Ecco una mostra che vale la pena visitare: Pollock e la Scuola di New York, in corso al Vittoriano di Roma fino al 24 febbraio 2019. A meno che non l’abbiate già vista qualche anno fa, giacché — anche se nessuno lo sottolinea — si tratta in effetti di una vera e propria replica (pressoché identica) dell’esposizione Pollock e gli irascibili. La Scuola di New York, che ebbe luogo dal 24 settembre 2013 al 16 febbraio 2014 a Palazzo Reale di Milano. Comunque…
Una cinquantina le opere, provenienti dal Whitney Museum di New York, in un bell’allestimento preceduto da una piacevole ed esauriente introduzione video di Luca Beatrice (co-curatore della mostra assieme a David Breslin e Carrie Springer — nel 2013 per la parte internazionale il referente era stato Carter Foster) e da materiale documentario: si parte dalla “lettera aperta” del 20 maggio del 1950, indirizzata al Presidente del Metropolitan Museum of Art Roland L. Redmond, che annunciava il rifiuto, da parte di un gruppo di artisti che sarebbero stati poi identificati come Scuola di New York, di presentare opere per la grande esposizione sulle ultime tendenze dell’arte americana, vista la commissione formata da Francis Henry Taylor e Robert Beverly Hale, «notoriamente ostili» all’arte di avanguardia.
E di “Scuola”, in effetti, si poteva propriamente parlare a proposito di quel gruppo d’artisti — che includeva, tra gli altri, Pollock, Rothko, de Kooning, Barnett Newman, Clyfford Still e Robert Motherwell — vista la frequentazione assidua tra di loro, e il continuo confronto e scambio di idee ed esperienze.
Sono sei le opere di Jackson Pollock presenti in questa esposizione, tra cui due disegni degli anni 1933-1939 — che mostrano il tentativo di affrancarsi in chiave personale dalle influenze della coeva arte d’avanguardia europea — e il grande, bellissimo Number 27, 1950, che, come viene sottolineato, «eccezionalmente — data la delicatezza e la fragilità di questo olio, oltre alle sue dimensioni straordinarie — è stato dato in prestito dal Whitney Museum» (ma in realtà era presente anche a Palazzo Reale). Insieme ai Pollock, un Untitled del 1947 della moglie Lee Krasner, che testimonia i parallelismi nella ricerca dei due artisti, anche se la Krasner rimase, come si sa, all’ombra del marito, anche a causa di una cronica insoddisfazione nei confronti delle proprie creazioni, che la portò in diversi momenti della sua vita a distruggere interi cicli di opere.
Il dripping fu una scoperta e una tecnica rivoluzionaria anche al di là dei risultati espressivi. Nasce infatti così una poetica del gesto, istintivo e materico, che risponde a un automatismo inconscio: si tratta indubbiamente di uno sviluppo del Surrealismo, ma portato alle estreme conseguenze creative, che diede luogo a quell’espressionismo astratto — altra etichetta data a questa corrente di pittura — ove è proprio il gesto assolutamente personale, e filtrato il meno possibile da una costruzione razionale, a conferire riconoscibilità immediata allo stile delle diverse personalità artistiche del gruppo.
In realtà questa action painting viene intesa e declinata in maniere molto diverse dai vari artisti: in Franz Kline, ad esempio, l’apparente spontaneità delle grandi pennellate scaricate sulla tela era preparata da veri e propri bozzetti su carta. E all’interno della Scuola di New York (e dell’etichetta “espressionismo astratto”) vi sono ovviamente chiare differenze di orientamento: in Rothko, più che di spontaneità si potrebbe parlare di abbandono della razionalità in chiave meditativa, ed in effetti le velature dei suoi quadri paiono a volte riprodurre i colori impalpabili che baluginano quando si è immersi in uno stato di meditazione profonda; in Ad Reinhardt, invece, l’astrazione geometrica e la peculiare ricerca sul colore sono finalizzate proprio a un’oggettività dell’opera che si distacchi dalla soggettività del gesto dell’artista.
Ma, come dice Luca Beatrice nel video introduttivo, la Scuola di New York creò, per la prima volta, un’arte originalmente americana, sottratta alle influenze europee — Picasso in primis e il Surrealismo — da cui tutti i suoi membri erano inizialmente partiti (al di là delle origini biografiche vere e proprie di molti di loro: la nascita e l’infanzia in Lettonia di Rothko, in Olanda di de Kooning; le ascendenze europee di Lee Krasner, Barnett Newman, William Baziotes). Parlando di “arte originalmente americana”, personalmente non sottovaluterei la precedente esperienza di Edward Hopper, ma giustamente, come ha sottolineato Leo Steinberg, «negli anni Cinquanta sulla Decima Strada di New York il problema era come essere pittori senza smettere di essere americani»: è la coscienza di aver creato un movimento, uno stile di pittura completamente nuovo, che contraddistingue gli artisti della Scuola di New York. È l’inizio di una storica inversione di tendenza, con artisti americani che d’ora in poi influenzeranno la “vecchia Europa”, portando gli Stati Uniti in prima fila nell’avanguardia artistica della seconda metà del Novecento (e dagli States si irradieranno poi anche la Pop Art e il Minimalismo).
Tornando alla mostra del Vittoriano, altri capolavori in esposizione sono The Betrothal II (1947) di Arshile Gorky — riconosciuto dagli artisti della Scuola di New York come precursore del movimento (morì suicida nel 1948) —, Untitled (Blue, Yellow, Green on Red) (1954) di Rothko, Mahoning (1956) e Dahlia (1959) di Franz Kline, Abstraction (1959) di Sam Francis. Interessanti, tra le opere esposte di Willem de Kooning, artista che confesso di non apprezzare molto, i due lavori su carta (Landscape, Abstract, ca. 1949 e Black and White, 1959) che, avvicinandosi nell’un caso a Pollock e nell’altro a Kline, dimostrano il fecondo scambio cui si accennava all’inizio di questo articolo.
Fra gli altri artisti in mostra, segnalo la presenza di Philip Guston e Helen Frankenthaler, in questi anni al centro di una riscoperta critica e oggetto di ragguardevoli aggiudicazioni d’asta.
In contemporanea con questa mostra, l’altra esposizione al Vittoriano è una grande retrospettiva di Andy Warhol con più di 170 opere esposte: curioso che anche nel 2013 a Palazzo Reale avesse avuto luogo la stessa accoppiata.