Settembre e iniziato e con lui il risveglio del mercato dell’arte. Iniziamo, allora, con un breve ripasso delle regole del gioco dedicato a tutti gli amanti della fotografia d’arte. In ogni genere di mercato, infatti, esistono una serie di regolamentazioni che stabiliscono le leggi della domanda e dell’offerta. E anche il mercato fotografico non è esente da questa logica. Chiunque voglia avventurarsi in questo settore, ne deve comprendere alcune fondamentali caratteristiche: si tratta di concetti che ci permettono di capire l’imposizione di un prezzo piuttosto che di un altro, perché se un tempo il costo di una fotografia era determinato dal quantitativo di argento che la stampa conteneva, oggi non è più così.
L’originale in fotografia
Innanzi tutto, come saggiamente notò Susan Sontag, non si può pensare di applicare gli stessi criteri valutativi, tra un dipinto e una foto. L’aspetto saliente della fotografia non è certo la propria autenticità, in quanto con “autentico” si suole definire: «Ciò che ha un rapporto diretto con il suo autore, preferibilmente non mediato da alcuna strumentazione tecnologica che ne alteri le proprietà manuali e fisiche». In arte si parla di autentico per indicare l’originale, e questo concetto stona parecchio con la fotografia che, di fatto, è copia e riproduzione (Esiste un’unica eccezione, ed è quella delle Polaroid). Nel momento in cui ci si approccia a questo mondo non si può, prima di ogni cosa, pensare di paragonare foto e dipinti, perché seppur entrambi si trovino nello stesso grande insieme che prende il nome di arte, non sono proprio per loro natura materiali accomunabili.
La tiratura e il mercato
Secondo il collezionista Alessandro Malerba «La tiratura è sicuramente uno strumento di mercato, perché l’immagine se riproducibile non ha di fatto limiti. Sicuramente però è utile per governare il mercato della fotografie ed evitare che si creino fenomeni di manipolazione dei prezzi. È un modo per dare un po’ di unicità ad un’opera che di fatto può essere universale, anche se ormai tutto è universale, perché tutto può essere riprodotto, anche un quadro: a parte la bellezza di averlo appeso e poterlo toccare con il dito, poi viene riprodotto in mille modi. Un modo per renderla unica. Si tratta di un meccanismo posto più a tutela di chi compra, perché se un’opera è illimitatamente riproducibile dovrebbe essere illimitatamente fruibile, per cui gratuita. Questo è una strategia in più per giustificare un mercato».
Ora, finché non è esistito un vero e proprio mercato regolarizzato, una fotografia poteva essere riprodotta all’infinito: poteva capitare che fotografi scrupolosi numerassero i loro scatti, ma era qualcosa che potevano fare a loro discrezione, senza che alla base ci fosse una motivazione di natura economica. Oggi è proprio l’opposto: per non rendere saturo il mercato di una stessa immagine, svalutandone così il valore, l’edizione limitata è una prassi a cui tutti gli operatori in questo campo devono sottostare; essendo riproducibile, l’opera può anche essere stampata in vari formati purché una volta definito il numero di tirature effettuabili, quelle siano. La tiratura diventa fattore fondamentale anche per promuovere una diversificata produzione dell’artista, impedendo così di creare l’illusione della notorietà con un singolo scatto. In questo discorso rientrano anche le prove d’artista; sono stampe generalmente realizzate senza avere come scopo la vendita, ma oggi nel mercato non esiste alcuna differenza ed esse possono essere vendute senza problemi; è rigoroso però che vengano numerate (in numeri romani e non in quelli arabi) e dichiarate nel momento in cui si stili l’elenco delle tirature. (Vedi anche: Collezionare fotografia: Tiratura & Dimensioni)
È anche vero che non per forza esiste una coincidenza con il numero delle copie dichiarate e quelle realmente stampate; nonostante una foto possa aver tiratura 7, possono essercene in commercio solo 4, perché la fotografia verrà stampata solo ed esclusivamente nel momento in cui sarà venduta, con due vantaggi: da un lato che non ci siano invenduti, dall’altro che anche a distanza di tempo chiunque potrebbe avere ancora accesso all’opera per primo, sempre che non siano già state vendute tutte. In alcuni particolari casi, alla morte dell’artista, si decide di non stampare più: esempi sono Cartier-Bresson e Avedon; alla loro morte, anche per tutelarne il valore economico, non è stata più concessa la possibilità di stampa, (anche se in alcuni casi non si era completata la tiratura definita) concentrando così la domanda sulle opere già in circolazione e facendone accrescere la stima. Altrettanto importante è che dal punto di vista economico tra le varie copie non c’è alcuna differenza, tutte avranno egual valore, anche se il prezzo potrebbe aumentare nel momento in cui ci si avvicini alla stampa dell’ultima copia: si tratta della banale legge della domanda e dell’offerta, per cui cala l’offerta rispetto la domanda e ne consegue un aumento.
Citando ancora Malerba, la tiratura è di fatto una strumento che è stato necessario e che rappresenta una risorsa per orientarsi nel mercato della fotografia; un’arma però a doppio taglio perché, a differenza di quanto si possa pensare, oggi, in alcuni casi, esistono più copie di una stessa fotografia rispetto a cinquantanni fa: è il problema dei formati che molto spesso non vengono denunciati e “a furia” di fare tirature in tutti le dimensioni possibili ed inimmaginabili il mercato si riempie: sono escamotage usati da alcuni fotografi (spesso su suggerimento di galleristi poco professionali) poco corretti per aver un maggior guadagno.
Il Vintage
Abbiamo detto che il concetto di originale non s’addice molto alla fotografia perché riproducibile, e sicuramente non unica; c’è qualcosa però di unico nella fotografia (almeno fino all’avvento del digitale) ed è lo scatto. Nel momento in cui si stampa viene riprodotto quel singolo diaframma impresso nella pellicola. Il vintage non è altro che un ulteriore escamotage per rendere più appetibile la fotografia sul mercato. Con questa parola s’intende quella stampa eseguita a distanza temporale ravvicinata allo scatto. Dunque una sorta di stampa unica/eccezionale (generalmente eseguita nell’arco di cinque anni) perché vicina al periodo in cui l’artista ha deciso di immortalare quel preciso momento e quindi anche maggiormente attinente al reale pensiero del fotografo in materia di esecuzione e di risultato. Per queste ragioni, il vintage risulta sensibilmente più costoso e ricercato dai collezionisti. E’ sempre più interpretato in termini di investimento in quanto coniuga due garanzie, rarità e valore storico. Una stampa che assume ancor più pregio se si considera che oggi con il digitale, una foto può meccanicamente essere una uguale all’altra, e persino migliorata e modificata in più varianti possibili. (Vedi anche: Collezionare fotografia: il Vintage)
Una volta fatto tesoro di questi concetti ci si può davvero immergere in questo mondo e iniziare a mettere la prima pietra sulla strada del collezionismo e se volete saperne di più, non dimenticate di scaricare l’ebook di Collezione da Tiffany: Collezionare Fotografia.