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1993, Patrimonio sotto attacco. La strage dei Georgofili

del

Dopo trent’anni di latitanza, l’imprendibile Matteo Messina Denaro, detto ‘u siccu, è stato trovato nella più scontata delle città possibili. Non c’è stata resistenza, nessuno sgherro che scatenasse la guerriglia urbana. C’è un audio di un carabiniere che al boss chiede il nome e lui che, calmo, glielo dice. Ci sono voluti trent’anni.Trent’anni che sanno di mesto anniversario: Capaci, via D’Amelio, ma anche i Georgofili.

Fuori da Firenze, l’attentato mafioso alla Torre dei Pulci in via dei Georgofili è forse meno ricordato, probabilmente perché non colpì né magistrati né uomini dello Stato, ma persone comuni.

Come andarono i fatti? Poco dopo la mezzanotte del 27 maggio del 1993, un furgone Fiat Fiorino stipato di tritolo e nitroglicerina, parcheggiato nell’angusta via dei Georgofili in pieno centro storico, saltò in aria sventrando la torre e provocando un incendio negli edifici circostanti, molti dei quali abitati. Ancora oggi, la torre, benché ricostruita, porta le cicatrici della deflagrazione.

I deceduti furono sei, i feriti molti di più. Per gli attentatori si trattava, però, di vittime del tutto collaterali. Il vero obiettivo erano gli Uffizi, di cui una fiancata di finestre affaccia proprio sullo stradello dei Georgofili che collega la via Lambertesca al Lungarno, parallelamente alla celebre piazza vasariana.

Il museo fu travolto con violenza e si contarono “vittime” anche tra le opere conservate: risultarono, ad esempio, distrutta una Natività del pittore olandese Gerard van Honthorst, conosciuto in Italia come Gherardo delle Notti, e irrimediabilmente rovinate due opere di Bartolomeo Manfredi, fondamentali per lo studio dei caravaggeschi romani.

Complessivamente, circa un quarto delle opere conservate in museo subì un danno anche di lieve entità.

In un primo momento, però, non era così evidente che l’esplosione fosse dolosa. Si ipotizzava, anzi, una fuga di gas o un incidente analogo, come testimonia l’articolo di Federico Zeri uscito il giorno seguente su La Stampa: “In un primo momento, appena mi hanno informato della tremenda esplosione di Firenze, mi sono rifiutato di credere che si trattasse di un atto terroristico. Ho voluto avallare con tutte le mie forze l’ipotesi di un incidente provocato da una fuga di gas”.

Quando, nel luglio dello stesso anno, tre attentati fotocopia colpirono il Padiglione d’arte contemporanea di Milano e le chiese di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio in Velabro a Roma, ci si potè fare un’idea più precisa su quale fosse la mano che aveva acceso una miccia tanto odiosa.

Sul perché degli attentati del 1993 contro il patrimonio artistico c’è poca chiarezza. Nel 1996, il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, detto ‘u verru ma anche ‘u scannacristiani, disse che l’idea di colpire simbolicamente i beni artistici era stata consigliata a Cosa Nostra da un oscuro terrorista e ricettatore di antiquariato e oggetti d’arte, di recente tra i condannati come esecutore della strage della stazione di Bologna.

Nel 2008, poi, Gaspare Spatuzza, detto ‘u Tignusu, confessò di essere stato uno degli attuatori dell’attentato fiorentino su ordine di ‘u siccu Messina Denaro.

Pochi mesi prima dell’attentato, nel marzo del 1993, la televisione italiana aveva mostrato al paese il volto di Totò Riina detto ‘u curtu, presunto capo di tutta l’organizzazione, che compariva per la prima volta a processo ripreso dalle telecamere di Un giorno in pretura. Al processo per i fatti di Firenze, nel 2004, il capo dei capi lanciò accuse a certe parti deviate dello Stato a suo dire complici in questo e in altri crimini attribuiti a Cosa Nostra.

Quello di Firenze, ma anche quelli di Milano e Roma, dovevano verosimilmente essere gesti intimidatori dall’alto valore simbolico, che evocavano i demoni della guerra di cinquant’anni prima, quando le aviazioni alleate bombardarono a tappeto borghi storici, centri cittadini e monumenti italiani per fiaccare il morale del nemico.

Un ginepraio, perché tra accuse, controaccuse, depistaggi e prescrizioni, ancora oggi una verità completa non c’è. Esiste un’associazione dei familiari delle vittime che la reclama, prima che passi troppo tempo per poter ricordare.

Questo triste episodio della storia italiana offre lo spunto per alcune riflessioni. Ad esempio, è curioso notare come nemmeno durante la guerra gli Uffizi fossero stati colpiti dalle bombe. Eppure, allora, la minaccia era più tangibile. Una bella mostra romana dal titolo Arte Liberata, attualmente in esposizione alle Scuderie del Quirinale, ricorda quegli anni e i personaggi che si prodigarono per mettere in salvo il patrimonio artistico italiano da distruzione e saccheggio: Pasquale Rotondi a Urbino, Fernanda Wittgens a Milano, Francesco Arcangeli a Bologna, Giulio Carlo Argan e Palma Bucarelli a Roma.

Nel 1993, il patrimonio era vulnerabile e poco protetto. Lo denunciava sempre Zeri nello stesso articolo su La Stampa: “È inaudito che si possa collocare un’autobomba nella strada sottostante la Galleria, ma soltanto un illuso può ormai credere che il museo sia adeguatamente sorvegliato. Il fatto è che gli Uffizi sono considerati la galleria più importante del mondo dagli altri ma non dagli italiani. E questa constatazione vale per tutti i nostri monumenti e le nostre opere d’arte”.

E questa vulnerabilità era ancor più evidente quando si trattava di proteggere il patrimonio non da una bomba ma da aggressioni di ben minore entità: “Basta pensare a quello che accade sul Campidoglio, a Roma, dove, di notte, manca qualsiasi servizio di tutela, cosa che permette ai vandali di organizzarvi persino corse di motociclette, Alcuni anni fa qualcuno con una spranga di ferro riuscì a sfregiare la testa di una delle statue dei Fiumi, sotto la scalea di Michelangelo”.

Oggi, si penserà, che le cose siano meno drammatiche di quanto Zeri denunciasse a inizio anni ’90. Eppure, ci si sorprende ancora a vedere gli hooligans che assediano la Barcaccia di Piazza di Spagna, o anche i semplici turisti che ci fanno il bagno dentro. O, peggio, nemmeno si viene a sapere di quando chi sarebbe incaricato di salvaguardare l’unicità del patrimonio artistico o paesaggistico italiano viene meno al suo ruolo, permettendo devastazioni legalizzate.

Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.

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