La famiglia è un ecosistema complesso, fatto di equilibri che si costruiscono col tempo e di legami talmente forti che neanche la morte riesce a recidere. Di tutto questo ci parla, fino al 20 luglio, Questioni di famiglia, la nuova mostra organizzata del Centro di Cultura Contemporanea – CCCStrozzina di Firenze. Una riflessione sul concetto di famiglia nel mondo contemporaneo che si snoda attraverso i lavori di 11 artisti internazionali, ponendo l’attenzione su una tematica che raramente viene affrontata dal mondo espositivo internazionale, ma che da tempo coinvolge il lavoro di grandi nomi dell’arte: Thomas Struth, Sophie Calle o Nan Goldin, tanto per fare i nomi di alcuni degli artisti in mostra.
Questioni di famiglia, spiegano i curatori Franziska Nori e Riccardo Lami, «propone un’analisi delle dinamiche e delle immagini che caratterizzano una famiglia e ciò che si nasconde dietro di essa. I video, le fotografie e le installazioni in mostra affrontano e decostruiscono il concetto di famiglia, unendo la soggettività autobiografica di ciascun artista a una ricerca di significato condiviso su quei legami culturali, morali, etici, biologici, che ancora oggi definiscono e individuano una famiglia».
Il percorso espositivo si apre con una selezione di opere dalla serie Familienleben (vita familiare) di Thomas Struth, tra i massimi esponenti della fotografia contemporanea e appartenente alla cosiddetta scuola di Düsseldorf. Partendo dalla teoria delle Costellazioni familiari elaborata dallo psicologo Bert Hellinger, Struth propone un’analisi esperienziale delle relazioni familiari nel loro essere in un continuo equilibrio tra vita privata e apparenza pubblica.
Una “sospensione” tra realtà e finzione che ritorna anche nella videoinstallazione di Hans Op de Beek (The Stewards have a party) che decostruisce il modello tradizionale del ritratto familiare impedendoci di capire chi siano veramente le persone che abbiamo davanti e il loro ruolo, spingendoci ad una riflessione su quale debba essere la reale definizione di famiglia. Definizione spesso legata ad una serie di stereotipi su cui si sofferma il lavoro di Trish Morrisey che, nei ritratti della serie Front, si sostituisce alle madri di reali nuclei familiari. Un’azione artistica che mette in risalto quella realtà superficiale, quasi da cartolina, che il ritratto di famiglia ferma, nascondendo i caratteri dei singoli, le tensioni o i legami tra i vari personaggi.
Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini presentano, invece, una [glossary_exclude]installazione[/glossary_exclude] site-specific: la ricostruzione frammentaria di uno spazio domestico, un luogo in cui il pubblico è invitato ad entrare e ad “intercettare” quattro dialoghi privati trasmessi in altrettanti punti di ascolto. Un’opera relazionale che sottolinea la difficoltà e la necessità del dialogo familiare e, allo stesso tempo, la quasi impossibilità, per un esterno, di inserirsi in certe dinamiche private.
La realtà familiare contemporanea è fatta, però, anche di distanze geografiche, di figli che se ne vanno lontano per studiare o lavorare, creando, all’interno della famiglia, un’assenza apparente. Il nucleo sembra frammentarsi, ma non per questo scompaiono i legami. Partendo dalla sua esperienza personale di artista originario di Singapore trasferitosi a New York per lavoro, il giovane John Clang riflette su questa particolare condizione della famiglia contemporanea e sull’opportunità che le nuove tecnologie (skype in primis) offrono di reintegrare, almeno virtualmente, l’originario nucleo familiare.
E se l’israeliano Guy Ben-Ner, con il video Soundtrack, proietta la famiglia nella realtà sociale facendola fuoriuscire dalle mura domestiche, i lavori di Chrischa Oswald e Courney Kessel affrontano, invece, i fragili equilibri e i contrasti nel rapporto madre-figlia. Mentre le opere di Nan Goldin e Sophie Calle, attraverso linguaggi artistici diametralmente opposti, aprono una riflessione sul significato di parole come “padre”, “madre” e “figlio”.
Infine, Jim Campbell, presente con due video dalla serie Home Movies, che indaga il rapporto tra realtà e immagine, tra memoria e percezione: come una grande rete neuronale, una struttura composta da centinaia di luci LED proietta sulla parete le immagini fuori fuoco di alcuni filmini amatoriali, ricordo di cene di famiglia o di scampagnate di gruppo. Più ci si avvicina all’immagine e più i contorni si fanno sfumati e solo la distanza permette di distinguere figure e luoghi di una memoria lontana, spesso alterata dal tempo. Così come è alterata, molto spesso, la percezione che noi abbiamo dell’idea stessa di famiglia. Idea, come scrive nel catalogo la sociologa Chiara Saraceno, di cui tutti noi abbiamo una conoscenza intima che «ce la fa apparire insieme come naturale e ovvia, come una cosa che non richiede spiegazioni né approfondimenti, salvo forse quando qualcosa non funziona, o va storto, per cercare di ripararlo».
Questioni di famiglia ci permette una riflessione su tutto ciò, dandoci l’opportunità di una maggiore coscienza di quell’istituzione che per Aristotele ci è stata data dalla stessa natura per provvedere alle nostre necessità e che, come tale, è luogo primario di socializzazione ed educazione, ma anche dove si incontrano le prime contraddizioni e diseguaglianze.