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Report dal Paese dei Balocchi: Art Basel 2022 non delude

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Il caldo torrido che in questi giorni avvolge perfino la Svizzera non ha fermato gli amanti dell’arte, anzi: Art Basel, che si conclude oggi, si è svolta in un clima di leggera spensieratezza, con tanto di tuffi nel Reno. La principale kermesse internazionale è tornata ad essere il Paese dei Balocchi per appassionati e collezionisti da tutto il mondo – con le dovute e ovvie eccezioni.

L’instabile scenario socio-politico e l’infinita crisi pandemica hanno certamente causato l’assenza di molti compratori russi e asiatici, tuttavia sono tornati gli americani, grandi assenti della stagione fieristica autunnale. Le gallerie sono aumentate di numero, 289 rispetto alle 272 della scorsa edizione di settembre.

Le sezioni della fiera, sette come di consueto, come sempre richiedono molto tempo per visitare tutto con attenzione, sebbene Parcours, con 20 progetti site-specific sparsi in giro per la città, e Unlimited, lo show delle opere – almeno in teoria – di grandi dimensioni, sono esperienze che permettono una fruizione rilassata. Art Basel si riconferma infatti la regina delle fiere, un vero e proprio Paese dei Balocchi dove è possibile godere dell’arte in tutte le sue manifestazioni.

Louise Bourgeois, Spider, 1996. Hauser & Wirth. Courtesy Art Basel

Passeggiando – o meglio, galoppando- tra gli stand della sezione principale al primo e  secondo piano, già lunedì e martedì si poteva osservare un’aria distesa e di grande positività, infatti le vendite registrate sono state spettacolari fin dalle prime ore: l’enorme Spider (1996) di Louise Bourgeois è stato venduto a 40 milioni di dollari da Hauser & Wirth; Pace Gallery di New York ha venduto il capolavoro di espressionismo astratto Bergerie (1962) di Joan Mitchell a 16,5 milioni di dollari e anche Lee Ufan, messa in vendita a 400.000 euro.

L’impressione generale è che le gallerie siano finalmente uscite dal guscio, offrendo con un po’ di coraggio nuove proposte ed evitando quindi i dejà-vu, come era successo a settembre. Ad esempio Gregor Podnar (che quest’anno si è spostata da Berlino a Vienna) propone il giovane Robert Gabris, con disegni a metà tra una figurazione botanica e un segno onirico, che esplorano i temi dell’identità sessuale, o ancora KOW di Berlino che presenta il lavoro del giovanissimo Simon Lenher, appena entrato in scuderia, con una figurazione iper-stratificata che combina fotografia, manipolazione digitale e stampa 3D.

Anche Esther Schipper dedica molto spazio al giovane Simon Fujiwara e il suo ormai famoso orsetto “Who” (che abbiamo conosciuto grazie alla spettacolare mostra alla Fondazione Prada a Milano la scorsa estate) che esplora con scanzonata innocenza il tema della ricerca dell’identità attraverso l’immedesimazione in capolavori classici (qui le ninfee di Monet o le Brillo Box di Andy Warhol).

Simon Fujuwara nello stand della Esther Schipper gallery

Nomi nuovi e artisti emergenti accanto agli storicizzati: questa sembra essere la formula vincente. Come anche la proposta degli astri portati (o tornati) a brillare grazie all’esposizione alla Biennale di Venezia, soprattutto donne: Paula Rego, Marlene Dumas, Simone Leight, Hannah Levy e l’ormai onnipresente Miriam Cahn.

Sicuramente la breve distanza di tempo che intercorre tra l’apertura della Biennale e la kermesse svizzera funge da rampa di lancio anche per giovani artisti emergenti, per fare soltanto alcuni nomi: Mire Lee, Marianna Simnett, Raphaela Vogel.

Malgorzata Mirga-Tas alla Foksal Gallery. Courtesy: Art Basel

Art Basel funziona sempre anche da cartina tornasole del panorama emergente, dando conferme sulla solidità di alcuni giovani artisti ormai consolidati nel mercato internazionale: Ambera Wellmann da Kraupa-Tuskany Zeidler, Bunny Rogers da Societé Berlin, Julius Von Bismarck da Sies + Höke di Duesseldorf o Cristina BanBan da Perrotin.

Bello ritrovare anche Małgorzata Mirga-Tas, allo stand di Foksal Gallery Foundation di Varsavia: è l’artista che ha fatto innamorare il pubblico con la straordinaria installazione di patchwork “Re-enchanting the World” al Padiglione Polonia.

