Tra le credenze più diffuse nel mondo dell’arte e del collezionismo c’è n’è una, un po’ lugubre, secondo la quale, dopo la morte, i prezzi di un artista sono destinati a crescere. Una credenza che casi come quello di Carol Rama, tanto per citarne uno, sembrano confermare. Ma siccome, come sosteneva Agatha Christie, «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova», mi sono messo alla ricerca di altri elementi che potessero confermare o sfatare questo “mito”. Una ricerca non semplice, a dire il vero, visto che la maggior parte dei testi dedicati all’economia dell’arte, se lo fanno, citano a mala pena l’esistenza di un possibile “effetto-morte” nel mercato dell’arte. Solo una leggenda, dunque? No.
Per quanto trascurato da molta letteratura, dal 2000 ad oggi alcuni ricercatori universitari, mossi da curiosità, hanno dedicato le loro energie proprio ad indagare quale sia l’effetto della morte sul mercato degli artisti. In molti casi si tratta di studi che hanno preso in esame casistiche talmente particolari da non permettere generalizzazioni, ma ce ne sono due – abbastanza recenti – che invece hanno adottato un approccio molto più sistematico. E’ il caso, ad esempio, dello studio condotto da due ricercatori del Dipartimento di Economia dell’Università di Costanza in Germania: Heinrich W. Unsprung e Christian Wierman.
Pubblicato nel 2008, il loro studio (Reputation, Price, and Death: An Empirical Analysis of Art Price Formation) si basa su 436.308 transazioni d’arte estratte dal Hislop’s Art Sale Index (1980-2005) analizzate tenendo presenti anche fattori spesso trascurati da ricerche analoghe, come la qualità riconosciuta dai collezionisti contemporanei all’opera dei vari artisti (in relazione all’età degli stessi) e la loro reputazione al momento della morte. Ma anche le caratteristiche delle opere (supporto, genere, dimensioni, firma, mercato di vendita); la presenza annuale in asta e se si tratta di artisti “eccezionali”, dei maestri per intenderci, o di artisti ordinari. Oltre al fattore “liquidità”, ossia alla quantità di opere disponibili sul mercato. Così da tenere sott’occhio tutti gli elementi che concorrono alla formazione dei prezzi di un’opera d’arte e valutare l’effetto che ha su di loro il passaggio a miglior vita dell’autore. E i risultati sono molto interessanti.
L’effetto-morte e il fattore Età
Per prima cosa, dallo studio delle transazioni prese in esame, emerge che l’effetto-morte è un fenomeno statisticamente rilevante. In altre parole: esiste. Ma non sempre ha il risultato “atteso”. Una variabile molto importante risulta essere, infatti, l’età in cui un artista muore. Se si traccia un grafico della relazione tra effetto-morte e età al momento del decesso, infatti, questo avrà una forma ad U rovesciata. E questo perché le componenti del cosiddetto effetto-morte sono sostanzialmente due: il fattore “reputazione” e il fattore “rarità”. E con “rarità” si intende la minor disponibilità di opere di un determinato artista sul mercato.
Questo fa sì che il fattore età generi un effetto-morte negativo sui prezzi quando un artista scompare giovane e positivo via via che l’età al momento del decesso diventa più alta. L’influsso del fattore età scompare completamente quando la morte sopraggiunge tra i 63 e i 75 anni. «Se un artista muore dopo questa età critica – rilevano Unsprung e Wierman – il fattore “reputazione” è superato dal fattore “rarità” e l’effetto-morte è positivo. E raggiunge il suo massimo quando la morte avviene tra gli 83 e gli 88 anni con un’incidenza sui prezzi tra il +11% e +14%. Se poi il decesso arriva ancora più tardi, l’effetto decresce e, in alcuni casi, diventa negativo».
In altre parole, per gli artisti che muoiono giovani, l’effetto-morte è dominato dal fattore “reputazione”, mentre per chi muore vecchio, è la “rarità” il fattore dominante, in quanto le sue opere – cessando la produzione – diventano meno disponibili sul mercato. Come spiegano Unsprung e Wierman, infatti, «all’inizio della loro carriera, gli artisti non posso contare sul fattore reputazione. Tuttavia, i collezionisti che apprezzano il lavoro di una giovane promessa possono essere disposti a pagare cifre considerevoli per il suo lavoro, aspettandosi che questo artista ottenga una reputazione che giustifichi il prezzo pagato per le sue prime opere. Ma se questo tipo di artista muore prematuramente senza che la sua carriera sia sufficiente a garantirgli la reputazione attesa, i prezzi crollano». E questo effetto è maggiore per i “giovani” più talentuosi, in quanto le relazioni tra reputazione e successo commerciale non sono propriamente lineari.
