De Chirico è il decano della pittura italiana del Novecento. Poche affermazioni esternate tra i cultori d’arte possono essere divisive come questa, me ne rendo conto. Ma che piaccia o meno, non c’è altro artista italiano che, dal Tiepolo in avanti, sia stato in grado di incarnare come lui lo spirito della italica sprezzatura[1] che fece grandi gli italiani nel Rinascimento (e dopo).
Enigmatico sin dalla nascita: italiano o greco? Nella sua autobiografia, l’artista traccia per i suoi genitori lontane origine palermitane e liguri, anche se questi erano effettivamente nati su suolo greco come i figli Giorgio e Alberto (Andrea Savinio). Indefinibile e unico sin dai primi vagiti.
De Chirico è stato, a suo tempo, l’artista italiano più famoso al mondo. Se dapprima i Surrealisti di Breton lo indicavano come proprio padre putativo, essi finirono in seguito per odiarlo, probabilmente a causa della superba indifferenza che il nostro volentieri riservava loro.
Una pacata ostilità riservata a molti altri mostri sacri del suo tempo. Indimenticabili le male parole dedicate a un altro decano della storia dell’arte italiana del Novecento, Roberto Longhi, accusato, udite udite, di essere un pittore fallito e di provare, naturalmente, invidia per chi invece aveva vero talento.
Per età anagrafica, De Chirico avrebbe tranquillamente potuto aderire al Futurismo, e invece, nella memorie della sua vita, il nome di Marinetti non compare nemmeno una volta.
Questo ci dà la dimensione di quanto egli viaggiasse su traiettorie completamente diverse da quelle dei suoi contemporanei: le traiettorie di un artista (e di un uomo) che si sentiva il “pictor optimus” e “l’ultimo classico”.
Da vero artista italiano del Quattrocento, De Chirico è l’unico che, tra i suoi contemporanei, ci abbia lasciato un trattato di pittura secondo l’antica tradizione di Cennino Cennini: Il Piccolo trattato di tecnica pittorica, pubblicato nel 1928 per i tipi Hoepli nella collana diretta da Giovanni Scheiwiller che già aveva dato alle stampe, non a caso, l’edizione integrale del manuale di restauro del conte Giovanni Secco Suardo.
Sgombriamo il campo da ogni possibile dubbio: questo testo non è un’astratta elucubrazione sulla pittura, ma un ricettario vero e proprio, una sorta di diario in cui l’artista ha annotato appunti su materiale e tecniche apprese a partire dagli anni di studio accademici, confrontandosi con l’opere di Böcklin, fino ad arrivare alla riscoperta della tradizione italiana.
Quelli raccolti in questo breve testo sono consigli e istruzioni date dall’artista a sé stesso e a una sua virtuale bottega, proprio come se a scrivere fosse un Old master, come gli inglesi chiamano i grandi pittori del passato.
Il testo è diviso in sezioni, riguardanti la pittura ad olio e quella a tempera. Particolarmente interessante la seconda, dal momento che, com’è noto, col diffondersi della pittura ad olio, nella seconda metà del Quattrocento, la tempera venne gradualmente scalzata sino ad essere quasi completamente abbandonata.
Per pittura a tempera si intende, propriamente, quella che utilizza come legante tra i pigmenti il rosso d’uovo puro o miscelato con altri elementi oleosi. La tecnica classica del Rinascimento italiano, che fu di Giotto, del Beato Angelico ma anche di Raffaello.
Nel contesto di “ritorno all’ordine” tipico degli anni Venti del secolo scorso, che in Italia trovò massima espressione nell’articolato movimento del Novecento messo in piedi da Margherita Sarfatti, la riscoperta delle tecniche pittoriche “classiche” divenne una costante. De Chirico si era posto all’avanguardia iniziando già dal 1919 una riflessione attorno al “ritorno al mestiere” sulle pagine della rivista Valori plastici.
Fa specie pensare che negli stessi anni, in altri contesti, si era già sperimentata la pittura utilizzando vernici sintetiche di derivazione prettamente industriale, plastiche derivate dalla lavorazione del petrolio, fino ai primi objects trouvés. Fontana di Marcel Duchamp è del 1917. Mondi lontanissimi, compressi in pochi anni. Ma il ‘900, si sa, è stato un secolo decisamente variegato.
Il piccolo trattato è una lettura appassionante, che insegna veramente tanto di tecnica e materiali della pittura tradizionale, per cui è una lettura che consiglio vivamente a restauratori, studenti, pittori, collezionisti e appassionati, anche perché De Chirico era anche un ottimo scrittore (per chi scrive superiore a suo fratello), molto scorrevole e coinvolgente. Leggendolo, si può avere un’idea su: come eseguire un’imprimitura della tela, quali leganti usare e come miscelarli, come usare i pigmenti, come scegliere i pennelli, come conservare i colori perché non secchino troppo velocemente.
Il Piccolo trattato è reperibile in due edizioni correnti, una di Nardini editore e una di Abscondita.
[1] Baldassarre Castiglione definisce così la spezzatura: “usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi.”