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Spazio molteplice e spazio assoluto: una riflessione sul Realismo Magico

del

Il Novecento è un secolo articolato, come lo è il suo pensiero e, di conseguenza, la sua arte. E certe volte per comprenderlo non basta tracciare una linea progressiva di consequenziali movimenti e artisti che vanno dall’impressionismo al cubismo, dal cubismo all’espressionismo astratto e dall’espressionismo astratto ai nostri giorni. Alle volte bisogna farsi spazio tra le pieghe del tempo per guardare ciò che si è dimenticato, o che si tende a dimenticare, ma che tuttavia è sintomatico di qualcosa di più grande che influenza ancora le scelte dei nostri giorni.

Uno di questi casi potrebbe ben essere quello del cosiddetto Realismo Magico italiano, una tendenza artistica del primo dopoguerra che si inscrive in quel generale sentimento europeo del rappel-à-l’ordre. Il Realismo Magico è difficilmente è definibile come un movimento, non ha confini ben definiti, questi anzi si confondono e si evolvono dalla pittura Metafisica e dai concetti espressi da Giorgio de Chirico e Alberto Savinio sulla rivista Valori Plastici e con quelli delineati da Franz Roh nella sua osservazione dell’arte tedesca cosiddetta post-espressionista.

Cagnaccio di San Pietro, L'alzana, 1926. Courtesy: Collezione della Fondazione di Venezia
Cagnaccio di San Pietro, L’alzana, 1926. Courtesy: Collezione della Fondazione di Venezia

Anche annoverare un insieme di artisti preciso pare essere complicato, o meglio gli artisti ci sono – Antonio Donghi, Felice Casorati, Cagnaccio di San Pietro, Ferruccio Ferrazzi, Ubaldo Oppi, o ex incendiari quali Carlo Carrà e Gino Severini – tuttavia, forse complice la sfiducia verso i manifesti del primo dopoguerra e la conseguente assenza di autodefinizioni nette, l’etichetta di “realista magico” resta spesso difficile da cucire a qualcuno di questi. Ciò che è certo nel nostro caso è Massimo Bontempelli, il “non-critico d’arte”, come egli stesso si definiva, che a metà degli anni venti in una serie di scritti delinea i tratti del Realismo Magico.

I caratteri descritti da Bontempelli sono effettivamente riscontrabili in alcuni aspetti del lavoro degli artisti sopra elencati, tuttavia egli evita di citarne qualcuno o di prendere una loro opera come esempio. È vero anche che a complicare le cose ci fu una poca fortuna del termine tra i contemporanei, usato poco dai critici e quasi per niente dagli artisti, ciò probabilmente non aiutò una loro identificazione collettiva (o forse è sintomatico di una loro scarsa volontà di farlo).

Dunque non possiamo pretender troppo da due semplici parole, si dovrà andare dietro di esse per osservare i concetti che vi si celano e per riuscire ad orientarci. Avendo un occhio per i dipinti di questi artisti, senza prenderne uno come caso esemplificativo perfetto, e un orecchio alle parole di Bontempelli riusciremo a tracciare dei caratteri comuni.

Ubaldo Oppi, Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia, 1921. Olio su tela. Collezione Privata. Roma
Ubaldo Oppi, Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia, 1921. Olio su tela. Collezione Privata. Roma

Ciò che ovviamente colpisce da subito osservando i dipinti di questo periodo è il rifiuto delle recenti esperienze cubiste, futuriste o espressioniste per tornare ad abbracciare una figurazione lineare, chiara e ordinata. L’avanguardia, con le sue rivoluzioni e i suoi sconquassamenti, viene associata, causa anche la metafora bellica del nome, al caos della guerra appena conclusa, e in Italia, come nel resto d’Europa, si sente forte il bisogno di tornare all’ordine, nella vita come nell’arte. Rifiutando la compresenza di punti di vista spaziali del Cubismo e la rappresentazione dinamica dell’oggetto nel tempo del Futurismo, nei dipinti di questi artisti sembra impellente il compito dato all’arte da Bontempelli, ovvero la «ricostruzione del tempo e dello spazio», da restaurare «nella loro eternità, nella loro immobilità, nella loro rigidezza».

