Per Time Magazine, nel 2012 è stata una delle persone più influenti a livello mondiale. Nelle classifiche di Forbes il suo nome compare all’8° posto tra i 400 esseri umani più ricchi del mondo e al 43° posto tra le donne più potenti del pianeta terra; mentre, con i suoi 26.3 miliardi di dollari di capitale, occupa la seconda piazza tra le donne più ricche degli States. Adesso, come se non bastasse, è entrata da protagonista anche nella TOP10 del collezionismo internazionale. E’ Alice Walton, figlia di Sam e Helen Walton ossia dei fondatori della catena statunitense Wall-Mart.
64 anni il prossimo 7 ottobre, Alice Walton è la nuova stella del firmamento del collezionismo internazionale. Ad incoronarla: ArtNews che, per la prima volta, la inserisce nella TOP10 della sua speciale classifica dedicata ai 200 collezionisti più importanti del mondo, collocandola al fianco di nomi illustri del collezionismo come Hélène e Bernard Arnault, Debra e Leon Black, François Pinault o Edythe L. e Eli Broad.
Un dottorato in arte e uno di Economia e Finanza ottenuti alla Trinity University di San Antonio, in Texas, Alice Walton ha fondato nel 1988 la banca d’investimento Llama Company di cui è stata Presidente e CEO. Per qualche tempo, inoltre, ha lavorato come broker per la E. F. Hutton & Company, società che si occupava di investimenti bancari e assicurazioni, ed è stata la prima donna a presiedere il Northwest Arkansas Council del quale ha rappresentato una vera e propria forza motrice, in particolare per la realizzazione del progetto di sviluppo dell’aeroporto regionale, del quale ha coperto, a proprie spese, gli investimenti iniziali. Un impegno che oggi è ricordato da Terminal Building, che porta il suo nome, e che gli è valso, nel 2001, l’inserimento nella Arkansas Aviation Hall of Fame. Nel 1990 Ms Walton ha chiuso la Llama Company e si è ritirata in Texas, nel Rocking W Ranch: una tenuta di 3200 acri nei pressi di Millsap.
Appassionata di arte americana e arte contemporanea, la carriera collezionistica di Alice Walton inizia prestissimo. Ha solo dieci anni, infatti, quando acquista la sua prima “opera d’arte”: una riproduzione del Nudo Blu di Picasso acquistata in uno dei Ben Frankiln Dime Store paterni. Battute a parte, Ms Walton ha iniziato ad acquistare arte negli anni Settanta, principalmente acquerelli di artisti americani, ma dalla fine degli anni Novanta è diventata una collezionista molto seria. E’ lei, ad esempio, il misterioso bidder che, telefonicamente, ha acquistato per 20 milioni di dollari molte delle opere della Collezione Fraad messe all’asta da Sotheby’s nel dicembre del 2004: Spring, uno splendido acquerello di una scena rurale, di Winslow Homer; A French Music Hall di Everett Shinn, artista appartenente alla Ashcan School; e The Studio di George Bellows, che raffigura l’artista al lavoro con i suoi bambini che giocano ai suoi piedi. L’anno successivo ha speso, invece, 35 milioni per acquistare, in un’asta privata, un dipinto di Asher Brown Durand, Kinderd Spirit, ma nella stessa seduta ha comprato anche opere di Edward Hopper, Charles Willson Peale. Il tutto in vista dell’inaugurazione del Crystal Bridges Museum of American Art il museo che Ms Walton ha voluto per la sua città natale, Bentonville, e realizzato attraverso la Walton Family Foundation di cui è a capo.
Disegnato dall’architetto israelo-canadese Moshe Safdie, celebre per l’opera Habitat 67, il Museo è composto da una serie di padiglioni connessi tra di loro e che si affacciano su un lago artificiale immerso tra i boschi. Padiglioni che Alice Walton ha riempito con una fenomenale collezione d’arte americana che va dall’epoca coloniale al XXI secolo. Una raccolta che la Walton ha messo insieme, grazie all’aiuto dei suoi art advisor, rapidamente e in modo talvolta fin troppo aggressivo. Grandi acquisti pubblici che allo stesso tempo hanno attratto, su di lei, le attenzioni e le critiche della comunità artistica americana che, però, non disdegna di averla come membro di alcune delle sue più alte istituzioni culturali: la Walton è, infatti, membro del CdA dell’Amon Carter Museum e della National Gallery of Art di Washington DC. Oltre a presiedere quello del suo museo che è stato inaugurato nel 2011.
Critiche a parte, alla Walton va comunque riconosciuto che il suo collezionismo arrembante ha avuto, nel tempo, l’obiettivo di mettere assieme una delle più importanti collezioni pubbliche d’arte americana con il solo desiderio di far sviluppare l’economia e il turismo della propria città e di diffondere la cultura dell’arte tra i giovani. Un obiettivo che ha perseguito acquistando opere di alcuni dei giganti dell’arte americana: Benjamin West, Georgia O’Keefe, Mark di Suvero o Joan Mitchell. Lavori che valgono, in molti casi, decine di milioni di dollari. Denaro che va ad aggiungersi a quello versato per la gestione e il mantenimento del museo, dell’ambiente naturale che lo circonda e per pagare i tanti abitanti della zona che, grazie alla nascita del Crystal Bridge Museum, hanno oggi un lavoro stabile: nel museo o nel suo indotto, sempre più sviluppato grazie al crescente turismo che è nato attorno all’istituzione voluta dalla Walton e in cui ha investito ben 800 milioni di dollari per la sua sola costruzione. Qualcun altro avrebbe preferito, probabilmente, investire queste cifre nella creazione di un altro supermercato o nell’acquisto di qualche bene di lusso solo per il proprio egoistico e privato godimento. Diamo allora il benvenuto ad Alice Walton nella Hall of Fame del collezionismo internazionale. Un collezionismo “muscoloso”, forse, ma anche con molto cervello e cuore.