento di Fanteria dell’esercito costruita nel 1880 e ora convertita in centro d’arte polifunzionale. Settantadue le gallerie che partecipano quest’anno alla fiera, organizzata dall’Art Dealers Association of America, giunta alla sua 31ma edizione: in stragrande maggioranza newyorkesi, con diverse presenze californiane e pochissime da altri stati.
Arioso e ben organizzato l’allestimento: percorriamolo insieme. Il primo stand che si incontra (A1) è quello di Anthony Meier Fine Arts di San Francisco, che propone degli interessanti lavori su carta di Marsha Cottrell (1964) realizzati con una stampante laser. Forse non è un caso che si cominci con una artista: le presenze femminili in quest’edizione della fiera sono particolarmente importanti, come vedremo.
Segue (A2) la Susan Sheehan Gallery di New York con uno stand dedicato interamente a multipli, tra cui spiccano una piccola, deliziosa acquaforte di Wayne Thiebaud (Candied Apples, 100 es., 1964), una bella litografia e acquaforte di Robert Motherwell (Blue elegy, 30 es., 1981), l’eccellente xilografia dell’artista di origine lettone Vija Celmins (Ocean Surface Woodcut, 75 es., 2000) e tre lavori di David Hockney. I prezzi sono disponibili e sono decisamente esagerati. Se da un lato anche negli Stati Uniti vige, come da noi, la bizzarra usanza di gonfiare i prezzi nelle fiere (per tenere alto il mercato? Poi però ci si lamenta degli invenduti), notavo d’altro canto, in questi mesi di permanenza negli U.S.A., che le quotazioni dei multipli sono in genere decisamente più alte che in Europa, anche in proporzione ai pezzi unici.
Allo stand A3 ci attende una delle proposte di più alto livello della fiera: As artist and subject: women in art di Jeffrey H. Loria & Co. di New York . Si va da un piccolo, prezioso disegno a matita di Picasso (Portrait de femme, 1920) a una foto vintage print di Man Ray, da Jeune femme assise di Modigliani (matita e acquerello su carta del 1915) a due oli su tela di Balthus, passando per Camille Claudel, Niki de Saint Phalle e Bridget Riley… Peccato che, anche qui, i prezzi (in chiaro) siano implausibili, arrivando anche a dieci volte il valore d’asta di alcune opere.
Lo stand successivo (A4) è della Hirschl & Adler Galleries di New York, anch’esso dedicato ad artiste donne: A modern sisterhood. The rise of American women artists, 1900-1960s. D’altro canto, Kayne Griffin Corcoran di Los Angeles (A5) propone una personale della scultrice Beverly Pepper — oggi quasi centenaria — e David Zwirner in partnership con Fraenkel Gallery (A6/B5) una doppia personale che accosta fotografie di Diane Arbus a dipinti di Alice Neel.
Allo stand A7 troviamo la Marian Goodman Gallery, che espone una raffinata scelta di fotografie di Thomas Struth realizzate tra il 1978 e il 2007: splendidi i bianco e nero del ’78 scattati a New York. Saltiamo ora allo stand A10 della Washburn Gallery, pure newyorkese, che dedica una personale ad Alice Trumbull Mason (1904-1971), pittrice di cui Ad Reinhardt ebbe a dire: «Se non fosse per Alice Trumbull Mason, noi non avremmo tanta forza», e Ilya Bolotowsky: «Alice arrivò troppo presto». Influenzata inizialmente da Arshile Gorky, la Mason fu antesignana sia dell’Espressionismo Astratto che di certo astratto geometrico (come testimoniano i lavori esposti nello stand, tutti degli anni ’40), ricevendo poco riconoscimento in vita. Nel 1973, due anni dopo la sua scomparsa, una retrospettiva al Whitney Museum diede inizio alla riscoperta della sua opera.
Un’altra figura poco conosciuta è quella di Elmer Bischoff (1916-1991), cui è dedicato lo stand A13 della George Adams Gallery di New York. Nei primi anni ’50, assieme a David Park e Richard Diebenkorn, Bischoff, abbandonando l’Espressionismo Astratto di cui era stato uno dei primi esponenti nella West Coast, diede vita a San Francisco a quello che sarebbe stato battezzato come Bay Area Figurative Movement. Reminiscenze fauve e postimpressioniste si fondono con retaggi d’astrattismo, dando forma a una figurazione peculiare di cui quest’esposizione coglie il periodo chiave.
Ma ecco spuntare, nello stand della Barbara Mathes Gallery di New York (A15), un bel Fausto Melotti (Senza titolo, ca. 1976), prima presenza italiana assieme ad Agostino Bonalumi (qui rappresentato però da un lavoro mediocre). Notevoli anche un disegno di Hockney e una piccola scultura di John Chamberlain — c’è poi anche un orrendo accrocco di Yayoi Kusama.
