Frammenti di Memoria è la sua ultima fatica: la mostra dedicata al suo lavoro dalla Galleria l’Occhio di Venezia e che raccoglie una serie di nuove installazioni luminose che amplificano il concetto di ricordo personale legandolo ad un luogo e un momento preciso tramite le notizie descritte e riportate sui quotidiani sui quali l’artista interviene. Si tratta di Alessandro Cardinale vincitore, lo scorso anno, della V Biennale di Pechino con l’opera Whispering Future inserita, anch’essa, nel catalogo della mostra veneziana curata da Elisabetta Donaggio. E’ lui l’artista [glossary_exclude]emergente[/glossary_exclude] di Luglio selezionato da Collezione da Tiffany per la rubrica mensile “Segnali d’Arte” e questo è quello che ci ha raccontato del suo lavoro.
Nicola Maggi: Lo scorso anno hai vinto la sezione internazionale della quinta [glossary_exclude]edizione[/glossary_exclude] della Biennale di Pechino. Ci racconti come è andata?
Alessandro Cardinale: «Quella dello scorso anno è stata la mia seconda volta in Cina: una bella esperienza, molto formativa e anche molto tosta. La realtà cinese è molto complessa e varia a seconda del luogo in cui ti trovi. Pechino è ancora molto legata alla tradizione e il regime è molto presente. Hanno la censura e un sacco di problematiche diverse rispetto a città più occidentalizzate come Hong Kong o Shanghai. Ho partecipato alla biennale con Whispering future, un lavoro con le ombre a cui sono molto legato perché è una sorta di autoritratto. Tutto nasce, infatti, da un disegno che avevo fatto da bambino e che ho ritagliato, ricreando il momento stesso in cui l’ho disegnato. In altre parole l’ombra che si vede nella proiezione sono in realtà io che disegno ed è un lavoro legato all’evoluzione dell’uomo ma anche molto autobiografico. Ha avuto un gran successo ed è stato premiato perché si staccava dal lavoro dei loro artisti: era una scultura ma anche un’[glossary_exclude]installazione[/glossary_exclude]. Un’opera che rispondeva alla loro volontà di dialogare, diciamo, con l’occidente tramite un lavoro che non fosse troppo legato alla tradizione mentre loro sono molto accademici, tradizionalisti. Dal punto di vista tecnico va detto che sono bravissimi ma hanno un po’ di gap dal punto di vista della comunicazione, del significato. Sono molto legati alla realtà e quindi sono rimasti affascinati dagli artisti occidentali, con uno spirito molto diverso da loro, meno legato alla materia e più al messaggio da comunicare. Da questo punto di vista è stato un confronto molto interessante».
N.M.: In tutti i tuoi lavori porti avanti una riflessione sulla scultura molto particolare. Ce ne vuoi parlare?
A.C.: «L’idea di fondo principale risale ancora ai tempi dell’Accademia e nasce dall’impatto con i materiali della scultura che sono, tradizionalmente, pesanti e difficili da gestire. Da giovane scultore, volevo capire come poter ribaltare questi valori, in particolare quelli legati alla monumentalità, e spostare il punto di vista che, in scultura, è normalmente molto legato alla materia, cercando, così, di dare importanza a cose che normalmente non ce l’hanno. Da queste considerazioni è nata tutta una mia riflessione che poi nel tempo si è evoluta fino ad oggi e che parte da una scultura intesa come equilibrio tra pieni e vuoti. Ed è proprio su questi ultimi che ho iniziato a concentrarmi, dandogli importanza, lavorandoci. Dare peso al vuoto è fin dall’inizio il mio intento che rimane sempre costante pur cambiando forma».
N.M.: Oltre a questo aspetto, nel tuo lavoro c’è anche un forte legame con il tempo e con la memoria…
A.C.: «In effetti sì. Le Graffiature, ad esempio, sono immagini che partono da una base di plexiglass dipinta di nero da un lato e graffiata con un ago. In questa serie di lavori vado a ricreare come delle gigantesche diapositive, delle immagini viste, vissute e poi rielaborate per rivivere quel momento con una tecnica che può richiamare l’istantanea ma che invece è estremamente lunga, legata al tempo e alla memoria di un istante. E legati alla memoria sono anche alcuni tra i miei ultimi lavori, come i Cubi di luce. Si tratta di un progetto itinerante che parte da articoli di giornale raccolti durante i miei viaggi. Ritagliandoli e giustapponendoli all’interno di una scatola luminosa la loro proiezione va a creare un’altra immagine che si sovrappone ai fatti ufficiali raccontati dagli articoli. In questo modo vado a raccontare due storie: quella ufficiale, appunto, e, tramite l’ombra della sagoma ritagliata, quella effimera legata ad una sensazione che risale ad un momento contemporaneo a quello dei fatti narrati sul ritaglio di giornale».
N.M.: Una tecnica che richiede molto tempo…
A.C.: «Sì. Parto da fotografie personali che cerco di ricondurre a pieni e vuoti perché l’immagine non deve avere chiaroscuri ma solo negativi e positivi per essere letta, e questa è la parte più difficile. Una contrapposizione, diciamo, di materia e non-materia. A questo punto devo studiare l’anamorfosi dell’immagine inserita nella scatola luminosa, così da bilanciare la deformazione della luce sul muro sul quale proietto l’immagine, che è sempre ortogonale».
N.M.: Oltre a questi lavori nel tuo [glossary_exclude]portfolio[/glossary_exclude] non mancano delle installazioni ambientali. Penso a lavori come Fusione.
A.C.: «Fusione è un lavoro fatto a quattro mani con Cristina Gori, la mia compagna, il cui percorso di ricerca artistica verte principalmente sul dualismo natura e artificio. Abbiamo preso una sua immagine e l’abbiamo duplicata in [glossary_exclude]negativo[/glossary_exclude] e in modo speculare, realizzandone una stampa molto grande, 3.5 metri per 1 metro, mettendo al centro uno specchio: guardandolo le due immagini e quelle degli spettatori si uniscono, dando vita ad un lavoro che interagisce con il pubblico e con l’ambiente circostante».
N.M.: Il 2013 cosa ti riserva, invece? A cosa stai lavorando?
A.C.: «In questi mesi ho lavorato alla mostra Frammenti di Memoria della Galleria l’Occhio di Venezia, inaugurata il 22 giugno scorso. E’ una personale abbastanza importante per me, in cui presento una serie di lavori nuovi sempre realizzati con le ombre. Opere che, come ti dicevo, richiedono un lavoro molto lungo e in cui racconto alcuni dei miei viaggi. Nei prossimi mesi, inoltre, sarò presente in varie collettive e in più sto pensando ad una serie di nuovi lavori che però sono ancora in fase embrionale».
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