La mappa non è il territorio, e per quanto l’arte della cartografia possa essere raffinata, non fornirà che una rappresentazione parziale della realtà.
I manuali hanno lo stesso limite, cercando essi di inquadrare il problema solo da un punto di vista tecnico: difficile essere un buon meccanico semplicemente studiando l’esploso di un motore a scoppio.
L’impronta del restauratore. Racconto ai margini di una professione di Francesco Niboli non è un manuale, e non affronta il restauro in maniera organica o compilativa.
È una mappa, sì, ma una mappa sentimentale che cerca di inquadrare il problema privilegiando punti di vista periferici e collaterali, senza rinunciare, comunque, allo sguardo del tecnico.
È soprattutto un lungo viaggio, cominciato tre anni fa sulle pagine di Collezione da Tiffany quando ancora il sito aveva una veste grafica lontana dall’arancione di Arturo.
Come i viaggi migliori, è libero da vincoli di itinerario. Dalle cave di lapislazzuli dell’Afghanistan, vi conduce alla via Giulia a Roma, passando per Bologna e da lì all’America.
L’impronta del restauratore è un libro che va letto come un romanzo, chiuso tra un prologo e un epilogo. Ogni capitolo, autosufficiente, alimenta un racconto che è maggiore della somma dei singoli.
In altri contesti si parlerebbe di Bildungsroman, cioè di romanzo di formazione. A formarsi, in questo caso, è la consapevolezza che il restauro è una disciplina ibrida, tra la tecnica e l’umanistica.
Questo spiega le frequenti incursioni nella storia dell’arte, e del collezionismo, nelle scienze applicate alla conservazione e nella letteratura. Anche ciò che in uno logica da manuale potrebbe non sembrare coerente con la materia, è invece una tappa del lungo viaggio.
A trentuno capitoli sono abbinate altrettante immagini. Sono illustrazioni dalla mano dell’autore, eseguite usando tecniche disparate, tradizionali e digitali. Sono disegni che richiamano il contenuto del testo, alcuni in maniera chiara, altri più enigmaticamente, clues lanciati al lettore perché provi a decifrarne il significato.
Insomma, L’impronta del restauratore è un invito al viaggio, tenendo la rotta sempre memori dei celebri versi di T.S. Eliot: Not fare well,
But fare forward, voyagers.