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Lucio Fontana: la materia, lo spazio e il vuoto

del

«Non temere il proprio tempo è un problema di spazio» avvertiva una canzone dei C.S.I. Parla di una linea che aveva diviso la terra in due e dell’importanza di saper scegliere da che parte stare. Un problema, quello della comprensione dello spazio, della sua costruzione, della sua rappresentazione, della sua relazione rispetto al soggetto che lo occupa, che era anche uno dei nodi cruciali dell’arte moderna.

A partire dalle Avanguardie Storiche lo spazio del quadro divenne il campo della sperimentazione più ardita. I primi esempi concreti li fornirono i pittori futuristi: Giacomo Balla e Gino Severini lasciavano respirare i propri quadri profondamente, portandoli a espandersi fino a superare il limite, finora invalicato, della cornice. Tuttavia questi furono dei tentativi timidissimi a confronto con la ricerca che parallelamente Umberto Boccioni stava portando avanti in scultura. Il suo Sviluppo di una bottiglia nello spazio del 1912 è uno dei casi esemplari di integrazione fra l’oggetto e l’ambiente attorno ad esso.

Umberto Boccioni, Sviluppo di una bottiglia nello spazio, 1912
Umberto Boccioni, Sviluppo di una bottiglia nello spazio, 1912

In questa opera la natura morta presenta una bottiglia poggiata su un piatto, ma entrambi sono a tal punto inglobati fra loro in uno spazio coeso e consequenziale da fondere insieme l’interno ed esterno. Il fatto è che agli inizi del secolo la percezione del mondo fisico venne completamente trasformata e gli artisti assorbirono queste scoperte. Sono innumerevoli gli esempi nella storia dell’arte a dimostrazione che quando cambia la conoscenza che abbiamo del mondo circostante inevitabilmente il modo di rappresentarlo muta a sua volta. Si scoprì che lo spazio fra i corpi è attraversato da forze invisibili: la luce, il calore, l’elettromagnetismo, tutti elementi che i futuristi introdussero nelle loro opere.

Sembra scontato oggi, ma non lo era allora. Il sistema fisico newtoniano era stato il punto di riferimento per secoli, è solo la teoria della relatività di Albert Einstein prese il suo posto. Questa dimostrò che i corpi non si muovono nel vuoto, ma lo spazio è composto di materia. Non c’è vera separazione fra i corpi, siamo tutti parte integrante di questa materia in movimento che chiamiamo, ora con un’altra consapevolezza, spazio.

LOTTO 31 - Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attesa,1962. Idropittura su tela, blu scuro, cm 92x60. Courtesy: Sotheby's
Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attesa,1962. Idropittura su tela, blu scuro, cm 92×60. Courtesy: Sotheby’s

Nulla di quanto è stato detto finora sembra avere attinenza con le opere realizzate da un argentino di origine italiana che, dagli anni ’20, iniziava la sua carriera fra i due paesi: Lucio Fontana. I suoi studi furono piuttosto regolari, prima in Argentina con il padre, scultore funerario, successivamente si iscrisse all’Accademia di Brera nel 1927. Lì seguì i corsi di Adolfo Wildt, il quale lasciò un’influenza evidente nelle sue prime opere.

Dopo questo primo periodo milanese, durante il quale si immerse a fondo nel clima artistico europeo, tornò a Buenos Aires nel 1940. Fu lì che strinse forti rapporti con gli artisti locali e fondò una scuola di scultura per formare una nuova generazione di artisti. Sempre lì che redasse il Manifesto Blanco nel 1946, la prima dichiarazione ufficiale delle sue idee riguardo il rinnovamento dell’arte.

LOTTO 215 - Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1949, matita e buchi su carta, cm 28x22. Valutazione 15.000,00 - 25.000,00€. Battuto 34.000,00€
Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1949, matita e buchi su carta, cm 28×22.

Questo manifesto fu sottoscritto da molti colleghi e allievi artisti e, esportato al suo ritorno a Milano, fra il 1947 e il 1948 divenne il Manifesto dello Spazialismo. In entrambi il nucleo del pensiero di Fontana era una visione evoluzionista dell’arte, la quale va di pari passo al progresso dell’uomo nel campo della tecnica. Una fusione fra positivismo e psicanalisi la sua, che parlava di un’arte come creazione spontanea dell’inconscio (differenziandola dunque nettamente dalla scienza), creazione che doveva prendere forma attraverso mezzi innovativi e concentrarsi sul colore, il suono, il movimento.

