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A Venezia la mostra dei finalisti del Premio Arte Laguna

del

Il 17 marzo scorso, a Venezia, si è inaugurata la mostra dei finalisti della dodicesima edizione del Premio Arte Laguna nella suggestiva cornice delle Nappe dell’Arsenale, ovvero la parte nord del grande complesso che ospita normalmente la Biennale (dalla stazione ferroviaria o da Piazzale Roma ci si arriva con la linea di vaporetto 5.2, fermata Celestia). La mostra, a ingresso gratuito, si concluderà l’8 aprile. 115 gli artisti finalisti nelle cinque sezioni previste, e mostra molto interessante, con diversi lavori di ottimo livello.

Nadine Grenier - O'clock
Nadine Grenier – O’clock

Già subito dopo l’ingresso troviamo un’opera geniale: O’clock dell’artista francese Nadine Grenier (1983); si tratta di un’installazione di 300 orologi le cui lancette sono sincronizzate in maniera tale da comporre, ogni 30 minuti, una scritta leggibile, che è una frase di Jules Romains: «Le temps passe, et chaque fois qu’il y a du temps qui passe, il y a quelque chose qui s’efface» («Il tempo passa, e ogni volta che vi è del tempo che passa c’è qualcosa che scompare»). Poco più in là, un’altra opera molto interessante, Hotel del collettivo turco Oddviz: una fotogrammetria che utilizzando 10.000 immagini di interni ed esterni di un hotel, elaborate al computer, visualizza la struttura architettonica in una maniera simile alle scansioni diagnostiche mediche in 3D, permettendone la visione con prospettive otticamente impossibili.

Hotel del collettivo turco Oddviz
Hotel del collettivo turco Oddviz

Il Primo Premio per “Scultura, Installazione e Arte Virtuale” è andato in verità alla coppia giapponese Yukawa-Nakayasu, ma trovo la loro installazione A survey for the history of fertility. Falls from the skies molto meno significativa, oltre che delle opere su citate, anche di diverse altre. Ad esempio Woven into the warp and weft of our land; Blood Blood Blood (“Intessuto nell’ordito e nella trama della nostra terra; Sangue Sangue Sangue”) del duo iraniano Mohsen & Mehdi Meysami (un tappeto kilim sventrato al centro, con i fili pendenti che evocano sangue che gocciola: una bella metafora degli effetti delle guerre sul popolo innocente); oppure l’opera concettuale Technical Research del sudafricano Benjamin Stanwix (104 fogli su cui un brano di Karl Marx viene tradotto in 102 lingue diverse tramite Google Traduttore: ogni traduzione riprende quella precedente, aggravando la serie di inevitabili errori, così che, alla fine, del lungo brano iniziale non rimangono che due parole: Technical research appunto); o ancora l’installazione video a due canali The Democratic People’s Republic of United States. Threat for Peace della sudcoreana Yuli Sung, dove, muovendo tessere di plastica bianche rosse e blu, la bandiera statunitense viene gradualmente trasformata in quella nordcoreana e viceversa, mentre sui due diversi canali il sonoro riporta discorsi governativi di entrambe le parti che si scagliano l’una contro l’altra con argomentazioni sostanzialmente analoghe.

Mohsen & Mehdi Meysami - Woven into the warp and weft of our land; Blood Blood Blood
Mohsen & Mehdi Meysami – Woven into the warp and weft of our land; Blood Blood Blood

Sempre nella sezione “Scultura” vi è anche un’opera del canadese Louis-Philippe Demers (1959), autore di installazioni robotiche interattive ed esponente di tutta una scuola québécquoise di arte cibernetica e digitale che fu protagonista nel 2015 di Digitalife/Luminaria al MACRO di Roma.

Yuli Sung - The Democratic People's Republic of United States
Yuli Sung – The Democratic People’s Republic of United States

 

Meno interessante la sezione “Videoarte e Performance”, vinta dalla polacca Paula Tyliszczak (1986); anche qui, l’opera a mio parere più valida è invece il video divertente e paradossale La barca del giovanissimo russo Valerio Gaken (1997): in realtà un vero e proprio cortometraggio a soggetto, ben girato e dalle immagini di grande bellezza (e con un’interessante colonna sonora che va da Johnny Cash a Benjamin Britten), che porrebbe tuttavia il problema teorico del confine tra videoarte propriamente detta e cinema…

Laura Sansavini - Marfa
Laura Sansavini – Marfa

La sezione “Pittura”, vinta dal vicentino Alessandro Fogo (1992) è decisamente poco interessante, per non dire brutta; è invece la “Fotografia e Grafica Digitale” ad essere forse la sezione di livello mediamente più alto: segnalo, oltre al duo spagnolo vincitore Rojo Sache (Rosa Isabel Vázquez, 1971 e José Antonio Fernández, 1976), le opere Endless Empire I di André Souza (Brasile, 1988) e Marfa dell’italiana Laura Sansavini (1983) che sembra ripercorrere, in un bianco e nero estremamente espressivo, i paesaggi urbani a colori, desolati e iperrealisti, di fotografi come William Eggleston e Stephen Shore. Un altro bellissimo b&n è quello di Arctic Art/Composition of the moment I di Angelika Schilling (Germania, 1954); e poi ancora ci sono il ritratto dell’artista Tom Duncan della taiwanese Isa Ho (1977), una foto della serie Ladies di Romina Ressi (Argentina, 1981), Game Arcade del bolognese Angelo Vignali (1987) e il dittico Carousel del siracusano Antonio Privitera (1984).

Angelika Schilling - Arctic Art_Composition of the moment I
Angelika Schilling – Arctic Art_Composition of the moment I

 Vi è infine anche una sezione dedicata a “Land Art e Urban Art”, di cui è risultato vincitore lo spagnolo Gonzalo Borondo (1989) per l’intervento site-specific Cenere.

Sandro Naglia
Sandro Naglia
Nato nel 1965, Sandro Naglia è musicista di professione e collezionista d’arte con un interesse spiccato per gli astrattisti italiani nati nei primi decenni del Novecento e per quelle correnti in qualche modo legate al Pop in senso lato (Scuola di Piazza del Popolo, Nouveau Réalisme ecc.).
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