Quando si entra in una grande fiera internazionale come Paris Photo (14-17 novembre 2013), molti di noi credono di carpire i segreti della fotografia contemporanea. Dopo la visita alle prime dieci gallerie, si comprende come la globalizzazione e la mondializzazione dell’immagine non abbiano fatto bene per la comprensione del fenomeno. La confusione dei generi è al massimo, così come quella dei formati: si va dalla fotografia fatta con la Photomaton delle dimensioni di 3×5 cm. (intitolata “autoritratto (!) di un cane”) alle foto di Jurgen Teller formato 5×2 mt. includenti ex modella nuda ed avvizzita.
Poca luce anche sulla fotografia di ricerca (sul linguaggio della fotografia), presente solo in tre gallerie su centocinquanta. Per prima, la Galleria Guido Costa Project che presentava un lavoro del francese Paul Thorel di 5×3 mt: da lontano sembra la fotografia di un panorama lacustre in un delicato tono di grigio, ma da vicino si rivela… un tappeto, appeso al muro. Non sappiamo quanti visitatori abbiano colto la sottile ironia (dell’autore e/o del gallerista): la fotografia è, oramai, un oggetto di arredamento e non più finestra o specchio del mondo; per cui, al diavolo i problemi di vintage o di tiratura, una fotografia serve solo per decorare le pareti di casa!!
Poi, la Galleria Rolf Art che presentava un’installazione dell’argentina Graciela Sacco intitolata “Incrostazioni fotografiche su tavole di legno trovate (pezzo unico)”. In sostanza, delle assi di legno con applicato un supporto fotografico sul quale si è stratificata una qualche traccia di realtà (se non mettevano la didascalia si poteva scambiarle per delle assi abbandonate al momento del montaggio dello stand). Anche qui, una sottile ironia e la riproposizione di un percorso già appartenuto alla storia della pittura: basta con le fotografie stampate sulla carta, passiamo alle fotografie applicate su qualunque materiale (speriamo che il prossimo anno qualcuno non pensi alle fotografie di Korda o di Burri, rappresentanti Che Guevara, stampate sulla carta igienica!).
Terza sorpresa, alla galleria Brancolini Grimaldi (una delle due gallerie italiane in fiera) che proponeva una piccola installazione di Claire Strand (Color in motion, 2013) definita come in “Beskpoke electronic mutoscope with 50 6×4” photographic exposed paper panels”: cioè 50 carte fotografiche (nelle variazioni dal nero profondo al grigio chiaro) che ruotavano vorticosamente attorno ad un asse (affascinante nella sua dimensione concettuale: la realtà, anche in bianco e nero, è fatta di sfumature).
Per il resto, la fotografia italiana quasi non esiste: qualche Ghirri “autentico”, in quanto proposto con fotografie ristampate dalla vedova (perlomeno è quello che ci è stato detto dalla galleria parigina Sage), alcune foto di Massimo Vitali, di Martina Bacigalupo, una di Giuseppe Cavalli (piccola, bellissima – si riconosceva la spiaggia di Senigallia – anche firmata) nello stand di un libraio di New York.
Veramente troppo poco, ma la spiegazione può essere la scarsa credibilità dei fotografi italiani all’estero, nel senso che il loro prodotto può essere anche di ottimo livello, quella che non va è la gestione successiva.
Poco viene ritenuto alla vista, se non le sempre eterne fotografie delle origini proposte dalla Galleria Hans P. Kraus, Jr. Inc (tra cui un calotipo di Fox Talbot esposto in fac-simile, con l’originale da vedere su richiesta); una stampa negativa (unica al mondo) di “Dovima with elephant” di Richard Avedon ed una “Moonrise, Hernandez, New Mexico”, 1941, di Ansel Adams, dichiarata “originale”, ma che non sembrava certo una stampa del 1941, anno di ripresa; la sempre eterna esposizione di vintage presso la Galleria Francoise Paviot, massima esperta in Francia sulla fotografia tra la prima guerra mondiale e gli anni ’50.
Banditi, in ogni possibile forma, il sangue e la povertà: in fondo il collezionista sembra averne abbastanza di questi argomenti, visti attraverso la televisione ed internet, e non se li vuole anche trovare nei cassetti o sui muri di casa!
Da voci di corridoio, nella prossima edizione ci sarà anche una sezione video, così come introdotta a Paris Photo Los Angeles, nella primavera di quest’anno. In fondo, un’edizione di Paris Photo che guardava non solo alle gallerie specializzate, ma anche alle gallerie non specializzate: in una parola, il tentativo di far vedere, nella sua globalità, la foto contemporanea, da qualunque punto la si consideri.
Ma Parigi, in questo periodo, non è solo Paris Photo: quest’anno non vi è il “Mois de la Photo”, ma non se ne è sentita la mancanza. La concorrenza, innanzitutto: “Fotofever” (semplicemente orribile come nome, sicuramente odiato dai francesi), fiera di gallerie (soprattutto belghe svizzere e giapponesi) installata negli spazi del Carrousel du Louvre, dove fino a tre anni prima vi era Paris Photo, con proposte nuove, quasi adrenaliniche. L’Italia era ben rappresentata da tre gallerie (Sabrina Raffaghello di Alessandria, Riccardo Costantini di Torino, Paola Sosio di Milano), tutte con autori nostrani (anche il padovano Marco Maria Zanin) che ben figuravano accanto alle altre gallerie straniere. Nello stand di una di queste (di Lugano) degli esemplari splendidi di Luigi Ghirri, dai colori delicati e soffusi, tipici della sua fotografia; in altre gallerie proposte autoriali, coraggiose ed intriganti, con un buon risultato di pubblico e di vendite.
E poi, il resto di Parigi: Festival Photo Saint Germain-des-Prés, un festival di fotografia organizzato da centinaia di gallerie locali, eccezionale per la scelta degli autori: su tutte, le stampe post-mortem delle opere di Vivianne Maier (babysitter nella vita vissuta) e scoperta come grande fotografa di street photography solo dopo la morte, tra Lisette Model, Lee Friendlander e Diane Arbus.
E poi “Photovintage”, un mercatino di fotografie vintage; e l’Off Print, all’Ecole des Beaux Arts, un salone della piccola e media editoria fotografica indipendente. Da “Le Bal” (in Place de Clichy) – oramai il luogo più frequentato della fotografia parigina – Mark Cohen, fotografo surreale e destrutturato, per un grande esempio di fotografia di strada.
Ma il momento più importante del periodo, sono state le aste di fotografia: ma non tanto quella di Christie’s, quanto la dispersione (parziale) dei “Fonds photographique de l’Institut Catholique de Paris”, grande istituzione cattolica (con scuola, campus, ecc.) che nel corso di decenni ha avuto migliaia di donazioni fotografiche, solo in tempi recenti riordinate e valorizzate. Per finanziare le attività sociali e il nuovo campus (la spending review è attiva anche in Francia) si è deciso di alienare parte dei fondi fotografici. L’asta è stata tenuta da Ader Nordmann, presso Drouot, domenica 17 novembre: tra i lotti in vendita, ampia scelta di foto veneziane di Naya e Bresolin, a prezzi accessibili (in base d’asta). Per ultimo, sempre tramite Ader Nordmann, presso Drouot, il 30 novembre scorso, un’importante asta di libri fotografici; si tratta della messa in vendita dell’intera biblioteca di Jean-Pierre e Claudine Sudre, due eminenti storici della fotografia francese: pezzi unici, spesso controfirmati dai fotografi medesimi, a prezzi tra i 100 € e 2000€ (base d’asta).