Mire Lee alla Tina Kim Gallery. Courtesy the gallery

Non manca la presenza di lavori digitali, sebbene nessuno abbia osato uno stand totalmente dedicato agli NFT come aveva fatto la galleria Nagel-Draxler di Berlino lo scorso settembre. Da Pace ad esempio troviamo gli spettacolari lavori digitali di John Gerrard, artista digitale che si occupa di tematiche ecologiche.

Un intero stand dedicato agli NFT lo troviamo però al piano terra all’ingresso di Unlimited, una proposta di Tezos tutta dedicata all’arte generativa a cui lo spettatore può perfino prendere parte, creando edizioni delle opere esposte.

Hannah Levy and Matt Bollinger alla Mothers Tankstation

In generale nella sezione principale è stato registrato un mood positivo, i galleristi si dichiarano felici, finalmente circondati da un pubblico internazionale.

Unlimited invece delude ancora, con poche opere degne di questo nome, e pochissime nuove produzioni. Questa timidezza in termini di dimensioni e produzione va forse piuttosto letta come strategia…? Quanto è più facile infatti per una galleria vendere una teoria di minuscole opere di Francis Alys (altro assist da Venezia, dove rappresenta il Belgio) piuttosto che un’enorme installazione?

Dimension di Liu Wey da White Cube. Courtesy Art Basel.

Segnaliamo comunque alcuni lavori di grande impatto. La sound art ha trovato il suo posto fisso in questa sezione, e quindi troviamo due installazioni sonore di Rebecca Horn (Sean Kelly, Thomas Schulte e Suzanne Philipsz (Tanya Bonakdar, Konrad Fischer); la meravigliosa Dimension di Liu Wei (White Cube) ci porta in un micro-macrocosmo di strutture cellulari (con cui avevamo familiarizzato alla Biennale di Venezia del 2019).

Tra le opere che colpiscono di più c’è sicuramente l’enorme tela dell’emergente Louisa Gagliardi (Eva Presenhuber) prodotta per Unlimited: una combinazione di tecniche manuali e digitali che danno vita a un mondo surreale di voyeurismo e narcisismo. O ancora, l’immensa (nelle dimensioni e nel contenuto) installazione di Jim Shaw (Gagosian) è un’immersione tra drappi color pastello, disposti come quinte teatrali, dove troviamo un superman mortale, esausto e accasciato ai piedi dei monumenti e lampioni di una città al crepuscolo.

Thomas J Price da Hauser & Wirth. Courtesy: Art Basel

Anche Thomas J Price (Hauser & Wirth) si inserisce bene nella proposta Unlimited, con una delle sue tipiche monumentali sculture-monumento a personaggi anonimi, per dare voce alle minoranze. Tra i nomi freschi di Biennale ci sono Marianna Simnett e Sonia Boyce (che ha fatto vincere il Leone d’oro al Padiglione Inghilterra) a dimostrazione che il video, se ben presentato, può davvero avere un ruolo di rilievo nelle grandi manifestazioni.

La Simnett presenta infatti un film in stop motion dove animali antropomorfi compiono azioni che rivelano la crudeltà insita nell’essere umano anche nelle azioni più quotidiane. La Boyce presenta un video a tre canali dove un performer che esegue suoni dadaisti si “scontra” con un coro a cappella che esegue un brano del 16esimo secolo.

Colpisce anche la curiosa installazione proposta da Kamel Mennour di Huang Yong Ping: l’interno di una casa americana degli anni Sessanta è sospesa nell’aria, ricoperta da enormi scarafaggi: un’allusione alle tensioni USA-China e un riferimento al celebre incontro tra Nixon e Khrushchev nel 1959.

Il lavoro di Huang Yong Pingda Kamel Mennour. Courtesy: Art Basel

Per il resto, non mancano  gioielli come Alex Katz o Wolfgang Tillmans, ma c’è grande nostalgia degli anni Duemila, dove Unlimited offriva davvero la possibilità di vivere l’emozione dell’arte senza limiti e senza misure. L’emozione ci sarà stata però certamente per chi ha portato a casa il risultato in termini di vendite, come Galleria Continua che ha venduto il Joan Capote  a ​​850.000 euro il primo giorno.

A proposito di Continua, forse perplime la proposta di Pistoletto, che a Unlimited presenta un labirinto di scritte e installazioni trite, ritrite e didascaliche, e nella Main Section un grande specchio dove stavolta i protagonisti sono i famosi bambini impiccati di Cattelan.

