Il ruolo della fotografia d’arte nel mercato dai primi anni Novanta ad oggi si è solidamente definito. Negli anni è aumentata l’attenzione delle grandi istituzioni culturali per questo medium e, parallelamente, si è formato nei suoi confronti un interesse sempre più ampio da parte dei collezionisti. Tutto ciò ha fatto sì che artisti di primo piano come Cindy Sherman, Andreas Gursky o Richard Prince continuino a registrare risultati strabilianti nelle aste internazionali. Record a parte, quello della fotografia rimane ancora uno dei punti di accesso privilegiati per chi si avvicina al collezionismo d’arte contemporanea, permettendo ai giovani collezionisti di mettere insieme una collezione di pregio con budget tutto sommato contenuti. II fatto che le fotografie siano potenzialmente più economiche non significa, però, che ci si debba approcciare al collezionismo di questa forma d’arte in modo superficiale. Come per il resto del mercato dell’arte contemporanea, infatti, anche per la fotografia esistono regole non scritte che un collezionista (o aspirante tale) deve assolutamente conoscere per non incorrere in brutte sorprese. Nel collezionismo, come in altri campi della vita, d’altronde, niente è più prezioso dell’esperienza e, nel nostro paese, la persona più autorevole nel campo del collezionismo di fotografia è certamente Fabio Castelli fondatore, tra le altre cose, del MIA Fair – Milano Image Art, la più importante fiera di fotografia che si tenga in Italia.
Nicola Maggi: Lei ha iniziato a collezionare fotografia negli anni Settanta. Come è cominciata questa sua avventura?
Fabio Castelli: «Nella mia vita ho collezionato moltissime cose diverse. Tra queste la grafica, di cui ho creato un’importante collezione che andava dagli incunaboli fino ai contemporanei, toccando tutti i supporti tecnici che poteva offrire. Ad un certo punto, in questa mia disamina approfondita di tutte quelle che sono le tecniche e le dimostrazioni del massimo risultato ottenibile da esse, sono arrivato al cliché-verre che, come lei sa, è praticamente un disegno fatto su un vetro traslucido che viene messo su una carta fotosensibile ed esposto alla luce per poi sottoporre la carta al processo di sviluppo e fissaggio. Caratteristiche che ne fanno un vero e proprio trait d’union tra la stampa e la fotografia. Da questo incontro ho deciso di approfondire la fotografia».
N.M.: All’inizio su quali artisti si è fermata la sua attenzione?
F.C.: «Fin dall’inizio ho adottato lo stesso tipo di approccio che avevo utilizzato per la grafica, partendo dagli “incunaboli” della fotografia arrivando fino ai contemporanei. In questo modo ho dato vita ad una collezione che ripercorre tutta la storia della fotografia dai Dagherrotipi fino ad oggi. Per me, d’altronde, collezionare è stato sempre un modo per conoscere. Ho cercato di riempire, così come facevamo con le figurine, questo album immaginario della storia della fotografia con immagini che permettessero di avere una visione coerente e logica di come si inseriva questo grande viaggio nel mondo dell’arte. Anche sotto il profilo storico dell’evoluzione culturale, l’importanza della fotografia è enorme, ha una valenza straordinaria. L’impressionismo nasce dai primi fotogrammi mossi della fotografia, da Muibridge in poi; con la nascita del pittorialismo, ha dato la possibilità alla pittura di andare verso l’astratto e ha aperto la strada alle avanguardie storiche. C’è un’intersecazione straordinaria e la comprensione di tutto ciò è proprio il bello di collezionare, almeno per me, poi ognuno colleziona nel suo modo».
N.M.: La fotografia sta riscuotendo un successo sempre maggiore, in particolare tra i giovani tra i 25 e 30 anni attirati anche dal fatto di poter acquistare delle opere di un certo pregio a prezzi ancora accessibili. Che consiglio si sente di dare a questi nuovi collezionisti?
F.C.: «Bisogna sempre vedere l’atteggiamento. La generazione di cui parla, che poi è quella di mia figlia, purtroppo guarda troppo al discorso investimento. Spesso la prima domanda che fanno è: Quanto varrà nel futuro? Questo non può essere il primo punto, l’investimento deve essere inteso come acquisto oculato: comprate qualcosa da una galleria che abbia un certo prestigio e una certa storia; l’opera di un autore che abbia un impegno serio nell’attività che svolge e, soprattutto, qualcosa che vi piace che soddisfi il vostro gusto estetico e vi gratifichi. Uno dei test fondamentali della qualità di un’opera è la durata nel tempo del piacere di averla davanti agli occhi. Se compri la fotografia di un mazzo di fiori, sicuramente uno fresco, messo in un bel vaso, ad un certo punto ti dà molto di più che vedere sempre quell’immagine. Devi capire quale beneficio trai dal guardare costantemente un’opera e, quindi, deve essere un lavoro che ha un contenuto non esclusivamente estetico, ma che dica qualcosa di più, che ti faccia pensare ogni volta che lo vedi, che sia un memento per qualcosa che sai essere importante. Quindi, il primo approccio deve essere questo. E deve essere fatto con consapevolezza: riguardo sia alla galleria che all’autore, il quale deve garantirti una continuità della sua presenza sul mercato e quindi la possibilità di poterlo seguire, presupponendo anche un miglioramento delle sue quotazioni e un interesse del pubblico».
N.M. Nella sua lunga carriera di collezionista qual è stata un’esperienza che l’ha segnata particolarmente nel suo modo di muoversi sul mercato?
