Il grande giornalista Ettore Mo era sovente dire che il giornalismo si fa con la suola delle scarpe. Oggigiorno, purtroppo e sempre più spesso, a fronte dell’enorme sforzo che gli organizzatori di Mostre compiono per regalare al visitatore il migliore avvenimento possibile, ci si trova di fronte al silenzio più assoluto da parte di quasi tutte le testate (virtuali o meno) che si limitano a riproporre esclusivamente il comunicato stampa dell’evento. Nessuno scrive più recensioni, nemmeno quando sono positive e potrebbero lasciare una traccia e una testimonianza di quanto di buono o meno buono è stato fatto.
Domenica 9 ottobre 2016 ho visitato la mostra Bologna dopo Morandi 1945 – 2015, curata da Renato Barilli e organizzata all’interno della splendida cornice di Palazzo Fava, attualmente sede del Palazzo delle Esposizioni, da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Genus Bononiae Musei nella Città. La Mostra, che rimarrà aperta fino al prossimo 8 gennaio 2017, arriva a due anni di distanza dal successo dell’esposizione Da Cimabue a Morandi, che passava in rassegna sette secoli di arte nella città emiliana, e ruota fortemente intorno al critico che l’ha curata, indiscusso protagonista del mondo dell’Arte italiana già dagli inizi degli anni 60 come membro del gruppo 63 prima e critico militante poi. Si può quindi affermare che la figura di Barilli, degno erede dello storico dell’Arte suo concittadino Francesco Arcangeli (Bologna, 10 luglio 1915 – Bologna, 14 febbraio 1974), che seppe essere tra i critici più influenti della sua generazione, faccia al tempo stesso da apertura che da chiusura del percorso di visita, data la forte personalizzazione che ha saputo dare all’arte contemporanea italiana oggi esposta a Bologna e che lo vede protagonista di questa indiretta retrospettiva che la città di Bologna dedica a questo suo illustre figlio.
Un percorso articolato in 12 “stazioni”, ognuna delle quali ci dà la misura dei grandi fenomeni artistici sia a livello nazionale che internazionale: da Morandi e il dopoguerra, alle influenze del post cubismo e dell’Informale di Alberto Burri, fino alla Pop Art e alla videoarte con una sosta nel mondo dei fumetti, passando dalla tragica rivolta del movimento del ’77 bolognese, inspiegata allora come oggi e che certo un segno ha lasciato nella città e nei suoi Artisti. Come un segno indelebile lo ha lasciato l’immane tragedia della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Un totale di 150 opere di circa 70 artisti, tutti nati o attivi a Bologna e dintorni, che hanno influenzato, con la loro personalità e il proprio stile, la storia dell’arte bolognese dal secondo dopoguerra ad oggi.
La Mostra conferma il primato di Bologna, fin dall’immediato dopo guerra, come vera e propria “città aperta” per l’Arte, caso più unico che raro ancor oggi in Italia e probabilmente nel mondo. Una città che ha a tutti gli Artisti meritevoli l’opportunità di lavorare, sperimentare, esporre, studiare e approfondire le proprie tematiche grazie a quella che Barilli chiama “possibilità di relazione” e che permette ai giovani Artisti di potersi confrontare con importanti Maestri o, comunque, con Artisti già consolidati e riconosciuti dal pubblico e dalla critica, mettendo da parte favoritismi, compiacenze, amicizie e premiando, una volta tanto, la meritocrazia.
Bologna in questi 70 anni ha sempre saputo dare una giusta visione su quello che le varie epoche artistiche hanno saputo rappresentare, esaltando gli artisti outsider che in quel momento erano troppo avanti o troppo radicali per il mercato italiano, costruito spesso da galleristi ancorati al passato o a forma d’arte comunque riconosciute da tutti. Tale magnificenza del “sistema bolognese” vide il suo culmine, o meglio la sua coronazione, con l’istituzione nel 1971 del DAMS (acronimo di Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo): un corso di laurea nato su iniziativa del grecista Benedetto Marzullo, all’interno della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bologna. Di fatto il primo esperimento italiano in ambito accademico di un intero corso di laurea dedicato ad argomenti come lo spettacolo, la musica e le arti in genere, che vide coinvolto fin da subito lo stesso Barilli insieme a alte personalità come Umberto Eco e Adelio Ferrero.
Esperienza, quella del DAMS, fondamentale per quella che si può considerare la primavera bolognese dell’inizio degli anni ’90 con l’esperienza della Nuova Officina Bolognese che vide, per la prima volta, le donne artiste superare nel numero i loro colleghi maschi, in un rapporto di cinque a tre, e che consacrò la figura di Roberto Daolio, tra i promotori dell’omonima Mostra tenutasi alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna dal 14 dicembre 1991 al 19 gennaio 1992, vero e proprio “cuore pulsante” della Bologna Artistica di quegli anni. Senza dubbio una Mostra da promuovere a pieni voti.