Se l’arte è considerata espressione della propria contemporaneità, che spesso anticipa e riflette sentimenti e fenomeni attuali, invocando un maggiore senso di responsabilità o suggerendo delle considerazioni su fatti, sentimenti e situazioni correnti; il progetto di residenza ZOLLE, in collaborazione con Antonello Colonna Resort e ADA (Your Art and Design Advisor – piattaforma di consulenza in ambito arte e design) di Carlotta Mastroianni, appare assolutamente in linea con questa considerazione.
L’essere umano è parte della natura o ne è separato?
Un interrogativo oggetto dell’indagine, che pone le sue basi su un pensiero non antropocentrico dell’uomo. Visione tipica di società antiessenzialiste (basate su principi di reciprocità e scambio); che si fondano su relazioni interspecifiche e di antropomorfismo (con attribuzioni di qualità umane e animali) o ancora di ricerche ontologiche (che studiano l’essere in quanto tale con le sue connessioni)1. In antitesi con le società moderne in cui il grado di sviluppo industriale e tecnologico è più avanzato, e la cui relazione con il cosmo è sovraccarica di elementi e sonorità, che agiscono sulle capacità percettive dell’uomo, disabituandolo a un contatto più autentico.
Una sensibilità, quella tra l’uomo e la natura, che si sta, però, lentamente diffondendo su più fronti. Da parte della comunità scientifica, dei rappresentanti della politica (lo conferma il risultato ottenuto alle ultime elezioni europee, che ha visto il partito dei verdi, aumentare considerevolmente i propri seggi), delle associazioni mondiali e dei cittadini. Entità che attraverso una serie di iniziative e di scelte praticate, cercano di intraprendere un percorso di avvicinamento e di riappropriazione di quella relazione deviata.
ZOLLE si pone in quest’ottica, partendo dalla considerazione di una condizione di reciprocità che l’uomo instaura con la terra. Il luogo è il resort di lusso a Labico di Antonello Colonna, che coniuga l’estetica del beton brut (cemento grezzo a vista coniato da Le Corbusier) a un’idea di sostenibilità (azienda agricola, zootecnica, casearia e che si autosostiene energeticamente attraverso l’utilizzo di biomasse) a pochi chilometri da Roma. Carlotta Mastroianni racconta di come ne sia rimasta colpita:
«Sono un architetto e ho colto le potenzialità del luogo concepito con grande versatilità. Si tratta di uno spazio multifunzionale completamente immerso nella campagna, con grandi vetrate, realizzato con moduli prefabbricati per capannoni industriali. Rappresenta un’idea di recupero che diventa espressione di bellezza, con l’estetica del cemento alle pareti e dei pavimenti di resina. Si trova nel parco di Valle Fredda, a fianco l’antica via Labicana, nelle vicinanze il Tempio della Dea Fortuna e i resti di basalto. Un posto che restituisce un dialogo tra il passato e la visione futuristica del resort, inserito in un contesto naturale. Una natura che abbiamo imparato a distruggere e allontanare ma che è parte di noi. Penso che il grande inganno dell’architettura sia stato quello di chiuderci dentro uno spazio, lasciando l’ambiente fuori».
Sono tre le artiste, legate al territorio, invitate a una riflessione attraverso la realizzazione di opere site specific, che troveranno conclusione con una mostra singola per ognuna di loro, curata da Lorenzo Rubini. Nel tentativo di ristabilire equilibri perduti, Alice Paltrinieri (Roma,1987- ospitata a Marzo), Viola Pantano (Alatri 1987, attualmente con la mostra in corso fino al 15 Agosto) e Donatella Spaziani (Ceprano, 1970 –la sua presenza è prevista a settembre) forniscono sguardi e suggestioni, che possano suscitare interrogativi sollecitando la sensibilità dello spettatore.
«Abbiamo scelto – spiega Mastroianni – per il progetto zero artisti che conoscessero il territorio per poter stabilire un dialogo più diretto. Uno degli aspetti difficili della residenza è che trascorrono molto tempo da sole, ma credo che sia per loro anche motivo di sfida e stimolo. Per la prossima edizione ci farebbe piacere coinvolgere anche artisti internazionali».
