Dopo la delusione di Arte Fiera ci voleva un bicchiere di vino buono per tirarsi un po’ su. Quel bicchiere ce lo hanno servito oggi a Milano, in occasione della preview della 22esima edizione di Miart. In un clima a tratti quasi estivo, la kermesse milanese ha confermato il suo ottimo stato di salute e, soprattutto, la solidità del progetto che ne ha decretato, negli utlimi tre anni, il decisivo rilancio. E va dato subito atto al nuovo direttore, Alessandro Rabottini, di aver saputo manovrare bene la macchina messa a punto dal suo predecessore: Vincenzo De Bellis. Anche se faceva già parte del team, d’altronde, la buona riuscita non era certo scontata. E, invece, già dai primi passi tra gli stand si respira un’aria frizzante e tra i visitatori non è difficile riconoscere i volti del jetset dell’arte, da Claudia Dwek di Sotheby’s a Maurizio Cattelan che scherza con l’ex direttrice di Artissima, Sarah Cusolich, fino a Patrizio Bertelli che chiacchiera serenamente nello stand di Tornabuoni Arte. Segno che il mood è positivo e che la fiera sa attirare, come sempre, le persone giuste.
Le gallerie sono di più della scorsa edizione, ma si sente che dietro a tutto c’è una regia, un disegno. E l’aumento degli espositori non ha portato ad una perdita di qualità, come spesso avviene nelle fiere che cedono al gigantismo per motivi economici. Anche se un paio di amici, scherzando, mi fanno notare che i corridoi si stanno stringendo sempre di più. Ma d’altronde lo spazio è quello! Battute a parte la qualità media della proposta artistica di quest’anno è veramente ottima, anche se forse manca il pezzo “wow” che ti colpisce subito. Ma come un buon vino, appunto, Miart 2017 va degustata con calma, senza fermarsi ad un solo giro, ma prendendo le misure e lasciandosi sedurre. Girando per gli stand ci si imbatte, così, nel bell’allestimento di Studio Sales e Ex Elettrofonica (D07) che a Milano portano una serie di lavori di Stefano Arienti, Cristian Chironi, Flavio Favelli, Elena Mazzi, Davide Monaldi e Margherita Moscardini. Uno dei più belli di tutta la sezione Contemporary.
Poco dopo la galleria palermitana Francesco Pantaleone Arte Contemporanea (D 13) attira la mia attenzione con un allestimento veramente curatissimo che ruota attorno ad un lavoro di Loredana Longo; un tappeto su cui si legge: The ideals are the starting point for every revolution. E della stessa autrice è presente, a parete, il lavoro Victory. E poi opere di Liliana Moro, Stefano Arienti, Ignazio Mortellaro e Per Barclay, artista norvegese a cui la galleria ha dedicato lo scorso anno una bella personale, da cui proviene proprio la foto presente nello stand. Un’opera che ben esemplifica la pratica artistica di Barclay, alla costante ricerca di un dialogo tra lo spazio architettonico e quello interiore, umano, dove ogni elemento fluisce nell’opera in un equilibrio psicologico costantemente calibrato sul filo dell’inquietudine.
E molto interessanti, sempre nella sezione Contemporary, sono gli stand della Prometeo Gallery (D24) e della Galleria Tiziana Di Caro (D 22) che, tra gli altri, porta alcuni lavori di Tomaso Binga (al secolo Bianca Pucciarelli), uno dei più importanti esponenti della nostra poesia sonora e performativa, di cui la galleria espone, ad esempio, alcuni dattilocodici di fine anni Settanta. Notevole anche lo stand della londinese Seventeen (C 23) che a Miart porta Karin Lehmann, artista la cui pratica affronta l’esplorazione dei materiali e delle loro proprietà, combinando sostanze e processi fino a quando un lavoro non si manifesta in un determinato spazio. E per capire il livello del suo lavoro basti notare l’incredibile leggerezza di quel velario rosso che pare di tela ed invece è realizzato in ceramica con effetto di spiazzamento veramente impressionante, in cui ciò che dovrebbe essere leggero diventa pesante e viceversa.