Per questo compito Bontempelli indica come punto di riferimento un certo tipo di pittura storica, quello di Masaccio, Andrea Mantegna, Piero della Francesca e in generale tutti gli artisti italiani primo-rinascimentali o proto-rinascimentali, ovvero pittori per cui lo spazio pittorico del quadro era costruito su rigide e assolute leggi matematiche, basti solo pensare ai rapporti aurei all’interno dei dipinti di Piero della Francesca o alla teorizzazione e all’applicazione delle norme prospettiche in Masaccio.

Carlo Carrà, Le figlie di Loth, 1919 – Mart, Collezione VAF-Stiftung
Carlo Carrà, Le figlie di Loth, 1919 – Mart, Collezione VAF-Stiftung

Si badi che non c’è nessuna sorta di ritorno al classico alla Winkelmann, o un rifugiarsi cieco nella tradizione, ma si vuole piuttosto recuperare un certo tipo di sostrato concettuale sul quale poter lavorare, vale a dire un certo tipo di spazio pittorico da dover ricostruire; uno spazio, realistico, ordinato e assoluto, che nella sua assolutezza possa trasmettere una estatica sensazione di stupore e di magia.

Quando si parla di spazio e tempo in pittura non si parla mai di qualcosa di innocente, formalistico o astruso. Rappresentarli in un certo modo all’interno di un quadro significa concepirli in quel modo anche nella realtà che ci circonda. Lo spazio e il tempo restano sempre in arte una metafora, inconscia o consapevole, di un modo di pensare e di vedere il mondo. Vi è dunque un sostanziale scontro di pensieri, che si gioca perciò nei modi di rappresentare lo spazio del quadro, tra l’avanguardia rappresentata dal cubismo che è pluralità e molteplicità, emblema visivo del relativismo, e l’ordine assoluto e aprioristico del Realismo Magico di Bontempelli.

Tale conflitto, è ovvio, si consuma parallelamente al campo artistico anche e soprattutto su quello sociale e politico, in particolar modo in un momento in cui si vede nascere in Italia un regime totalitario come il Fascismo, in cui la parola “ordine” assume toni ben più gravi. Cercare di ristabilire un ordine, dato per assoluto, eterno e migliore, tornando alle radici della cultura italiana, è qualcosa che viene fatto sia in pittura, guardando ora le origini della prospettiva, sia in politica, ora l’età imperiale romana.

Antonio Donghi, Il giocoliere, 1936
Antonio Donghi, Il giocoliere, 1936

Ciò va preso ovviamente con il giusto peso, senza fare il facile parallelismo “realista uguale fascista”; sentire il bisogno di ordine non significa obbligatoriamente condividere i metodi e le scelte del regime, non a caso alcuni dei pittori annoverati tra il Realismo Magico come Cagnaccio di San Pietro se ne discostano apertamente, significa piuttosto essere mossi dagli stessi timori.

In conclusione osservando da vicino le tendenze artistiche come quella del Realismo Magico ci è possibile scorgere le sfumature del pensiero che caratterizzò quegli anni di crisi post bellica, e a cosa potesse portare la paura causata dal caos della guerra e dalla perdita delle più fondamentali certezze estetiche, etiche, religiose e finanche fisiche. Non a caso la teoria della relatività di Einstein fu presentata al pubblico nel 1915, e dopo questa data non fu più possibile concepire lo spazio in modo rigido e assoluto, nemmeno fuori dalla cornice.

[infobox maintitle=”Il Realismo Magico in mostra” subtitle=”Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2019, una grande mostra sul Realismo Magico, a cura di Gabriella Belli e Valerio Terraroli, è partita dal Mart di Rovereto (3 dicembre 2017 ― 2 aprile 2018) per un tour che l’ha vista toccare l’Ateneum Art Museum di Helsinki (1 maggio 2018 ―19 agosto 2018) e il Folkwang Museum di Essen (27 settembre 2018 ― 13 gennaio 2019). Una mostra importantissima, da cui provengono le immagini inserite nel presente articolo, e che ha rappresentato il primo progetto di ampio respiro dedicato al Realismo Magico dopo l’importante antologica curata da Maurizio Fagiolo dell’Arco, tenutasi tra il 1988 e il 1989 alla Galleria dello Scudo di Verona.” bg=”red” color=”black” opacity=”off” space=”30″ link=”no link”]

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