F.C. «Ero a Paris Photo, compro un’opera di un artista internazionale da una grande galleria, tiratura 3 esemplari, e pago l’anticipo per tenerla ferma. Mentre giro per la fiera mi viene in mente la possibilità che ce ne siano altre copie. Visto che so che c’è questa consuetudine, chiamo per chiedere di controllare. Sul momento mi rassicurano per poi, però, richiamarmi e dirmi: ho chiamato l’artista ce ne è un’altra tiratura di 5. A questo punto sono tornato allo stand della galleria e chiedendo di rilasciarmi un certificato in cui la mia opera risultasse la numero 2 di una tiratura di 8, al che mi rispondono che questo non è possibile perché ne è già stata venduta una anche dell’altra serie. A quel punto ho richiesto indietro i soldi. E questo è un aneddoto per dire che questo mal costume è diffuso. Tutti i galleristi e gli artisti tentano di fare i furbi con il risultato di far scappare il collezionista che rimane fregato. Queste regole del gioco sono fondamentali per dare un costrutto al mercato della fotografia. Tutte queste piccole cose sono fondamentali».
N.M. Quello delle tirature è un tema delicato nella fotografia che vede prendere dai vari attori posizioni diverse, in particolare se messo in rapporto con le dimensioni della fotografia…
F.C.: «Io affermo che sia truffa fare delle edizioni diverse a seconda delle dimensioni. Se della stessa immagine stampi 3 esemplari di una dimensione e 10 di un’altra, secondo me devi dire che fai una tiratura di 13 esemplari suddivisi in dimensioni diverse. E’ vero che la dimensione fa parte del linguaggio artistico però non è talmente importante da farla diversa: è la stessa immagine più grande o più piccola. Quindi di quell’immagine tu ha fatto 13 copie. Poi, quando farai successivamente un catalogo ragionato, dirai che di quell’immagine ne hai fatte 6 di un tipo e 7 dell’altro. In sostanza l’importante è il numero 13 più, eventualmente, 1 o 2 prove d’artista. Questa è la tiratura».
N.M. : le prove d’artista … altro tasto delicato…
F.C.: «Quello delle prove d’artista è un altro tema con cui gli autori, diciamo, bypassano l’obbligo di dichiarazione di tiratura: la prova d’artista va dichiarata esattamente come la tiratura. Nella tiratura ci sono 5 copie più due prove d’artista e devono essere dichiarate altrimenti uno fa 20 prove d’artista e utilizza questo escamotage per fare le tirature che vuole; oppure per fare la bella figura e dare all’asta charity un’opera di cui esiste una tiratura ma di cui do una prova d’artista. E questo tradisce coloro a cui sono state regolarmente vendute perché si aumenta il numero di copie sul mercato. La dichiarazione di tiratura deve essere espressa dicendo, ad esempio: 5 copie + 2 prove d’artista. Se vogliamo essere ancora più precisi e toccare una questione di riconoscimento, i numeri delle copie della tiratura sono in numeri arabi e quelli delle prove d’artista in numeri romani. Si mutua, praticamente, l’esperienza della grafica che usa questo stesso sistema di numerazione».
N.M.: Dal punto di vista del valore economico vi è qualche differenza tra le varie copie?
F.C.: «Non cambia assolutamente nulla. Fare differenze tra una fotografia 1/5 rispetto a una 5/5 è assolutamente feticismo puro perché non c’è nessun degrado. Diciamo che nella grafica si giustifica maggiormente, in particolare nella punta secca dove quando si arriva verso la 15 o la 20 si schiacciano le barbe per cui cambia il segno, o nell’acquaforte quando, diciamo, il rame comincia a consumarsi e serve un’acciaiatura che lo rende più rigido e meno fresco. Ma già nella litografia tutto ciò è meno visibile. Tornando alla fotografia, ci possono essere, invece, prezzi che aumentano perché siamo vicini all’ultima copia disponibile e quindi cala l’offerta rispetto alla domanda. E questo è lecito ma è un atteggiamento che non amo, un po’ troppo orientato al business».
N.M.: La prova d’artista, invece, che valore ha rispetto ad una copia della tiratura?
F.C.: «Uguale. E’ un modo per differenziare. Diciamo che la prova d’artista è quella che il fotografo si tiene per sé e alla fine te la vende quando non ci sono più copie disponibili. Oppure gli serve per remunerare chi fa parte del progetto: a te stampatore, invece di darti dei soldi, di do un’opera, una prova d’artista. Diventa moneta per coloro che sono coinvolti nella produzione dell’opera. Può capitare, però, che costino meno perché sono opere meno direttamente coinvolte nel circuito, per cui magari uno vuole monetizzare un ricavo a fronte di un costo sostenuto per produrre le opere ed è quindi disposto a fare uno sconto sul prezzo, sul valore rispetto a quello del mercato perché per lui è un ricavo della sua attività produttiva».
N.M.: A proposito di prezzi, se si vuole fare un acquisto oculato è necessario sapere qual è il valore economico di un artista, avere dei punti di riferimento ma questo non è sempre facile in particolare se si tratta di artisti non ancora arrivati al mercato secondario (quello delle aste per capirsi, ndr)…
F.C.: «Certo, quando parliamo di nomi che iniziano ed essere presenti nelle aste, sono sicuramente più controllabili ma si ha sempre la possibilità di verificare. Se il tuo interlocutore è una galleria seria mi fiderei Se, invece, uno si fida del proprio gusto e compra cose il cui riferimento non è oggettivabile attraverso prezzi d’asta deve sapere che può partire da meno di 1000 euro e arrivare fino ai 2500-3000 euro. Quando i prezzi cominciano ad andare sopra i 5000 euro, invece, lì i riferimenti li può avere guardando gallerie diverse. E’ molto difficile che uno abbia difficoltà. Diciamo che l’approccio giusto è quello di iniziare con opere che hanno prezzi relativamente bassi in modo tale da capire cosa gli piace e poi girare».
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