Nella frenesia del quotidiano, l’acquisto online è diventato una consuetudine ormai diffusissima che si sta diffondendo in tutti i campi: dalla spesa settimanale all’elettronica, dai cd ai libri passando per i trattamenti estetici. Acquisti che facciamo con una certa leggerezza, spesso non conoscendo i rischi o i diritti che ci spettano anche nel regno del virtuale. Rischi e diritti che si fanno ancora più importanti quando il bene che stiamo per comprare ha un valore notevole o richiede delle cautele non trascurabili. E’ questo il caso dell’arte.
Oggi il canale online rappresenta solo 8% del mercato dell’arte internazionale ma è destinato, nel prossimo futuro, ad avere un peso sempre maggiore per la sua capacità di abbattere le distanze e i tempi, oltre a ridurre alcune difficoltà di “approccio” che può avere l’acquirente saltuario non troppo avvezzo a trattare con galleristi e mercanti. Ma come viene tutelato il Cybercollezionista dal nostro ordinamento? Lo abbiamo chiesto a Francesco Fabris, avvocato e collezionista, membro dalla Commissione per il Diritto dell’Arte di BusinessJus, network di avvocati partner di Collezione da Tiffany.
Nicola Maggi: Il Codice del Consumo e il Decreto Bersani, tra la fine degli anni 90 e i primi anni duemila, hanno tentato di regolamentare le compravendite online. Che tutele offrono al consumatore?
Francesco Fabris: «Gli ultimi decenni hanno visto una letterale esplosione del cosiddetto commercio elettronico, seguita alla crescente diffusione del collegamento internet. Questi scambi riguardano in maniera consistente anche il mondo dell’arte, che ha visto il proliferare di portali dedicati e di siti di artisti, gallerie, case d’asta e rivenditori ed hanno la comune caratteristica di concludersi in un “non luogo”, ossia in uno spazio virtuale che ha interessato il mondo del diritto attento a procurare una rete di tutele al “cyberconsumatore”, anche collezionista d’arte. Queste, oggi, sono fondamentalmente rappresentate dal D.Lgs.206/95 noto come “Codice del Consumo”, dal D.Lgs.70/03 in tema di disciplina del commercio elettronico e dall’originale D.Lgs.114/98 che ha disciplinato la vendita per corrispondenza, televisione o altri sistemi di comunicazione. I tratti comuni a queste discipline sono rappresentati dai contratti che si concludono, appunto, a distanza, con sistemi predisposti dal professionista e che non prevedono la presenza simultanea delle parti. I provvedimenti menzionati, tra le tante misure a tutela del consumatore che ricorre a tali generi di contratto, hanno previsto un dettagliato onere di informazione in capo ai professionisti, il diritto di recesso e la nullità di ogni patto contrario, hanno previsto sanzioni a carico dei venditori che non osservano le disposizioni e disciplinato anche dal punto di vista amministrativo le imprese che fanno commercio online o tramite il mezzo televisivo. Tutte le disposizioni, però, sono rivolte solo ai consumatori e solo a coloro i quali interagiscono con venditori professionisti, categorie queste dettagliatamente individuate dall’art.3 del Codice del Consumo».
N. M.: Fin qui si parla di beni di consumo generici. E l’arte? È possibile far rientrare questa tipologia di bene tra quelle contemplate dalle nostre leggi che tutelano il cyberconsumatore?
F.F.: «La domanda coglie effettivamente nel segno, dal momento che, per lungo tempo, gli interpreti si sono scontrati in ordine alla possibilità di ritenere le disposizioni del Codice del Consumo applicabili anche agli oggetti d’arte e di antiquariato. Oggi le opinioni dei tecnici sono convergenti, nel senso di ammettere tale estensione anche se, tanto nell’immaginario collettivo quanto probabilmente negli intendimenti originari del Codice, l’oggetto d’arte esulava dal concetto stretto di “bene di consumo”. La “giustificazione” tecnica di tale estensione è da ravvisarsi nell’art.14 del Codice stesso, che prevede una serie di obblighi per i commercianti in ordine alla comunicazione del prezzo di vendita unitario e per unità di misura. La norma prevede espressamente che tali disposizioni (appunto relative al prezzo per unità di misura) non si applichino agli oggetti d’arte e d’antiquariato. Va da sé che l’esclusione espressa di questi beni limitatamente a tale onere particolare, lascerebbe intendere una generica applicazione dell’intero impianto normativo di tutela per il consumatore anche di questo genere di beni».