Entrando nella sezione Masters tra gli stand sempre molto eleganti di Mazzoleni e Tornabuoni Arte e il particolare allestimento della Galleria Allegra Ravizza, che presenta una serie di opere storiche di Nanda Vigo, spicca lo spazio di Osart (D51). A Sirio Ortolani il merito indiscusso di essere stato tra i pochi, se non l’unico, ad osare veramente, portando in fiera una serie di lavori di Piero Fogliati che coprono quasi trent’anni di carriera dell’artista piemontese scomparso lo scorso anno. Lavori che non smettono di incantare, affascinare e divertire, come la Macchina che respira del 1990 o l’incredibile Liquimofono del 1968, avvicinandosi al quale sembra di sentire lo sgorgare di un ruscello. Il tutto completato con alcuni lavori su carta allestiti sull’esterno dello stand. Una piccola personale che restituisce a pieno la grandezza e la genialità di un artista di cui si parla sempre troppo poco.
Molto curato anche l’allestimento dello Studio Marconi ’65 (B 40) che presenta in fiera una selezione di sculture e collages di Louise Nevelson. Figura emblematica dell’arte del Novecento, la Nevelson è autrice di assemblaggi caratterizzati da monumentalità, monocromia e dislocazione dei piani su una scarsa profondità. Elementi che caratterizzano le sue sculture astratte, realizzate con materiali di recupero e rivestite con una pittura opaca e coprente, il più delle volte nera. Sculture di cui lo stand di Marconi a Miart offre alcuni begli esempi, alternati da collage realizzati su supporti lignei e cartacei.
La sezione Generations, evoluzione di quella che si chiamava THENow, che mette a confronto artisti di diverse generazioni in progetti che vedono la collaborazione di due gallerie, mi è sembrata, invece, un po’ meno efficace dello scorso anno, anche se non posso fare a meno di apprezzare il lavoro fatto dalla brasiliana A Gentil Carioca in coppia con la romana Magazzino (C 34). Le due gallerie mettono a confronto il lavoro dell’artista colombiano Rodrigo Torres (n.1976) e quelli del portoghese Pedro Cabrita Reis che sperimenta vari medium, dalla pittura alla scultura realizzando le sue opere con materiali industriali e riciclando vecchi manufatti. Gli oggetti sono così trasportati, e re-assemblati, sottoposti a nuovi processi costruttivi e acquistano rinnovati significati, pur mantenendo reminiscenze di gesti e azioni quotidiane quasi anonime.
Decisamente debole è invece la sezione Emergents, ma questo è un po’ un classico di Miart. Molto interessante, invece, Decades che offre l’occasione di riscoprire artisti che, in un certo modo, hanno rappresentato alcune delle peculiarità dei linguaggi artisti delle decadi del Novecento.
Tra i vari stand, tutti molto interessanti, mi piace segnalare quello della londinese Richard Saltoun Gallery (B 25) che per la decade degli anni Ottanta porta a Miart Shelagh Wakely, una delle prime e più influenti artiste nel campo della sperimentazione dell’arte installativa. Insomma, un’altra ottima annata per Miart che si conferma cavallo di razza nel panorama fieristico nazionale, consolidando il ruolo di Milano come capitale del mercato italiano dell’arte. Ma sopratutto, e questa è forse la parte che ci piace di più, Miart 2017 offre l’opportunità di indagare l’offerta artistica di oggi da varie prospettive, lasciando pochissimo spazio alle mode, alle quali preferisce l’artista da riscoprire. Ma domani la fiera apre al pubblico e non voglio svelare troppo. E così non mi resta che augurarvi una buona visita e, mi raccomando: scarpe comode, una bottiglietta d’acqua nello zaino e tanta calma, perché l’arte a Miart va scoperta con calma.