Lui è pragmatico e possiede un grande senso degli affari ma viene anche descritto come un visionario caratterizzato da una vera e propria “ossessione enciclopedica” per ogni cosa; Lei è considerata la seconda donna della moda più potente al mondo e possiede una visione unica della bellezza che la fa essere tra le stiliste più apprezzate a livello internazionale, tanto che il Museum of Modern Art di New York le ha dedicato, quest’estate, una mostra, tributandole così un riconoscimento che, fino ad oggi, era toccato ad un solo stilista vivente: Yves Saint Laurent. Sono Fabrizio Bertelli e Miuccia Prada: signori della moda made in Italy ma non solo. I loro nomi, rigorosamente in coppia come nella vita, sono gli unici, infatti, a rappresentare l’Italia nella classifica dei 200 collezionisti più importanti al mondo stilata ogni anno da ARTnews.
Un amore, quello per l’arte, di cui i due coniugi parlano con discrezione nelle rare interviste rilasciate alle più importanti testate del mondo, ma che da un paio di decenni è quasi un secondo lavoro per loro, sempre tenuto ben separato da quello della moda, come Miuccia Prada ci tiene costantemente a precisare; tanto che l’arte non entra mai nei negozi dell’azienda fondata nel 1913 dal nonno Mario Prada o nelle campagne pubblicitarie e che fa sollevare gli occhi alla stilista se qualcuno gli cita i vestiti alla “Mondrian” di Saint Laurent o le borse disegnate da Richard Prince per Louis Vitton. Per lei, d’altronde, come per il marito Fabrizio Bertelli, la moda è divertente ma frivola, mentre l’arte contemporanea è seria ed intellettuale.
«La moda è il mio lavoro e lo faccio con passione – ha dichiarato qualche tempo fa, a tal proposito, Miuccia Prada – ma è anche il mezzo finanziario che mi permette di dedicare tempo ed energie a ciò che più conta per me: l’arte». Niente “mescoloni”, dunque, perché a madame Prada piace essere “brava di suo” e ha sempre rifiutato l’idea dell’artista che lavora per lei disegnando capi o accessori. Amore puro, dunque, che ha fatto del duo Bertelli-Prada una coppia di veri e propri pionieri dell’arte contemporanea, tanto rispettati dal sistema dell’arte che nel 2010 Miuccia Prada è stata madrina del Turner Prize, il premio britannico più ambito e più discusso al mondo.
Uniti dal 1977, Miuccia Prada – classe 1948 e una laurea in Scienze Politiche – e Fabrizio Bertelli, nato ad Arezzo nel 1946, ingegnere e oggi CEO dell’azienda, hanno iniziato a collezionare arte contemporanea agli inizi del anni Novanta e oggi chi visita il loro appartamento milanese può ammirare opere di alcuni dei più importanti artisti degli anni Sessanta, tra i quali Lucio Fontana e Blinky Palermo. Ma è con la nascita della Fondazione Prada che la coppia si è guadagnata il rispetto del mondo internazionale dell’arte.
Nata nel 1993 con l’intento di diffondere l’arte contemporanea, la Fondazione ha oggi all’attivo 24 mostre personali e molti progetti e convegni. Progetti e mostre che hanno visto coinvolti alcuni dei nomi più eccellenti del firmamento dell’arte, da Anish Kapoor a Steve McQueen, da Marc Quinn a Sam Taylor, passando per Damien Hirst, Jeff Koons, John Baldessarri e tanti altri. E proprio questa settimana si chiude la mostra The Small Utopia. Ars Multiplicata nella nuova sede di Venezia, inaugurata un anno fa nel palazzo settecentesco di Ca’ Corner della Regina, ad un passo dalla Galleria Internazionale d’Arte Moderna, dalla Collezione di Peggy Guggenheim e da quella di François Pinault. Una mostra, curata dal direttore della Fondazione Germano Celant, che offre una lettura dell’approccio culturale dell’ente no-profit senza imporre un’interpretazione tematica e univoca al materiale museale presentato che comprende: una selezione della collezione, un anticipo delle future collaborazioni e il progetto per la nuova sede permanente della Fondazione a Milano in Largo Isarco, disegnato da Rem Koolhaas e OMA, che in Ca’ Corner della Regina include la presentazione di modelli in scala del futuro complesso architettonico che aprirà nel 2013.