Abbandonate definitivamente la cornice e il piedistallo a favore di installazioni ambientali, le opere d’arte spaziale sarebbero state il colpo definitivo alla prospettiva rinascimentale. Nel testo i riferimenti ai manifesti futuristi sono molteplici e nemmeno troppo velati. In numerosi scritti e interviste Fontana parlò apertamente della sua ammirazione per Umberto Boccioni, specie per la sua capacità di far penetrare la luce nella scultura eliminando, di fatto, il limite fra la materia e lo spazio.

La luce divenne così un elemento plastico fondamentale, che prese corpo quando Fontana realizzò le prime sculture al neon. Il caso più celebre di questa serie fu Concetto spaziale al neon realizzato per la IX Triennale di Milano nel 1951, uno scarabocchio luminoso sospeso in aria. Disegno e scultura dunque, tutto fatto con un materiale impalpabile e volatile: un’idea già teorizzata nel Manifesto della Scultura Futurista che finalmente trovò applicazione.

Ma fra vari tentativi e molte opere all’attivo, fu solo alla fine degli anni ‘40 che cambiò il corso della sua carriera. Fontana, che finora si era dedicato in gran parte alla scultura sotto varie forme, iniziò a concentrarsi su delle tele che venivano cosparse di buchi. Realizzò molte serie in cui ripeté questo motivo, nelle quali forava la tela seguendo profili informi, di galassie e nebulose, intervallate a parti cosparse di pietre o polveri scintillanti. Interrompevano la continuità della superficie di tele a olio o inchiostro, lastre di metallo, volumi di gesso e bronzo, dal profilo rettangolare, ellittico o irregolare. In alcuni casi si tratta di un foro circolare, in altri l’apertura si allarga con bordi frastagliati, in altri ancora si allunga a formare uno o più tagli.

Lucio Fontana, Concetto spaziale, In piazza San Marco di notte con Teresita, 1961. Courtesy: Christie's
Lucio Fontana, Concetto spaziale, In piazza San Marco di notte con Teresita, 1961. Courtesy: Christie’s

L’apparente semplicità degli elementi che compongono tali opere non impedisce che sorgano molte domande. Se il quadro non è un campo nel quale si dispiega la soggettività dell’artista, se il taglio non è un’allegoria, cosa resta? Fontana rispose a queste domande molto chiaramente: lui, nato scultore, non creava quadri ma concetti spaziali. Concetti, non pittura. Il supporto varia di volta in volta proprio perché il suo senso non è legato al materiale, ma alla scoperta che il vuoto crea spazio.

Con un lunghissimo salto geografico e culturale, il rispetto e il valore che il vuoto assume nelle opere di Fontana pare avvicinarsi al pensiero zen giapponese e rifiutare in blocco secoli di razionalismo occidentale. L’arte che è stata sempre considerata nella cultura europea una forma di decorazione estetica dal gusto intellettuale, si capovolge nella contemplazione di verità semplici. Il vuoto nel quadro, quindi nello spazio, che è in realtà pieno anche esso, è l’inaugurazione da parte di Fontana di una nuova concezione della materia e dell’arte che aderiva alla nuova epoca che stava iniziando.

Lucio Fontana, Concetto Spaziale, La fine di Dio, 1963 Courtesy Tornabuoni Art
Lucio Fontana, Concetto Spaziale, La fine di Dio, 1963. Courtesy Tornabuoni Art

Per comprendere cosa ciò voglia dire bastano poche righe di una storia zen tratta dal Tao Te Ching: «Trenta raggi nella ruota di un carro convergono nel mozzo che è il centro. Ma nel centro non c’è nulla ed è proprio per questo che funziona! Se plasmate una tazza dovete creare una cavità: è il vuoto che la rende utile. In una casa o in una stanza sono gli spazi vuoti (le porte e le finestre) che la rendono utilizzabile. Tutti usano ciò di cui sono fatti per fare ciò che fanno, ma senza il loro nulla non sarebbero niente».

Per questo Fontana rifiutò decisamente che lo si accusasse di distruzione. Buchi e tagli furono piuttosto gesti di fondazione, come i solchi che, rompendo la continuità della terra, delimitavano lo spazio della città. Da quel taglio concreto nella tela si capisce che l’arte è fatta di materia e spazio, perdendo le residue velleità romantiche di salvezza ed elezione. Rompendo la superficie del quadro, lo spazio entra letteralmente nell’opera, la attraversa, ne diventa parte integrante. Lo spazio è l’opera, l’opera si fa con lo spazio, che è materia dinamica infinita. Niente metafisica qui, nessuna metafora, l’allegoria sparisce. L’arte concettuale di Fontana è estremamente concreta.

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