Non è la prima volta che il David di Michelangelo viene riprodotto senza consenso, né che il Ministero della Cultura (già Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo) ne lamenta la violazione[1]. Ma questa volta il Tribunale di Firenze si è pronunciato con una articolata sentenza nella quale ha avuto modo di approfondire tali questioni e costituire così un più importante precedente (Tribunale di Firenze, Sezione Seconda Civile, dottor Massimo Donnarumma, del 20 aprile 2023)
All’esito di un giudizio complesso, tra domande cautelari di inibitoria e fase di merito, con costituzione della società convenuta solo nella fase conclusionale, ancora una volta il Tribunale ha accolto le domande del Ministero, che nel caso in esame lamentava la riproduzione non autorizzata dell’opera di Michelangelo sulla nota rivista “GQ Italia” edita da Condé Nast, riconoscendo come la pubblicazione in copertina dell’immagine del David, con un effetto morphing (che consiste nella trasformazione fluida, graduale e senza soluzione di continuità tra due immagini di forma diversa) che lo avvicinava ad un famoso modello italiano, costituisse una violazione degli artt. 107 e 108 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e succ. modifiche (di seguito anche solo “CBC”), disposizioni che demandano all’amministrazione custode del bene culturale il potere di autorizzare/concedere la riproduzione dell’immagine del bene e di determinare i rispettivi canoni di concessione tenendo conto del carattere delle attività cui si riferisce la richiesta, dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni, del tipo e del tempo di utilizzazione dei beni e dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente (cfr. art. 107 e 108 CBC).
La sentenza è stata l’occasione per il Tribunale di evidenziare come, al pari del diritto all’immagine della persona, previsto all’art. 10 c.c., proprio negli artt. 107 e 108 CBC può configurarsi un diritto all’immagine anche con riferimento ai beni culturali (come, del resto, in passato era stato ritenuto configurabile il diritto all’immagine per le soggetti privi di personalità fisica, come le persone giuridiche e, financo, prive di personalità giuridica, come le associazioni non riconosciute).
Per i giudici fiorentini proprio la tassatività delle eccezionali ipotesi derogatorie previste dall’art. 108 CBC, o meglio, dall’elencazione dettagliata delle attività sottratte all’obbligo di preventiva autorizzazione, “conferma, a contrario, l’esistenza in via generale nell’ordinamento di un diritto all’immagine dei beni culturali, che è garantito attraverso il divieto di riprodurre il bene culturale in assenza di autorizzazione” e fa emergere e comprova “l’esistenza giuridica di un quid diverso dal mero sfruttamento economico della riproduzione del bene culturale, che pone su un piano accessorio l’aspetto patrimoniale, giungendosi financo alla sua esclusione nei casi individuati dall’art. 108” CBC; per l’appunto il diritto all’immagine del bene culturale.
Il diritto all’immagine dei beni culturali discende dalla destinazione funzionale di quest’ultimi ad una fruizione culturalmente qualificata e gratuita da parte dell’intera collettività, secondo modalità orientate allo sviluppo della cultura ed alla promozione della conoscenza, da parte del pubblico, del patrimonio storico e artistico della Nazione; pubblica fruizione che costituisce fine ultimo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e che, secondo i giudici aditi, “va, dunque, interpretata come un “processo di conoscenza, qualificata e compiuta, di un oggetto, di una realtà che diventa parte e patrimonio della cultura singola e collettiva”, mentre non costituisce pubblica fruizione qualsiasi mera occasione di pubblicità per il bene culturale”.
Anche la riproduzione del bene culturale, quale suo uso, può quindi avvenire solo ove sussistano i caratteri della pubblica fruizione, nei termini evidenziati; tanto è vero che, secondo quanto disposto dall’art. 108 CBC, non è sufficiente per la legittima riproduzione del bene culturale il pagamento (ancorché ex post) di un corrispettivo, poiché elemento imprescindibile dell’utilizzo lecito dell’immagine è il consenso reso dall’amministrazione, all’esito di una valutazione discrezionale in ordine alla compatibilità dell’uso prospettato con la destinazione culturale ed il carattere storicoartistico del bene.
La sentenza si pone nel solco di precedenti pronunce che recepiscono ed enfatizzano il diritto all’immagine dei beni culturali (da ultimo anche nell’ordinanza del Tribunale di Venezia del 17 novembre 2022 che ha stigmatizzato la riproduzione non autorizzata dell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci da parte di Ravensburger su un proprio puzzle[2]), in una prospettiva di attenta valorizzazione del nostro patrimonio e della nostra storia collettiva, quali elementi fondanti e rappresentativi della nostra identità.
La sentenza non è definitiva, Condé Nast può ricorrere in appello. Ma la strada sembra tracciata.
[1] Recentemente il Tribunale di Firenze ha condannato un centro di formazione toscano per giovani scultori per aver riprodotto senza autorizzazione il David di Michelangelo nel proprio sito (ord. del 14 aprile 2022) e, più in passato, sia il Tribunale di Firenze, sempre in merito al David (ord. del 26 ottobre 2017), aveva stigmatizzato la riproduzione illecita del bene culturale da parte di una agenzia di viaggi per promuovere i propri servizi.
Cfr. anche, sul punto, https://brand-news.it/blog/insight/i-beni-culturali-nella-pubblicita-un-uso-efficace-ma-per-lo-piu-illecito-lultimo-caso-del-david-di-michelangelo/ e https://www.leggioggi.it/riproduzione-david-di-michelangelo-per-fini-commerciali-occorre-consenso/.
[2] Cfr. https://brand-news.it/blog/insight/no-ravensburger-non-puo-vendere-il-puzzle-con-luomo-vitruviano-senza-permesso-e-senza-pagare-i-diritti/.