Dominique White da Spazio Veda. Courtesy: Art Basel

Tornando ai giovani, è sicuramente notevole anche quest’anno Statements, lo scrigno di Art Basel dove scoprire nuove gallerie e artisti emergenti, come ad esempio Dominique White da Veda (Firenze), giovane artista britannica di base a Marsiglia che esplora tematiche legata al passato e futuro della Blackness con un vocabolario figurativo che attinge ai miti nautici.

Sicuramente d’impatto anche la proposta di La Veronica (Modica), che per il primo anno partecipa alla fiera principale dopo diversi anni a Liste, e che presenta un teatrino di burattini, con tanto di spettacolo live, di Daniela Ortiz (Perù, 1985): lo show racconta la storia di un minatore che lotta contro la burocrazia europea.

Galleria La Veronica, Daniela Ortiz. Courtesy: Art Basel

Da segnalare anche Catalina Ouyang, da Lyles & King New York, e Aria Dean da Château Shatto (Los Angeles). Normalmente i video in fiera soffrono rispetto ad altri media: non è questo il caso del nuovo lavoro Ultimate Vatos della stella emergente Sarah Sadik, anch’essa di base a Marsiglia, a conferma del fatto che la città provenzale si sta imponendo con successo sulla mappa dell’arte contemporanea internazionale. Il video è proposto da Crèvecoeur, anch’essa presente fino a settembre a Liste che ora ha compiuto l’agognato salto di carriera nell’Olimpo di Basel.

Sarah Sadik, Ultimate Vatos. Galerie Crevecoeur

A proposito di nomi emergenti, una particolare attenzione va dedicata a Liste, che presenta un grande gap tra lavori di alta qualità e originalità e proposte stantie. Tra i primi segnaliamo l’italiana Clima con un video del giovanissimo americano Vijay Masharani e, sempre tra gli italiani, le delicate opere metafisiche della giovanissima milanese Viola Leddi.

La Gianni Manhattan di Vienna opta per uno stand congiunto con la galleria Wschod di Varsavia con opere di Laurence Sturla e Cudelice Brazelton, Nir Altman di Monaco propone gli slogan di Ndayé Kouagou, visti ad Art-O-rama lo scorso agosto, e Martina Simeti ha uno stand delicatamente femminile di Costanza Candeloro.

Ndayé Kouagou dalla Nir Altman Gallery. Courtesy: Art Basel

Le gallerie asiatiche propongono molta arte cinetica, come ad esempio Vacancy di Shangai con i curiosi meccanismi interattivi e sensori di calore di Ni Hao. Naturalmente andato a ruba da Super Dakota il quotatissimo e giovanissimo pittore svizzero Adrian Geller (1997), che attinge con originalità a una figurazione – e pure narrazione – da espressionismo tedesco.

Anche la galleria Exo Exo di Parigi punta a un artista mostrato recentemente ad Art-O-rama nemmeno un anno fa, Gaspar Willmann, una scelta giustificata dalle ottime vendite e le numerose richieste. Infine Bombon Projects di Barcellona ha ottenuto un meritato successo con le opere fluide e metamorfiche di Eva Fabregas, artista che esplora l’erotismo che permea gli oggetti di consumo e i meccanismi del desiderio e le cui opere sono state recentemente acquisite dal Museo Reina Sofia di Madrid.

Eva Fabregas Bombon alla Projects gallery

I galleristi di Liste hanno segnalato una grandissima affluenza nella prima giornata di fiera, calma piatta ma non senza vendite nelle giornate di mercoledì, e poi una risalita di presenze nel fine settimana. Del resto, l’offerta a Basel è densissima. Quest’anno ha debuttato anche una fiera-mostra collaterale, il Basel Social Club, che ha riscosso grande successo – complici forse i rinfrescanti aperitivi in giardino – grazie a un format intimo, che abbiamo visto prendere piede durante e dopo la pandemia e che, ci si augura, prosegua.

Circa 50 artisti provenienti da altrettante gallerie e spazi indipendenti sono stati infatti esposti nelle stanze di un edificio residenziale degli anni Trenta, dando modo di fruire dell’arte in spazi non canonici, ma soprattutto con una calma e una dedizione che forse ormai le grandi fiere, accumulatrici di quantità spesso a discapito della qualità, stanno mettendo da parte.

Lucia Longhi
Lucia Longhi
Lucia Longhi è curatrice indipendente e contributor per magazine internazionali. Lavora tra Venezia e Berlino. La sua pratica curatoriale esplora le intersezioni tra arte, natura e tecnologia, con un focus sui nuovi media. Collabora con gallerie, fondazioni private e istituzioni per la curatela di mostre, servizi di art advisory e scrittura di saggi critici.

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