Lucio Fontana è sicuramente uno degli artisti più celebri del nostro tempo, immancabile in ogni asta o fiera di arte contemporanea.
Ma se le immagini dei suoi tagli sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo, anche di quello più pop, la stessa cosa non si può dire di un’altra parte della sua ricerca: gli Ambienti.
Si tratta di opere realizzate a partire dal ‘49 e in cui l’artista ha sperimentato il massimo grado di fusione tra pittura, scultura e architettura, alla ricerca di un loro superamento, creando spazi attraversabili.
Di natura effimera, queste opere sono state distrutte dopo essere state esposte, tranne nel caso di un ambiente del ‘67, oggi di proprietà del Musée d’art contemporain de Lyon.
La difficoltà di poter esporre (e quindi conoscere) questa tipologia di opere, è dunque da intendersi non solo in termini “fisici,” visto il carattere ambientale, ma anche storico artistici.
Poter infatti riproporre al pubblico opere tanto complesse, si pone come una sfida per gli studiosi, che devono basarsi sulla documentazione rimasta per poter presentare opere il più fedeli possibile.
La mostra del 2017 di Pirelli HangarBicocca è quindi stata, in questo senso, preziosa. In “Ambienti/Environments” sono stati infatti riuniti, per la prima volta, due interventi ambientali e nove Ambienti spaziali.
Gli archivi della Fondazione Lucio Fontana sono stati una delle principali fonti di ricerca, insieme a documenti e fotografie storiche provenienti da numerosi fondi e archivi privati.
Le informazioni che si possono trovare in archivio, infatti, sono tra le più disparate: piante del museo o della galleria originali, progetti o disegni architettonici, fotografie da diverse angolazioni che permettono di capire i reali rapporti spaziali tra i diversi elementi; possono poi essere conservate le fatture dei fornitori, informazioni sulla composizione chimica dei materiali, esemplari di alcune componenti… è poi grazie all’incrocio di queste fonti, unito alla conoscenza e interpretazione storico artistica e dei conservatori, che si possono ripresentare anche opere, come in questo caso, perdute.
Ambiente spaziale a luce nera (1948–49) è stato il primo ambiente di Fontana: non si parla di sculture, ma di luce nera, la luce di Wood, di un’entità “impalpabile”.
L’opera fu presentata nel ‘49 alla Galleria del Naviglio di Milano, ed era possibile accedervi solo tramite una tenda nera: si arrivava così in una stanza buia, illuminata, insieme alle figure sospese nell’aria, solo dalle lampade di Wood.
La volontà era creare meraviglia, stupore, come evidente nelle parole di Fontana stesso, riportate anche nella guida della mostra: “né pittura, né scultura, forma luminosa nello spazio – libertà emotiva allo spettatore.”[1]
Prendendo le dimensioni originali della ormai ex galleria, con il suo soffitto a volta, e le forme di cartapesta di una precedente ricostruzione postuma del ‘76, è stato così possibile permettere al pubblico di rifare esperienza di quest’opera.
Una delle opere più imponenti presentate in mostra è stata poi Fonti di energia, soffitto al neon per ‘Italia 61’ (1961), realizzata per l’Esposizione Internazionale del Lavoro di Torino.
Fu realizzata con tubi al neon, disposti su diversi livelli in una sala ottagonale le cui pareti erano rivestite di pellicola di alluminio specchiante, in modo da dilatare lo spazio, ampliarne la percezione.
Nella ricostruzione a Milano sono infatti state mantenute le dimensioni di questa stanza, grazie alle planimetrie conservate, e si è studiata soprattutto la ricostruzione del ‘72 realizzata per la mostra “Lucio Fontana” presso Palazzo Reale a Milano.
A dimostrazione della preziosità degli archivi, di qualunque materiale da essi conservato, la mostra “Ambienti/Environments” ha permesso di studiare, conservare e quindi valorizzare e fare conoscere al grande pubblico anche una parte della ricerca meno popolare di un artista, sebbene tanto affermato sia in ambito accademico che di mercato, come Lucio Fontana.
[1] https://pirellihangarbicocca.org/mostra/lucio-fontana-ambienti/