Ci sono tornato. Avevo già visto, nel luglio scorso, la mostra di Anselm Kiefer, magnificamente allestita nella Sala dello Scrutinio del Palazzo Ducale di Venezia e curata da Gabriella Belli e Janne Sirén. Ci sono tornato perché della mostra mi rimaneva negli occhi e mi circuitava nel cervello tanta luce, tanto splendente riflettere di metalli e abbacinare di oro, quasi fossi entrato all’interno della basilica di San Marco!
La spinta interiore a tornare in quella “basilica tedesca” era data dal rapporto ossimorico tra questa sensazione di luce ed il titolo dell’opera. L’esposizione è stata epigrafata da Kiefer e con una citazione del filosofo italiano Andrea Emo, scomparso nel 1983: “questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce“. Continuava ad apparirmi strano che tra i turbinii e le folgori metalliche delle sue opere, si indirizzasse il fruitore al pensiero di un’arte come nero regno di Morte e che solo distruggendola si farà brillare una rigenerata forza creativa che potrà indicare la Verità, o quantomeno svelare la natura illusoria del reale e del tutto.
Il secondo motivo che mi ha ricondotto a Palazzo Ducale era dato dalla definizione che forse Kiefer stesso o forse le curatrici hanno attribuito all’opera: “Ciclo di Venezia“.
Il termine “ciclo” sicuramente è stato presente nella mente dell’artista in ogni fase della realizzazione della monumentale opera. Kiefer ritiene infatti che la vita, e segnatamente l’arte, origina dalle rovine della storia la prima e dell’esistenza la seconda. L’artista nell’atto creativo in un certo senso si distrugge, mettendosi allo scoperto e così conferendo all’opera la verità e quella bellezza da cui si distacca.
In tale prima accezione di “ciclo”, l’opera è senz’altro riuscita. Immergendosi nelle monumentali opere, la percezione di disfacimento e di “vuoto rigeneratore” collassa addosso a chi guarda o meglio a chi si immerge nello spazio circoscritto dalla pittura Kieferiana; una pittura che ferma in ogni parte della propria superficie il momento del ciclico passaggio tra essere, non essere ed essere.
Se invece si fosse voluto dare al termine “ciclo” il significato di successione regolare, completa, di momenti ripetitivi e in sè compiuti, parrebbe che tale obiettivo non sia stato raggiunto. Le otto grandi opere della Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale risultano disomogenee e narrativamente scomposte. Anche le modalità esecutive sono visibilmente disarmoniche. Kiefer imprime su alcune tele il suo miglior gesto creativo conferendo ad esse il senso del proprio universo esistenziale, come nella vigna con la tomba di San Marco, dove coniuga il tema filosofico della rinascita dopo il disfacimento con una qualità pittorica al contempo materiale e lirica. Qui l’osservatore si perde nella, pur assente, profondità dei filari, proseguendo in verticale lungo i tralci delle viti che uniscono l’humus disfatto del terreno con un cielo egualmente grigio e misterioso; al centro una tomba vuota che ha accolto un corpo, ora restituito ad una dimensione di diffusa scomparsa e, quindi, al Tutto.
Altro momento di esaltante esperienza è vissuto dallo spettatore innanzi alla grande pittura posta davanti alla parete di fondo della sala; per collocazione e per qualità pittorica, essa può essere definita un’opera absidale. La si potrebbe definire una traduzione kieferiana della pittura di Turner in cui si agita vorticosamente un potente Spirito che non trova dimensione immanente né trascendente.
Molto meno esaltanti le opere, come quella dove appare il vessillo di San Marco o l’effigie del Palazzo Ducale, che dimostrano come l’afflato narrativo non sia nelle corde di Kiefer. Qui la pittura perde profondità e l’unità si seziona senza poter raggiungere quel momento di magico disfacimento e di rinascita che connota l’opera del grande maestro tedesco.
Il Ciclo di Venezia non può, a mio parere, considerarsi compiuto e riuscito in tale accezione ovvero in quella di una regolare successione temporale e spaziale dei fenomeni (opere) che tendono a ripetersi in modo eguale ed armonico. In tal senso l’unico ciclo compiuto, in epoca cosiddetta contemporanea, è quello di Cy Twombly, ora presso il Museo Brandhorst di Monaco. Strano caso, anche il ciclo sulla battaglia di Lepanto di Twombly concerneva vicende veneziane e lo stesso fu esposto per la prima volta, nel 2001, a Venezia. Contrariamente a quelle di Kiefer, le opere di Twombly configurano un insieme esteticamente omogeneo, con ogni singolo elemento coordinato e di per sé compiuto.