Poco prima di Artissima, su Repubblica sono uscite due interviste a due galleristi di Torino: Alberto Peola e Franco Noero. È nata così l’idea di proseguire questa inchiesta, con la speranza di fomentare il dialogo e, di conseguenza, la ripresa di un mercato che appare oggi attraversare un momento non dei migliori.
Ma c’è qualche segnale di ripresa? Lo chiedo qui proprio ad Alberto Peola, titolare della galleria che porta il suo nome, dove al momento è in corso una mostra personale del duo Perino e Vele. Qui sotto trovate la nostra chiacchierata.
Maria Cristina Strati: Com’è andata Artissima?
Alberto Peola: «Artissima è un momento sempre positivo. Rappresenta un’importante occasione di collegamento tra collezionisti, galleristi, curatori ed artisti. Rispetto alle ultime edizioni, questa 26ma mi è sembrata accogliere un pubblico più attento al mercato dell’arte, un pubblico in prevalenza nazionale, ma non solo».
M.C.S.: Recentemente è uscita una tua intervista su Repubblica, in cui parlavi del mercato dell’arte a Torino. Davvero secondo te Torino non è più la capitale del contemporaneo in Italia? E se – come sembra a molti, purtroppo – le cose stanno così, in che modo, a tuo parere, potremmo riconquistarci, per così dire, quel primato?
A.P.: «Nella settimana di Artissima indubbiamente Torino ritrova le sue energie e dimostra di essere davvero la capitale del contemporaneo. Oltre ad Artissima, sia le fondazioni che i musei hanno espresso il massimo del loro potenziale organizzando mostre di altissimo livello. Dopo la settimana di Contemporary Art a novembre, però, la città ricade purtroppo in una sorta di torpore. Il tentativo è quello di organizzare una settimana analoga durante la primavera. Questo potrebbe aiutare a risollevare la situazione durante il resto dell’anno».
M.C.S.: Le gallerie sono in crisi, non solo a Torino, in questo momento. L’idea è che il mercato si giochi ormai quasi esclusivamente nelle fiere. Un conto è, però, presentare un artista – che sia emergente o meno – in fiera, in uno stand, un conto è organizzare una vera e propria mostra, con un concept, una ricerca, un testo critico e la possibilità di approfondire… Ci stiamo perdendo qualcosa?
A.P.: «La fruizione dell’opera d’arte è cambiata profondamente. Le fiere offrono un ampio panorama del mercato e, come Internet e i social media, rendono la visione delle opere sempre più immediata e rapida, rendendo quasi inutile il passaggio del pubblico nelle gallerie. In ogni caso io credo che la galleria rimanga sempre il luogo del rito».
M.C.S.: Secondo te, ha più senso cercare di stare al passo con il mercato o fare scelte più coraggiose e cercare di educare il gusto, e al gusto, magari nuove generazioni di collezionisti? Ma in che modo è possibile coltivare e educare al gusto?
A.P.: «Gran parte dei galleristi svolge questa funzione, in quanto le loro scelte indirizzano e spesso anticipano le tendenze future. L’educazione al gusto è però soprattutto un problema culturale di cui sono responsabili in primis la società, la scuola e la classe politica. Negli anni ’60 a Torino c’era un tessuto culturale straordinario che ha educato al gusto generazioni di collezionisti. Basti pensare all’Einaudi, alla GAM, all’Unione Culturale e a galleristi tipo Pistoi e Sperone».
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Alla chiacchierata con Peola, che molto cortesemente e precisamente ha accettato di rispondere alle mie domande, vorrei aggiungere, però, una mia personale osservazione. Credo che, come voleva lo psichiatra e filosofo James Hillman, la bellezza e l’arte svolgano un ruolo importante nelle nostre vite, non soltanto a livello personale ed esistenziale, ma anche sociale e politico. Di conseguenza, penso che incentivare l’arte e il mercato, educando al gusto, sia qualcosa di fondamentale per tutti noi, con un indotto non solo esistenziale, ma anche concreto, molto più ampio di quanto non crediamo. Per questa ragione, credo che tutti gli operatori del settore dovrebbero fare del loro meglio, e lavorare insieme in questa direzione.