Assolutamente interessante lo stand della newyorkese Jill Newhouse Gallery (A17): Eugène Delacroix and 21st century, con bellissime opere di piccole dimensioni del grande artista romantico francese e tre “rivisitazioni” della sua pittura condotte da Cecily Brown, Elizabeth Peyton e Peter Doig.
Dopo vari stand meno degni di nota, arriviamo alla personale che Hauser & Wirth (B3) ha voluto dedicare al recentissimo acquisto della sua scuderia: Roberto Cuoghi. I nuovi lavori, come si sa, sono Putiferio — iniziato nel 2016 sull’isola greca di Hydra — che vede la riproduzione di granchi e pesci, acquistati al mercato ittico locale, grazie a una scansione, alla stampa 3D e infine a un processo di cottura con forni speciali costruiti dall’artista; e poi Ether en Flocons (2016-2018), composto da dieci uccelli fatti di agar-agar e gelatina di maiale, creati da un unico stampo in cui la sostanza, durante la solidificazione, risulta vulnerabile a batteri e muffe che quindi ne determinano l’alterazione. Si tratta di una sorta di filiazione del lavoro svolto da Cuoghi in Imitazione di Cristo, la grande installazione presentata alla Biennale di Venezia del 2017, ed è un’ulteriore declinazione di uno dei temi portanti dell’opera dell’artista modenese: quello della metamorfosi. Devo tuttavia confessare che, pur essendo stato un sostenitore entusiasta dell’opera della Biennale, rimango piuttosto perplesso di fronte a questi nuovi lavori.
Man mano, proseguendo il percorso, diminuiscono le proposte veramente interessanti, però allo stand C6 troviamo una delle esposizioni migliori di tutta la fiera: quella della Donald Morris Gallery di Birmingham, Michigan (che ha anche una sede newyorkese), con opere importanti di Jean Dubuffet, due bei piccoli Calder (uno stabile-mobile degli anni ’50 e uno stabile del 1960) e due opere su carta di Sam Francis del 1958. Poco dopo (C8) Michael Werner espone opere recentissime di Markus Lüpertz, artista che non amo particolarmente ma che presenta qui alcuni lavori potenti.
Notevole lo stand della Galerie Lelong & Co. (D2) dedicato a Carolee Schneemann, dove oltre ai combines dei primi anni ’60 e ad alcune foto, vengono presentate due tele del 1959-1960 testimoni di un primo periodo astratto dell’artista americana.
Altri artisti italiani li troviamo alla Luxembourg & Dayan (D6): un bellissimo Fontana con cinque tagli su fondo blu e una grande biro su quattro pannelli di Alighiero Boetti. Per curiosità mi informo sui prezzi e, con mia sorpresa, questa volta non sono troppo lontani dalle quotazioni d’asta. In questo stand segnalo anche una bella Antropometria di Yves Klein.
Siamo in dirittura d’arrivo: vale la pena visitare ancora lo spazio della James Goodman Gallery (New York-Buffalo; stand D9) che presenta una delle offerte più ricche di tutta la manifestazione. Da Picasso e Miró a Giacometti e Calder; da Dubuffet e Louise Bourgeois a Kline e Motherwell; da Keith Haring a Alex Katz: una sorta di epitome delle proposte in fiera, e anche con prezzi piuttosto plausibili. Subito dopo, allo stand D10, la storica Castelli Gallery, con una rassegna interamente dedicata a disegni di Roy Lichtenstein: dove si dimostra che quest’artista — come il suo collega Warhol — era un eccellente disegnatore. Anche questo, uno degli stand più belli della fiera.
E, per finire, ci soffermiamo nello spazio (D24) della newyorkese Davidson Gallery che espone, tra l’altro, tre belle opere di Calder (una gouache del 1950, un bel mobile del 1957 e un piccolo stabile-mobile del 1960 ca.) e due sculture di Henry Moore. Ma qui si ritorna a prezzi folli.
In conclusione, di questa fiera colpisce, oltre all’amplissima presenza femminile, la limitata proposta di artisti giovani (e in ogni caso non di grande qualità), come pure l’assenza di quasi tutti gli artisti viventi considerati blue chip. Evidente invece il tentativo di rivalutazione o riscoperta di autori americani della prima metà del Novecento, anche classicamente figurativi, che però probabilmente non troverebbero un mercato internazionale. Non ci sono molti capolavori in mostra, ma il livello medio delle esposizioni è decisamente alto, grazie soprattutto all’attenzione per la coerenza tematica da parte di quasi tutti i galleristi.