E proprio la libertà di interpretazione che quest’ultima fatica espositiva lascia ai visitatori è uno dei caratteri fondamentali del rapporto che Miuccia Prada e Fabrizio Bertelli hanno con l’arte contemporanea, tanto che ha spinto i due coniugi a selezionare con una certa riluttanza Germano Celant quale direttore e curatore della Fondazione: «Temevo che Germano volesse imporci la sua visione – commenterà in merito Miuccia Prada – ma lui insisteva sul livello della qualità». «Sospettavano di me e io guardavo con sospetto il mondo della moda», ricorderà anni più tardi lo stesso Celant al New York Times: «Io desideravo chiarire subito che se erano veramente seri e intendevano dar vita ad una collezione unica, dovevano pensare in grande e dar vita ad un progetto unico, irripetibile. Così, fin dall’inizio l’idea fu quella di produrre arte e di collaborare con gli artisti su nuove idee, su grandi idee, e non solo di comprare o di mostrare oggetti».
Mecenatismo, dunque, ma anche intuito e tanto, tanto studio. Ecco il segreto del successo come collezionisti di Miuccia Prada e Frabrizio Bertelli che, ricordando i loro inizi, hanno raccontato come il loro interesse per l’arte contemporanea sia nato più che altro come una sfida. «Avevamo alcuni amici che erano scultori – ha ricordato Miuccia Prada in occasione dell’inaugurazione della mostra veneziana – e quando vedevano uno dei nostri edifici in una vecchia area industriale, esclamavano: “Questo è perfetto per la scultura, dovreste organizzare una mostra”, e mio marito rispondeva: “E’ una buona idea”». Un inizio quasi casuale a cui, però, sono seguiti anni di duro studio in cui la coppia ha iniziato a frequentare artisti e a visitare i loro studi.
«E’ stato un duro allenamento. – ha ricordato ridendo la stilista – Iniziammo anche a comprare ma non con l’idea di diventare collezionisti. Ancora oggi non mi piace l’idea dei essere una collezionista. Per me l’arte è un qualcosa che riguarda l’educazione e la vita con gli altri. E’ viva. Collezionare è un po’ “morto”» ed, infatti, quando gli si chiede se si senta o meno una collezionista, Miuccia Prada declina gentilmente come ha fatto recentemente conversando con Francesco Bonami sulle pagine de La Stampa: «No. Il collezionista è uno che ha un metodo, che studia, che conosce bene la storia, che ha un criterio. Io reagisco a ciò che mi stimola senza seguire un metodo preciso. Mio marito è un collezionista, ha un metodo e un criterio con il quale guarda l’arte».
Modestia a parte anche Miuccia, come viene chiamata da chi vuol far capire di esserle intimo, ha le idee ben chiare su quale arte le interessa: «In tutta sincerità l’arte per l’arte a me interessa fino ad un certo punto. A me interessa l’arte come strumento, anche politico, per fare una riflessione sul mondo e su come si possano cambiare certe dinamiche morali e umane. Si parla tanto della fine del postmoderno quando invece credo che non si sia ancora capito bene del tutto quali siano stati i limiti e gli errori della modernità. Mi interessa l’arte che mi consente di affacciarmi al mondo. Oggi di disquisire di Donald Judd, un artista che per altro mi piace molto, non mi pare interessante o essenziale. M’interessa più uno come John Baldessarri che alla sua età continua ad essere curioso e a giocare con il linguaggio». Affermazioni da dove sembra riaffiorare l’animo, evidentemente mai sopito, della giovane contestatrice degli anni Settanta e che fanno intuire, anche in arte, il gusto sperimentale della stilista che, stando a quanto afferma Celant, si contrappone al gusto più tradizionale di Fabrizio Bertelli che però è dotato di un occhio incredibile.