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Salvator Mundi. Un buon restauro e la ‘scoperta’ di un capolavoro da 450 milioni di dollari

del

Due grossi arcani dominano le cronache artistiche di questo Ventunesimo secolo che ormai volge al secondo quarto, ed entrambi riguardano la stessa opera: il Salvator Mundi di Leonardo da Vinci.

Il primo è proprio l’attribuzione o meno al maestro toscano, le cui opere veramente certe si contano sulle dita d’una mano. Per secoli, il catalogo di Leonardo è stato costruito, decostruito e ricostruito, spesso titolando a suo nome opere in realtà di valevoli artisti della sua cerchia, come il Boltraffio o il Luini. Ciò non significa, naturalmente, che trovare dei veri leonardi sia impossibile e, anzi, la suggestione stessa dell’impresa giustifica i clamori.

Il secondo arcano, invece, pone una domanda più terra a terra: che fine ha fatto l’opera? Nel senso, proprio, che ad oggi non si sa bene dove si trovi. Battuta all’asta per oltre 450 milioni di dollari nel 2017, essa è stata acquistata, pare, da un intermediario del principe saudita Mohammed bin Salman, con l’intenzione di destinarla alla pubblica fruizione presso la succursale del Louvre di Abu Dhabi, operazione mai realizzata. Da allora, l’opera è custodita col più grande riserbo non si sa bene dove.

Oggi che l’attenzione mediatica sul dipinto si è quietata, possiamo affermare senza timore che parte del successo di pubblico del Salvator Mundi è da attribuire a un lungo e complesso restauro che ne ha valorizzato l’aspetto estetico, oltre ad aver permesso indagini e studi approfonditi. Ne sono conseguite l’autorevole attribuzione da parte della National Gallery e la messa sul mercato con valore economico schizzato alle stelle. Sembrerà una storia puramente venale, ma racchiude, invece, un grande insegnamento.

Insegna, infatti, che una buona operazione di restauro aggiunge valore ad un’opera perché permette di vedere al di là della cortina di nebbia che, a volte, ne nasconde la storia. Il restauro, a volte, permette che opere minori si rivelino capolavori. Il Salvator Mundi è un caso emblematico, poiché il valore di quest’opera, col restauro, è stato praticamente creato da zero. A raccontarlo è la restauratrice stessa che ha curato l’intervento, la professoressa Dianne Modestini della New York University, in un sito internet da lei curato dedicato a questa storia. 

Fino al 2005, dice la Modestini, l’esistenza di un dipinto con questo soggetto attribuibile direttamente a Leonardo non era considerata. Erano noti qualche disegno e un paio di copie attribuite a pittori della cerchia come i suddetti Boltraffio e Luini.

Le cose cambiano in quell’anno, quando una di queste copie del Salvator Mundi, di proprietà di una coppia di collezionisti di New Orleans, viene venduta al mercante d’arte rinascimentale Robert Simon per la cifra ridicola di 750 dollari. Egli, facendo qualche indagine su una sigla ritrovata sul tergo e riportante le iniziali CC e un numero di inventario, scopre come si tratti di un dipinto proveniente dalla storica collezione Cook, attribuito in passato agli allievi milanesi di Leonardo. 

Affida, quindi, il restauro alla Modestini, moglie del famoso restauratore specializzato nei dipinti barocchi Mario Modestini, uno dei tanti valevoli italiani che assaltarono l’America, come raccontato in un vecchio articolo.

Cominciando il restauro, la Modestini rimuove le goffe ridipinture che coprivano una parte consistente del dipinto specialmente nella zona sinistra del volto abbassando significativamente la qualità estetica. Emergono, così, alcuni evidenti pentimenti, segno che le probabilità che si tratti di una composizione originale e non di una semplice copia sono notevoli.

Racconta la Modestini: “Una sera stavo tentando, ancora una volta, di ritoccare una lacuna del labbro superiore. Non riuscivo a padroneggiare l’impercettibile transizione in maniera soddisfacente e ho rimosso il ritocco numerose volte. Avevo una copia di un libro che il Louvre aveva di recente pubblicato sulla Monna Lisa, riccamente illustrato (Mona Lisa: Inside the Painting). Ho rimosso la pagina con il dettaglio della bocca e l’ho appuntata sul cavalletto. In quel momento ho capito che il Salvator Mundi non poteva essere stato dipinto da nessun altro se non da Leonardo.”

Idea che si fa anche la National Gallery di Londra, che richiede in prestito l’opera da esporre nella mostra del 2011 Leonardo at the Court of Milan,presentandola come opera di Leonardo. Un riconoscimento autorevole che non ci sarebbe mai stato senza il lavoro della Modestini.

Nel 2013, l’opera viene venduta una prima volta a un anonimo compratore, identificato tre anni dopo con un oligarca russo che acquistava per mezzo di un intermediario svizzero che in realtà lo fregava tranquillamente sulle commissioni: avendo pagato 80 milioni di dollari l’opera, lo svizzero all’oligarca ne aveva poi chiesti ben 127, molto più del 2% di commissioni pattuito. Scoperto l’inganno, ne sortisce una causa in seguito alla quale il russo rimette in vendita l’opera.

E così si arriva all’asta bandita da Christie’s nel 2017, che con grande sfarzo pubblicizza il dipinto come the Last Leonardo. L’opera viene venduta dopo 19 minuti di contesa per la cifra record di 450 milioni di dollari a un compratore anonimo, che poi, un’inchiesta del New York Times, rivela essere l’emissario saudita detto in apertura.

Da 750 dollari a 450 milioni. Non male come incremento. Chiaramente, quello del Salvator Mundi è un caso limite, uno di quelli che succedono una volta su un milione. Magari, in proporzioni più modeste, un dipinto reso mediocre dai segni del tempo, diventa un buon dipinto. Però è vero che investire nel restauro di un’opera d’arte è un accorgimento che il buon collezionista, sia esso pubblico o privato, dovrebbe sempre tenere in conto, perché il ritorno in valore è quasi sempre assicurato. 

Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.

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