Il mondo esterno si appresta a divenire terreno di manipolazione con cui costruire una narrazione, che assume un significato diverso da quello originario, interpretato in un’ottica fenomenologica come attestazione di comportamenti e memorie sociali. In I’ll be home tonight la mostra organizzata da The House, Hermann Bergamelli (Bergamo, 1990) e Fabio Ranzolin (Vicenza, 1993), realizzano opere recuperando materiale di scarto e oggetti per ricollocarli in altre cornici, in sintonia con il pensiero del critico e curatore francese Nicolas Bourriaud, secondo cui “la società diventa un repertorio di forme… per creare oggetti già informati”1.
The House è il nuovissimo progetto inaugurato da poche settimane, all’interno della casa-studio, dell’architetto e collezionista, Michela Genghini. Una dimora raffinata e discreta che si presenta misurata nella scelta degli elementi decorativi, negli eleganti arredi e nel rigoglioso terrazzo interno. La stessa sensazione che si riflette nella sua proprietaria, una donna minuta e cordiale, che racconta di come quel luogo fosse già, per destinazione naturale, aperto agli incontri, con i clienti, gli amici e gli scrittori. Con la prima mostra curata da Irene Sofia Comi, volge lo sguardo anche all’arte contemporanea, diventando spazio per la ricerca e il dialogo, che si svilupperà con un programma definito nei prossimi mesi.
I giovanissimi artisti sono stati coinvolti in una riflessione intorno all’idea di casa come rifugio. Un luogo in cui margini sono costantemente messi in discussione dalle dinamiche quotidiane, tra spazio privato e pratiche di inclusione, secondo principi di ospitalità e di condivisione, attraverso un processo di selezione della collettività (amici, clienti, conoscenti…). Dinamiche raccontate da un testo che come sostiene la curatrice: “E’ un espediente progettuale con elementi che rimandano e riconducono alla mostra stessa”.
“Si può?”. Fortunatamente la porta è aperta, Vittorio decide di entrare. Appende la giacca2.
Entriamo anche noi accolti all’ingresso da I’ll he home tonight, una felpa con una manica ricamata di Bergamelli e una vecchia giacca di Dior di Ranzolin, un lavoro in divenire che verrà terminato nei mesi successivi.
L’estetica di Hermann Bergamelli si fonda su fitte trame, intrecci di filati colorati o in tinta unita. Recupera manufatti come coperte, lenzuola, tende e tappezzerie, secondo il principio per cui lo scarto sia una risorsa generatrice di forme e energia nuova. Morbidi quadri si arrampicano su muri in diagonale come Variation in Blue (2019) in corridoio. La Serie senza un titolo. Numero 1, 2 e 3 (2019), realizzata appositamente per lo spazio, è formata da un dittico con tappeti da cucina trovati in discarica, e da una tela di pelle di bovino, prelevata da una conceria, risultato di un’operazione salvifica del materiale destinato all’oblio.
Anna (2018) è una morsa da banco con lino appesa al muro, che prende il nome dalla sua precedente proprietaria, mentre è sorprendente la maglia che compone Giardini di velluto. Passeggiatore in blu (2018). Un arazzo che occupa gran parte della parete della sala, costituito da una stratificazione di tessuti diversi cuciti sulla tela e da un intricato reticolo di fili che scendono, si intrecciano e si aggrovigliano. In tempi determinati da meccanismi di riduzione spazio-temporale, di linguaggi connaturati da esecuzioni rapide e scelte immediate, ecco che i lavori materici dell’artista si inquadrano come macchinazioni gestuali e mentali con cui ordire storie e sculture. Un approccio profondamente introspettivo, in cui l’elemento cardine è il rituale della lentezza nell’elaborazione dell’opera ma con l’uso sapiente dell’ago, del filo e della macchina da cucire.
Indizi di memorie anche negli oggetti quotidiani e nei racconti personali frutto delle elaborazioni concettuali di Fabio Ranzolin. Attraverso l’indagine autobiografica sonda aspetti della vita comune, la malattia, la morte e il tempo. Untiltled (Draw your home, 2014), è formato dal disegno e da una descrizione della casa (trascritto dall’artista) di Dalma, la nonna paterna, realizzato dalla stessa prima della progressione della malattia. In un filo di continuità anche la serie di sei fotografie Cloud of dust (2016), presentata per la prima volta, che mostra particolari della casa abbandonata dopo la morte della nonna. Un lampadario, una statuetta, una porta semiaperta da cui entra uno spiraglio di luce. Immagini colte in un sottile strato di impercettibilità dettato da elementi oggettivi (il buio reale della casa chiusa) e tecnici (lo sfocato), che impongono un avvicinamento fisico dello spettatore per coglierne i dettagli.
Se il tempo scorre lasciando i ricordi significativi, l’artista sceglie di tracciare anche quelli privi di importanza. In Uninhabited Days #1 (2014), le date riportate corrispondono a momenti che non meriterebbero di avere ricordo, se non fosse per quella stampa. Più fattuale è Maybe it’s a Lucky Strike the romantic story with the Ginger Lover (2017), un portaburro di vetro con venti sigarette, appoggiato sul tavolo, e sul muro come un wall paper, l’opera site specific Comprami, io sono in vendita! (2019), cartoni da imballaggio di marchi diversi, assemblati seguendo relazioni visive e linguistiche, espressione di un consumismo estetizzato.
La mostra tra suggestioni e possibilità formali, si appresta a considerazioni molteplici, esaminando rapporti binari tipici di un pensiero dualista e cambi di funzione tra elementi in gioco, che scardinano convenzioni e meccanismi sociali. In quest’ottica la casa diventa un nuovo soggetto estetico in cui far confluire un “micromondo” che, coerente con il principio di interconnessioni e interscambi, mostra una natura in continua evoluzione.
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1 Nicolas Bourriaud, “Post production. Come l’arte riprogramma il mondo”, edito da Postmedia 2004
2 I’ll be home tonight , Irene Sofia Comi – testo che accompagna la mostra