Non mi sono ancora ripreso da quando, nel dicembre 2021, per ragioni politiche, Neil Young tolse il suo intero catalogo discografico da Spotify. Everybody Knows This Is Nowhere, On the Beach e Zuma e altri capolavori uscivano, senza che io volessi, dalla mia libreria musicale. I pochi piaceri di un uomo, al giorno d’oggi sono ancora più volubili.
Sono sempre stato appassionato di musica, ma sono sempre stato anche ritardatario sulle novità tecnologiche. Fino al 2014, non ho avuto uno smartphone e di conseguenza una connessione a internet portatile e costantemente disponibile. Eppure sopravvivevo. Oggi, senza connessione, andrei in crisi di astinenza dopo un’ora o poco più.
L’innovazione tecnologica è arrogante: se non si sta al suo passo, sarà comunque lei a trascinarti. In ambito digitale, poi, sarà l’obsolescenza programmata a fare in modo che ciò che si è imparato ad usare con difficoltà un bel giorno non funzioni più, obbligandoti a imparare da capo qualcosa di diverso.
La privazione assoluta di internet è, però, una forma di ascesi ormai impraticabile, e questo per questioni di mera sopravvivenza, quantomeno nella nostra fetta di mondo. La second life digitale è, invece, una seduzione facile e immediatamente gratificante, una vita parallela rassicurante su cui forse è più facile avere controllo.
Quando la piattaforma di streaming musicale svedese Spotify nei primi anni Duemiladieci si diffuse sistematicamente, per un bel po’ di tempo la ignorai. Fino ad appena un minuto prima di cadere nelle sue malìe, ero un fedelissimo all’iPod, lo scatolino magico della musica sparata nelle cuffiette.
Ben prima dell’iPhone, l’iPod è stato il prodotto di punta di Apple, la testa di ariete con cui l’azienda della Silicon Valley è entrata nel cuore (e nella tasca) di miliardi di persone ovunque nel mondo. Oggi è un dispositivo superato, nemmeno più prodotto e commercializzato.
Fondamentalmente, era un prodigioso juke box portatile, che in pochi centimetri cubici condensava gigabyte di dati in formato di compressione mp3. Centinaia di dischi, migliaia di brani, milioni di minuti di musica fruibile in ogni istante. Il tutto mischiato secondo i propri gusti, con la possibilità di creare ogni giorno una hit parade personalizzata, continua mutazione della propria collezione musicale. L’iPod permise, in sostanza, di mettersi in tasca l’intero scaffale di compact disc e vinili.
Il primo disco musicale ad essere pubblicato in formato CD fu The Visitors degli svedesi ABBA (la Svezia ha evidentemente un grande ruolo in questa storia). Era il 1981. Prima di allora la musica era esclusivamente su disco in vinile. Era, cioè, ingombrante e richiedeva parecchio spazio fisico per l’archiviazione. I dischi in vinile erano, però, oggetti molti belli.
Dischi musicalmente mediocri potevano avere copertine che sono capolavori grafici, sufficientemente grandi da poter arredare una parete come un dipinto o un poster. Il CD ridusse l’ingombro a discapito della bellezza: fra una collezione di vinili e una di CD non c’è gara dal punto di vista estetico. Ma il CD era solo un passaggio intermedio, come abbiamo detto. L’iPod e, quindi, Spotify dematerializzarono definitivamente la collezione musicale.
Il primo concept album della storia è stato Freak Out! dei Mothers of Invention. Era il 1966.
I dischi in vinile hanno un minutaggio registrabile di circa quindici minuti per lato, per un totale di trenta. Frank Zappa, leader della band e uno dei maggiori artisti del Novecento, trasformò il limite in virtù, racchiudendo in due vinili sessanta minuti di un’opera d’arte che ha anche una copertina stupenda. Con questo disco, probabilmente, inizia il culto per l’album musicale anche come oggetto da collezione.
Nel mondo dello streaming, il concetto di album è obsoleto. Sopravvive per abitudine dell’industria discografica e del pubblico. I dischi di oggi sono una formalità, opere aperte con scalette niente affatto rigide, spesso modificate dagli artisti stessi anche dopo la pubblicazione. A volte il disco fisico nemmeno esiste, in molti casi è stampato in edizione limitata proprio ai fini del collezionismo.
Sono sempre stato appassionato di musica, eppure la mia collezione di dischi non esiste. O meglio, non nella vita fisica. I vecchi CD sono a prendere polvere nelle loro poco aggraziate custodie di plastica trasparente. I bei vinili non girano ormai su nessun piatto. I file mp3, piratati con tanto impegno, giacciono abbandonati nel disco rigido del mio computer. Probabilmente, nel giro di qualche anno subiranno l’equivalente digitale della decadenza della materia: si corromperanno e non potranno più essere aperti.
I miei gusti musicali sono in mano ad un’azienda privata svedese. La mia collezione musicale è in streaming, senza consistenza fisica. Fra cinquant’anni o più, un ipotetico pronipote avrà forse difficoltà a ricostruire i miei gusti musicali, e quindi qualcosa che mi poteva caratterizzare come persona. Non ci sarà nessuna cassa di vinili dentro cui fare digging, letteralmente scavare, come dicono in America, solo un account protetto da una password caduta nell’oblio.
Che cosa resterà di me
del transito terrestre,
di tutte le impressioni
che ho avuto in questa vita?
Così cantava Battiato nella sua Mesopotamia.