L’effetto-morte e il fattore Qualità
Se l’età è, dunque, una variabile fondamentale perché l’effetto-morte sia positivo o negativo, un altro elemento chiave che determina l’influsso della morte sui prezzi è certamente la Qualità dell’artista deceduto. Ed è questo forse uno dei risultati più interessanti, specie in un’epoca in cui sul mercato si assiste a numerose “riscoperte” di artisti e movimenti (o correnti) artistici che interessano, in prima battuta, i nomi più importanti e rappresentativi e, col tempo, anche alcuni epigoni. Dalle analisi condotte dai due ricercatori emerge, infatti, come l’effetto-morte sia molto più pronunciato per i “grandi maestri” che non per quelli semplicemente “bravi”. Per non parlare di quelli di livello ancora inferiore.
A chiarire quanto la Qualità dell’artista sia determinante perché si generi un effetto-morte positivo, interviene poi un secondo studio condotto da Bernd Frick, del Dipartimento di Management dell’Università di Paderborn, e da Christian Knebel della Facoltà di Economia dell’Università di Witten/Herdecke: Is there really a “Death-Effect” in Art Market?
Tra effetto-morte e effetto-nostalgia
Analizzando 266.000 risultati d’asta riferibili a circa 560 pittori e che coprono un periodo di 45 anni (1959-2003), Frick e Knebel ci forniscono alcune elementi in più per comprendere come la morte di un artista influisca sui suoi prezzi. Se da un lato, infatti, lo studio dei due ricercatori conferma quando scoperto in altre ricerche sullo stesso tema, la loro analisi ha il pregio di andare più a fondo, mostrando come l’effetto-morte sia significativamente diverso a seconda che si parli di artisti “ordinari” o di “star”.
Prima di procedere in questa distinzione, però, Frick e Knebel rilevano come, a livello generale, la domanda relativa alle opere di un arista cresca molto velocemente nel primo anno dopo la sua scomparsa, per rimanere poi stabile nei primi cinque anni dopo il decesso. Allo stesso tempo, analizzando l’andamento dei prezzi delle opere vendute subito dopo la morte del loro autore, scrivono i due ricercatori, «emerge un dato sorprendente: sebbene il numero di opere vendute cresca abbastanza drasticamente attorno al momento del decesso dell’artista, i prezzi rimangono praticamente invariati per i primi 4 o 5 anni dopo la sua morte». «Ugualmente sorprendente – aggiungono – è la differenza tra artisti “ordinari” e “superstar”. In entrambi i gruppi, i prezzi in asta registrano un picco nel quarto anno dalla morte dell’artista e successivamente iniziano a calare. Mentre nei primi due anni dopo la sua scomparsa non si registrano particolari reazioni in termini di valori medi».
Entrando più nel dettaglio, l’indagine di Frick e Knebel fa emerge come l’effetto-morte sul valore delle opere diventi negativo per gli artisti “ordinari”, più passa il tempo dal momento della loro morte. Allo stesso tempo l’effetto-morte è circa di due o tre volte superiore nel caso di artisti “star”. Sempre per quanto riguarda gli artisti più famosi, inoltre, lo studio evidenzia come l’attenzione riservata dai media alla loro scomparsa determini una sorta di effetto-nostalgia: «i prezzi in asta, infatti, crescono subito dopo la morte di un artista, ma tendono a tornare ai livelli pre-decesso molto rapidamente. Inoltre, questo effetto è limitato agli artisti più famosi, mentre per quelli “ordinari” ciò può essere dimostrato solo in parte». Anche se, aggiungono, «l’effetto-nostalgia è certamente più pronunciato per gli artisti “ordinari” che, abitualmente, spariscono più rapidamente dalla mente delle persone che non le “superstar”».
Se, dunque, i due studi citati confermano l’esistenza di un effetto-morte, anche se con dinamiche diverse a seconda che si parli di artisti famosi o di figure meno note, è interessante notare come sia Unsprung e Wierman che Frick e Knebel sottolineino l’importanza della visibilità (in primis mediatica) perché il mercato di un artista continui a svilupparsi anche dopo la sua dipartita da questo mondo. Ed è qui che si inserisce il ruolo che oggi svolgono, in modo sempre più importante, gli Archivi d’Artista. Ma di questo parleremo la prossima volta.