L’arte contemporanea italiana vola nelle aste internazionali ma questo sembra riflettersi solo in modo marginale sul mercato del nostro paese. Nella top ten stilata da ArtPrice nell’ultimo rapporto annuale presentato all’edizione 2011 della FIAC, l’Italia si colloca, infatti, all’ottavo posto con un fatturato, tra luglio 2010 e giugno 2011, di 6.7 milioni di euro. Un terzo rispetto ai nostri cugini d’oltralpe che occupano la quinta posizione con oltre 20 milioni di euro e sono la seconda piazza europea dopo il Regno Unito. Meglio di noi anche la Germania con 6.9 milioni di euro.
Il nostro paese, anche nel settore delle aste di moderna e contemporanea, sembra soffrire più di altre piazze europee la congiuntura economica negativa. Appare scarsamente internazionalizzato e debole sul fonte dell’offerta. Anche se, in particolare per gli appuntamenti più importanti, il “pubblico” straniero gioca un ruolo fondamentale. Ma non è solo questo che frena il Bel Paese, come ci spiega Mariolina Bassetti, Vice-Chairman e Direttore Internazionale nel Dipartimento di Post-War & Contemporary Art di Christie’s.
Nicola Maggi: Christie’s è presente da oltre trent’anni in Italia. Come è cambiato il mercato dell’arte italiana dagli anni Settanta ad oggi?
Mariolina Bassetti: «Il mercato dell’arte moderna e contemporanea è cambiato enormemente. Se negli anni Settanta l’arte contemporanea cominciava ad essere una modalità di vita, un atteggiamento, una passione che governava una determinata tipologia di persone, spingendole a cercare nuove esperienze nell’arte e, in qualche modo, a sovvenzionare gli artisti e ad acquistarne le opere a cifre molto contenute, oggi l’arte contemporanea è uno dei settori più importanti dal punto di vista economico. E’ un vero e proprio investimento alternativo. La grande forza economica dell’arte contemporanea italiana è nata, anche se in modo non ancora cosciente e consapevole, negli anni Sessanta-Settanta. Oggi le opere di quel periodo, e parliamo di artisti come Fontana, Boetti, Castellani o Manzoni, sono ormai definitivamente storicizzate e sono diventate accessibili solo ad un’élite che non è per forza prettamente culturale. Anzi, l’élite culturale che le apprezza da un punto di vista artistico, spesso non può permettersele. Sono collezionabili soltanto da un certo tipo di persone che non sono soltanto conoscitori ma anche uomini facoltosi, che possono decidere di investire nell’arte sia come oggetto di una passione che come bene rifugio. Quindi è un mercato molto diverso».
N.M.: Lo dimostrano i risultati, sempre positivi, delle Italian Sale…
M.B.: «Sì, nel 2000 abbiamo cominciato le aste di arte italiana che hanno come palcoscenico Londra e da cui abbiamo avuto risultati stupefacenti. Rappresentano, allo stesso tempo, un trampolino di lancio e l’apice di tutto un lavoro che era stato fatto precedentemente sull’arte italiana e sulla storicizzazione di una serie di artisti che erano stati, da sconosciuti a livello culturale, gettati su un mercato che era internazionale solo per pochi di loro. Di fatto solo per Burri, Fontana e Manzoni. Per tutti gli altri non c’era ancora stata una storicizzazione economica. Da questo punto di vista le Italian Sale hanno significato, contemporaneamente, storicizzare, anche dal punto di vista artistico, alcuni artisti italiani che non erano particolarmente conosciuti se non da un strettissima élite internazionale e, allo stesso tempo, renderli economicamente molto più prestigiosi».
N.M.: Questo successo, a livello internazionale, dell’arte italiana non sembra riflettersi in modo adeguato sul mercato italiano. Come mai?
M.B.: «Nell’ultimo anno, il segmento di mercato che ha funzionato meglio è quello alto. Le Italian Sale sono un concentrato di una cinquantina di opere di qualità altissima che ha come obiettivo quello di presentare sul palcoscenico internazionale la miglior produzione dei migliori artisti italiani. Nei nostri cataloghi che, peraltro, sono molto didattici, viene presentato il meglio; quell’alta qualità che ha ancora oggi e soprattutto oggi un potere economico enorme. Nelle aste di Milano la qualità è medio-bassa, è minore rispetto a quelle di Londra che sono aste serali a tutti gli effetti. Per questo oggi si risente di una flessione, di un momento economico che internazionalmente è meno brillante rispetto a qualche anno fa».
N.M.: Questo, immagino, vale anche per anche le altre Case d’Asta italiane…
M.B.: «A maggior ragione… »
N.M.: Qual è il livello di internazionalizzazione delle vostre aste milanesi?
M.B.: «Molto alto. Nelle aste italiane molti compratori sono internazionali. Consideri che, nella penultima asta, 7 compratori sui primi 10 top lot erano stranieri. E’ una percentuale molto importante».
N.M.: Dagli ultimi dati sui trend del mercato di arte contemporanea divulgati da ArtPrice emerge un dato che colpisce: il mercato italiano ha un fatturato pari a circa un terzo di quello della Francia, paese a noi culturalmente affine. Come spiega questa differenza?
M.B.: «Perché la Francia ha un gruppo di artisti molto quotati che sono gli impressionisti e che rientrano completamente in questo reparto. Monet, Manet, Pizzaro, Renoir vengono venduti nella aste di Impressionist and Modern francesi. Noi, invece, abbiamo da un lato meno artisti internazionali che vengono venduti a svariati milioni di euro nelle nostre aste. Dall’altro dobbiamo fare i conti con una legge estremamente penalizzante che risale al 1939 e per la quale se un’opera che ha più di cinquanta anni appare in un asta pubblica può essere notificata perché ritenuta importante per il patrimonio artistico nazionale. E questo rappresenta una penalizzazione enorme per il mercato. Lo Stato italiano, infatti, può notificare ma non è tenuto a comprare. Questo comporta, ad esempio, che il proprietario di una “Velocità d’automobile” di Balla non la voglia vendere in asta parchè ha una buona possibilità che la sua opera venga notificata e che, quindi, il suo valore diminuisca di almeno il 20-30% perché non può più essere venduta all’estero. Mentre in Francia lo Stato, in questi casi, o la ritiene un’opera importante e la acquista al prezzo d’asta o non interviene. E questo è sancito da una legge. Le faccio un esempio: il De Chirico venduto all’asta di Yves Saint Laurent a Parigi è stato comprato dal Centre Pompidou. Come vede, nel caso francese, la legge non è un limite per il mercato ma un motivo in più perché queste opere raggiungano prezzi alti: il museo ha partecipato all’asta e ha fatto sì che venisse venduta a 11 milioni di euro, segnando così un nuovo record. E l’opera, comunque, è andata a finire in un museo. In Italia questo non succede».
N.M.: Un recente sondaggio di ArTactic sulla fiducia nel mercato ha evidenziato, per i prossimi mesi, un outlook negativo per Europa e Stati Uniti. In particolare per le opere che si collocano nelle fasce di prezzo bassa e medio-bassa. Che previsioni avete per il 2012?
M.B.: «L’andamento del mercato non credo debba essere letto solo in termini di prezzo. E’ la qualità delle opere che fa la differenza. Dato che non abbiamo assistito ad una diminuzione di interesse da parte dei collezionisti, sia vecchi che nuovi, non credo che possa esaurirsi la fiducia in questo nostro settore. Del resto bisogna ricordare sempre che ciò che spinge a comprare arte è innanzitutto la passione».