N.M.: Sempre riguardo alla compravendita di oggetti d’arte online, leggendo la definizione che le norme sul commercio danno di consumatore mi sembra di capire che le tutele di cui abbiamo parlato non riguarderebbero gli operatori di settore. Penso ai galleristi ma anche alle tante Fondazioni che operano nel mondo dell’arte…
F.F.: «Come ti dicevo, l’art.3 del Codice fornisce una precisa definizione di consumatore, individuandolo nella “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”. Nel tempo, la giurisprudenza ha esteso la portata della definizione, tanto da ricomprendervi anche persone giuridiche, enti ed imprese dedite ad attività imprenditoriale a condizione che il bene od il servizio oggetto di contratto non rientri in quelli tipici dell’attività svolta. Il senso, facilmente comprensibile, è quello di estendere la tutela genericamente intesa a beneficio di tutti i contraenti, anche non persone fisiche, che si trovano in posizione di “svantaggio” nel trattare con venditori e fornitori in genere assolutamente più preparati ed in posizione “dominante” rispetto al bene ceduto perché più esperti. Sulla scorta di ciò, anche se non mi risulta vi siano particolari elaborazioni giurisprudenziali sul punto, temo che la tutela di enti ed istituzioni con “vocazione artistica” (penso appunto a musei e Fondazioni) non possa essere di livello pari a quella concessa al consumatore, appunto in ragione della qualificata esperienza e capacità in materia che tali soggetti posseggono per il tramite di esperti, curatori e supervisori. La tutela delle gallerie, invece, è radicalmente da escludersi proprio perché rappresentano attività commerciali che fanno dell’oggetto d’arte la propria “mission” anche imprenditoriale e perché, all’evidenza, acquisterebbero i beni per scopi coincidenti con il proprio oggetto sociale, in spregio alla definizione di consumatore che abbiamo appena analizzato».
N.M.: Uno dei “difetti” maggiori dell’acquisto online di arte è che il collezionista non può vedere l’opera “dal vivo” e valutarne le condizioni, analizzandola in ogni sua parte. Nel caso in cui, al momento della consegna, si accorga che l’acquisto non lo soddisfa può avvalersi del diritto di recesso?
F.F: «E’ evidente che negli acquisti online e, genericamente, in tutti gli acquisti “a distanza” (si pensi alle televendite) il consumatore/collezionista non ha la concreta possibilità di vedere il bene dal vivo. Ciò è particolarmente rilevante dal momento che, al di là dell’aspetto prettamente estetico (penso ai colori o alla texture di un dipinto, alla consistenza dei materiali ed alle condizioni in genere) non è possibile verificare il “retro” dell’opera (assolutamente rilevante per documentarne la provenienza) ed il certificato di autenticità che, ai sensi dell’art.42 del Codice dei Beni Culturali, rappresenta, più che un accessorio, un indefettibile elemento dell’opera. E’ così che, proprio per venire incontro alle esigenze del consumatore (anche nel caso di un semplice ripensamento) il Codice del Consumo gli attribuisce il diritto di recesso. Questo attribuisce al consumatore che acquista “a distanza” da un professionista la facoltà di recedere dal contratto – senza penalità e senza precisarne il motivo – entro 10 giorni lavorativi dal ricevimento del bene o dalla conclusione dell’accordo. La facoltà si esercita mediante comunicazione scritta da effettuarsi con raccomandata con avviso di ricevimento, nel caso anticipata entro lo stesso termine da fax, telegramma o posta elettronica, ma confermato entro le 48 ore successive con raccomandata. L’esercizio della facoltà può peraltro essere compiuto per fatti concludenti, semplicemente restituendo il bene. E’ importante ricordare che il termine viene elevato a 60 giorni in tutti i casi in cui il professionista non renda le comunicazioni (sul diritto di recesso ma non solo) previste dal D.Lgs.206/05 e dal D.Lgs.70/03 che disciplina il commercio elettronico. Rimane da precisare che, nonostante l’intervenuto recesso, il consumatore deve farsi carico (a proprie spese, se non diversamente pattuito) della riconsegna del bene ovvero (ipotesi di gran lunga preferibile nell’acquisto di opere d’arte) di custodirlo mettendolo a disposizione del venditore previo assenso a tale forma di restituzione. Vi è comunque da precisare che, decorso il termine, rimane comunque possibile la risoluzione del contratto nell’ipotesi in cui il bene si riveli diverso (perché non autentico, rimaneggiato o modificato, di data diversa da quella promessa o privo del certificato di autenticità) da quello promesso dal venditore».