Alice Paltrinieri è abituata a indagare gli spazi e le architetture industriali, producendo opere come residuali di un mondo che lascia fratture e resti, a cui restituire un’altra occasione. Un esempio del suo modo di procedere è RM (2018), una lastra di travertino romano, separata in due parti in maniera irregolare, presentata in mostra accanto alle opere nuove. Spaccature evidenti nelle imperfezioni della materia e nella sua apparente fragilità, che segue i segni del tempo o i movimenti naturali. Materia che recupera in loco o che simula attraverso la riproduzione cartografica di strutture cementizie, in un dialogo perfetto con l’impianto dell’edificio brutalista. Minimaliste le due sculture Ratafià, di ferro, specchi e acrilico, in un apparente equilibrio precario, tra ciò che resta del passato e il nuovo che avanza, in una continuità perfetta con l’ambiente, tra linee e materiali. Una coerenza tracciata anche dalle irregolarità presenti nell’impianto cementizio del resort, che sono riprodotte attraverso i disegni su carta della serie A.C. Labico, collocati accanto alle fenditure originarie. E sono ancora una volta, gli squarci e le lacerazioni a interessare il lavoro dell’artista, riprodotte dallo spostamento del terreno, nel video presentato in occasione della mostra, che rimandando in una continuità visiva, alle rotture della resina che caratterizza il pavimento interno.
Viola Pantano sperimenta con installazioni, fotografie e sculture, un linguaggio che scardina il concetto stesso di realtà e lo fa, con una capacità espressiva che agisce su più aspetti polisensoriali. Suggestiva la fotografia Per il titolo chiedere allo chef (2019), che raffigura il resort con Antonio Colonna e le pentole smaltate di rosso. Dettaglio quest’ultimo che compone la scultura Colonna 2019 (una donazione dell’artista e di ADA al resort), che rievoca la storia dello chef e l’importanza della porta rossa, come continuazione di una memoria personale e professionale. Il mondo reale (naturale e prodotto dall’uomo) entra prepotentemente nello spazio, con opere che si manifestano lentamente. Dalla parete in cemento grigio emerge una macchia verde illuminata dalla grande vetrata, che piano piano che ci si avvicina si definisce. 2000 bruchi in resina si arrampicano sul muro in Being becoming (2019), simbolo dell’invasione di un essere destinato alla trasformazione naturale. Smog (2019) è invece, un vecchio frigorifero Smeg. Una scritta per terra invita lo spettatore a aprire la porta e liberando una colonna di fumo (con una macchina da fumo) simula l’inquinamento prodotto dall’uomo. A integrazione della mostra alcune opere dell’artista precedentemente realizzate: Sp_cchio di cielo stampa uv su specchio e ferro (2019), Humanità- this is not a selfie (2018 –resina e foglia d’oro) una riflessione su cosa significhi essere umani, Emergency likes (2018 – materiali vari) e alcune stampe fotografiche: C- Osmos.is (2017), Selfportrait (2017), Una giovane donna anzi 17, un’isola, il KSC, uno space shuttle: l’Atlantis (2017).
Nell’attesa della residenza di Donatella Spaziani e di quale sarà il suo dialogo con la natura, la riflessione che nasce dalle opportunità che ci vengono offerte dall’arte, è proprio quella di porci degli interrogativi. Di elaborare una capacità critica autonoma rispetto a quello che è il nostro ruolo di ospiti a tempo, in uno spazio (la Terra), in continuo mutamento per connotazione naturale e come conseguenza dell’azione dell’uomo. Di capire, sfruttando le capacità cognitive, le competenze e le ricerche scientifico-tecnologiche, le possibilità relazionali che si possono costruire in una posizione non dualistica uomo-natura.
_________________________
1 Dialoghi con i non umani, a cura di Emanuele Fabiano e Gaetano Mangiameli, MIMESIS/Molino