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Nelle terre di Piero. Appunti per un museo sparso

del

Non ci si rende conto della ricchezza artistica del territorio italiano finché non lo si vive. Forse perché, senza verificare in prima persona, si perdono quelle connessioni storiche, politiche, religiose che hanno favorito l’état d’esprit per la nascita di certi buoni maestri, di certe correnti, di certe situazioni. E così, visitando Arezzo e l’Alta Valtiberina, si calpesta quell’humus in cui mosse i primi passi – e dove lasciò alcuni dei maggiori capolavori suoi e di tutta l’arte italiana – un maestro di cui tantissimo, in altre parti d’Italia, è andato perduto: mi riferisco a Piero della Francesca.

Nel borgo di Sansepolcro, Piero nacque, orfano di padre, nel 1412. Non in una capitale, in un centro come Siena o Firenze, ma nella piena provincia italiana, allora come oggi, periferica ma non isolata, dacché la periferia artistica in Italia è spesso stata fervida come e più dei grandi centri: lo sapevano bene Enrico Castelnuovo e Carlo Ginzburg, ma lo sapeva prima ancora Roberto Longhi.

Quest’ultimo mette in guardia – nel suo celebre saggio sull’artista biturgense – dal cadere nei facili municipalismi e suggerisce, piuttosto, di considerare le relazioni che l’artista poteva aver intrattenuto con i maestri di fuori. Ad esempio, quelle con il Sassetta – artista che al borgo consegnò un polittico con un solidissimo San Francesco – e con la diafana arte senese, con la prospettiva agrimensoria delle battaglie di Paolo Uccello, con la matematica di Filippo Brunelleschi e, soprattutto, con la concretezza di Domenico Veneziano.

Particolare dalla Cappella Bacci, Basilica di San Francesco in Arezzo, foto di Francesco Niboli

Potremmo immaginarci un museo di Piero della Francesca nella sua terra d’origine, intra Tevere e Arno. Lo stato delle cose ci previene, perché un museo di Piero, a pensarci bene, esiste già sotto forma di museo ideale diffuso, sparso o scorporato che dir si voglia.

Pensiamola così: la prima sala è ad Arezzo, dove nella Basilica di San Francesco, Piero affrescò la cappella Bacci, con le storie della Vera Croce ritrovata da Sant’Elena, madre di Costantino il quale a Ponte Milvio sconfisse l’usurpatore pagano Massenzio, vincendo nel segno di quella stessa croce e destinando Roma al Cristianesimo.

In questa scena, dietro la carica dei cavalli che si affrontano, Piero sfonda la parete, lasciando al paesaggio valtiberino la possibilità di mostrarsi in tutto la sua luce panica. Al centro, quella pausa indicibile di campagna solatìa, speculata con l’occhio trepido e amante del contadino che, appiattato nel solco, vegga la sua pace messa in forse il giorno della battaglia d’Anghiari: riconosce l’albero e la casetta al ponte del Tevere; l’ombra sotto il gelso, il cespuglio specchiato nell’acqua.

Lasciamo Arezzo imboccando la statale Senese Aretina, passiamo il ponte sul Tevere ancora torrentizio, e arriviamo direttamente a Sansepolcro, cioè la seconda sala del nostro ipotetico museo.

Qui, nel museo civico locale, si trova la pala della Madonna della Misericordia, un magnifico polittico commissionato a Piero dalla confraternita dei misericordiosi, nella quale l’artista – ci insegna il Longhi – riuscì a far convivere il bisogno di esprimere la pesantezza dei corpi umani all’etereo fondo oro con tutto il portato teologico e spaziale che esso sottende.

Madonna della Misericordia, Museo civico di Sansepolcro, foto di Francesco Niboli

Non v’è dubbio che per ossequio al sentimento suprematico della divinità, Piero abbia lasciato luogo e dimensioni principali alla Vergine secondo il concetto del Trecento, e che, dopo la libera simmetria del Battesimo, si sia volutamente assoggettato alla simmetria centrale e ritmica, facile ad assumer valore di simbolo. […] Eppure entro la soggezione iconografica e la simmetria centrica si nasconde una commisurazione più profonda il cui significato certamente sfuggiva ai devoti confratelli.

Non solo il polittico ma anche l’affresco della Resurrezione, direttamente eseguito in loco perché l’edificio del museo di Sansepolcro fu sede del potere temporale. Qui, Piero dimostra tutta la sua scienza matematica e prospettica. Un dipinto ottocentesco nello stesso museo, opera del fiorentino Angelo Ticca, ritrae un Piero anziano intento a tramandare il suo sapere al fraticello Luca Pacioli. Giorgio Vasari, poi, nella vita di Piero, accusa Pacioli di aver rubato al suo concittadino le scoperte sulla matematica e sulla geometria.

Madonna del Parto, Monterchi, foto di Francesco Niboli

Tornando sulla strada tra Arezzo e Sansepolcro, laddove il confine tra Umbria e Toscana sfuma nella corrente del ruscello Momentana, si trova Monterchi, borgo che conserva fieramente un capolavoro imperdibile di Piero, la terza sala del nostro museo. Si tratta della stupenda Madonna detta del Parto: una ragazza in gravidanza avanzata, ritta sulle solide gambe dentro a un capanno circolare, svelata all’occhio del popolo adorante da due angeli/garzoni che reggono il sipario.

Così si chiude il nostro museo immaginato, piccolo divertissement con cui abbiamo giocato col concetto di museo. Quanta acqua è passata sotto i ponti da quando, ormai più di cento anni fa, Filippo Marinetti si riprometteva la distruzione di musei, biblioteche e accademie d’ogni specie! E, invece, il museo, creatura multiforme e dai confini labili, pare essere sopravvissuto ai futuristi, richiedendo, però, un costante sforzo alla ricerca di una definizione condivisibile che sembra molto difficile da trovare.

ICOM – organizzazione internazionale che da settant’anni si è prefissata questo compito -, il 24 agosto scorso, a Praga, ha modificato quanto stabilito nel 2007, elaborando questa nuova versione:

Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale.

Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità.

Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze.

Il cielo sopra la Valtiberina, visto da Monterchi, con le nubi che Piero vedeva e dipingeva
Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.

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