N.M. Quando si parla di acquisto online di opere d’arte non si può non pensare alle aste che si tengono sul web e che, nel caso di E-Bay, espongono l’utente a rischi piuttosto elevati, visto che responsabile dell’oggetto messo in vendita non è la società ma un ignoto privato. Chi compra arte su queste piattaforme come si può difendere?
F.F.: «Per risponderti devo anzitutto fare una premessa, e subito dopo una importante distinzione. Come giustamente hai accennato, E-Bay o altre piattaforme similari altro non sono se non “hosting providers” che si limitano a mettere a disposizione uno spazio tecnologico e virtuale agli utenti che intendono vendere i propri beni. Questi soggetti non intervengono in alcun modo nella indizione o nella gestione delle operazioni di gara. A queste società, pertanto, non potrà essere rivolta alcuna doglianza nell’ipotesi di acquisto di bene non conforme, né diretta alcuna iniziativa di recesso. La distinzione cui accennavo, di contro, riguarda l’identità del soggetto venditore. La piattaforma E-Bay, oltre che da venditori professionisti, è largamente utilizzata da privati che vi ricorrono per cedere beni personali. In tale caso, però, la natura non professionale e non continuativa dell’attività di vendita non pone in essere un’asta vera e propria ma solo un contratto di compravendita a formazione progressiva. La natura del negozio giuridico concluso ma soprattutto la qualifica di “privati” non imprenditori inibisce l’applicazione della disciplina di tutela del consumatore. Gli acquisti tra privati, invero, non contemplano in nessun caso il diritto di recesso, a meno che questo non sia stato convenzionalmente pattuito».
N.M: E nelle aste tenute da case d’asta ufficiali? In questo caso le regole del gioco sembrerebbero più chiare ma i rischi ci sono sempre. Come ci tutela il nostro ordinamento?
F.F.: «L’art.51 del Codice del Consumo definisce il campo di applicazione dei contratti a distanza, escludendo espressamente quelli conclusi in occasione di una vendita all’asta. In realtà, le aste cui si riferisce la norma sono quelle organizzate dai proprietari, sicché non vi rientrano le vendite che meglio conosciamo con questa denominazione, ossia le aste organizzate dagli intermediari (le case d’asta appunto). Per questo tipo di aste la limitazione non vale, dal momento che in quelle i soggetti gestori non sono i proprietari dei lotti, ma semplici mandatari che si limitano a condurre la vendita per conto del proprietario. A questo punto, si riproporrebbe il problema di individuare il soggetto effettivo proprietario del bene, per chiarire se sia un privato ovvero un commerciante professionista. Vi è inoltre da chiarire che, nelle classiche aste organizzate fisicamente in sede ma raggiungibili “online”, i clienti hanno sempre la possibilità concreta di visitare le opere durante la loro esposizione e di ricevere dettagliati “condition report” che rendono tali transazioni (cui spesso io stesso ricorro nella mia veste di modesto collezionista) come semplici ed ordinari contratti di vendita a conclusione differita».
N.M.: Un’ultima domanda. Il mercato elettronico abbatte i confini nazionali e, nell’era della globalizzazione dei mercati, comprare arte online vuol dire, molto spesso, comprarla in un altro paese. Il nostro ordinamento come ci tutela in questo caso?
F.F.: «La Direttiva Europea 2011/82/UE sui Diritti dei Consumatori dell’ottobre 2011 propone di dare regolamentazione uniforme ai contratti conclusi “a distanza” ed online all’interno della Comunità Europea. I paesi dovranno invero adeguarsi, entro quest’anno, alle nuove previsioni che ampliano il termine per il recesso (anche per le aste online) portandolo a 14 giorni e prevedendo che entro lo stesso termine il venditore debba rifondere il prezzo maggiorato delle spese di consegna già sopportate dall’acquirente».
Francesco Fabris, avvocato, è membro della Commissione per il Diritto dell’Arte del network internazionale BusinessJus, nato da un’idea torinese e sviluppatosi attraverso la collaborazione di professionisti italiani e stranieri, si pone come un punto di osservazione dei cambiamenti che regolano il mondo dell’impresa nei suoi differenti aspetti, nonché come luogo d’incontro per analizzare le necessità che ne derivano, attraverso un approccio tecnico ma al tempo stesso pratico.
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