Quante volte si è sentita dire la frase autoreferenziale “le analisi sono inutili, quello che conta è la fama dell’esperto”? Questo atteggiamento poco scientifico non solo non tiene conto delle opportunità fornite dalle analisi tecniche sui dipinti, ma ci allontana da quello che potrebbe essere il prossimo passo nello studio dell’opera dei Maestri, sia antichi che moderni, cioè uno studio comparativo del non visibile, di quello che solo 50 anni fa nessuno poteva immaginare si potesse esaminare così chiaramente. Sto parlando dei disegni o delle pennellate di preparazione dell’opera, delle modalità di realizzazione della stessa, dell’eventuale presenza griglie di riporto e di tante altre informazioni che incrociate ci aiutano ad entrare in un secondo livello, una sorta di storia dell’arte 2.0 che però incontra forti resistenze, forse più da parte del mondo commerciale (case d’asta, galleristi, merchant) che da quello accademico.
Questa problematica genera una sorta di stallo in cui le opere vengono periziate in modo spesso superficiale e senza la stesura di un elaborato tecnico che aiuti a comprendere le ragioni del perito di turno. Dei familiari dell’artista deceduto che controfirmano perizie grazie alla funesta legge 633 del 1941, in cui viene confuso il diritto d’autore e la sua ovvia ereditarietà con il diritto di perizia, parlerò in un altro articolo. Ma al di là di questa breve premessa, è comunque certo che negli ultimi 20 anni le analisi sono diventate parte imprescindibile degli elaborati peritali correttamente eseguiti sui dipinti ed una inesauribile fonte di informazioni sulle tecniche usate dagli artisti di tutti i tempi. In questo articolo cercherò di esaminare quali sono queste analisi, quali di esse portano risultati utili in campo peritale, il modo in cui i risultati di queste posso essere incrociati e quali informazioni è lecito aspettarsi e quali no. Ovviamente i risultati di queste analisi vanno condivise con tutti gli esperti che formano un’eventuale commissione che firmerà la perizia, in particolare con lo storico dell’arte.
Per cominciare…
E’ di fondamentale importanza eseguire sulle opere d’arte analisi scientifiche che avvalorino o confutino le ipotesi storico-artistiche. La prassi odierna è quella di eseguire analisi non distruttive di tipo ottico (AOND) che possano dare informazioni sulla tecnica e sui segni di invecchiamento presenti, su eventuali tentativi di falsificazione, sullo stato di conservazione dell’opera, senza però danneggiare l’opera stessa, cioè senza bisogno del prelievo di campioni. Questo fatto ci permette di poter approfondire i nostri studi, ripetendo alcune analisi anche una seconda volta, senza temere di danneggiare irreversibilmente l’opera. Altro vantaggio è che le analisi possono quasi sempre essere eseguite grazie ad un laboratorio portatile, quindi senza che ci sia bisogno di movimentare l’opera, con ovvia riduzione del rischio di danneggiamento della stessa, ma anche con minori problematiche assicurative.
Le Analisi Ottiche non distruttive
Microfotografia digitale
La microfotografia digitale può dare informazioni sull’invecchiamento delle superfici, sulla presenza di eventuali manomissioni, sulla cronologia degli strati pittorici e sulla granulometria dei pigmenti. È inoltre importantissima nella ricerca di falsificazioni in presenza di firme o di elementi grafici quali date o scritte.
Microscopia digitale
La microscopia digitale può dare informazioni sulla stratificazione dei livelli pittorici (firme posticce e ritocchi) specialmente nelle aree dove l’imprimitura e il colore risultano essere caduti, sulla presenza di eventuali falsificazioni, sull’invecchiamento del colore (stato della crettatura) e sulla granulometria dei pigmenti.
Esame alla luce ultravioletta
Grazie alla luce emessa dalle cosiddette lampade di Wood è possibile investire le superfici delle opere d’arte con una luce differente da quella presente nello spettro del visibile. La luce riflessa nello spettro del visibile dai differenti materiali ci permette di distinguere eventuali ritocchi, incollaggi e manomissioni, oltre a osservare la presenza di vernici ossidate o di manomissioni di firme. Questa possibilità ci è data dal fatto che ogni materiale risponde agli UV in modo differente, quindi se, ad esempio, io ho usato bianco di titanio per reintegrare una mancanza di colore originariamente steso a bianco di zinco, ottenendo un risultato cromaticamente perfetto alla luce solare, la diversità dei pigmenti sarà invece palesata dalla loro differente reazione di questi quando investiti dagli UV.
Nei casi in cui come oggetto di analisi si abbia un dipinto su carta bianca del Novencento, è possibile vedere la fluorescenza degli sbiancanti ottici usati dall’industria cartaria generalmente dopo il 1955 e quindi in qualche modo datare la carta anteriormente o posteriormente all’introduzione massiva di questa innovazione tecnologica.
Riflettografia infrarossa
Questa analisi sfrutta la capacità delle frequenze dell’infrarosso vicino al visibile di penetrare gli strati pittorici di un dipinto. Il risultato di questa luce “non visibile” è ora apprezzabile con un monitor nelle gradazioni del grigio (mentre prima dell’avvento della digitalizzazione della fotografia, si usavano pellicole speciali sensibili al vicino IR che poi venivano sviluppate e stampate come fotografie in bianco e nero). La lettura del riflesso nel visibile di un fascio di luce infrarossa può dare informazioni sulla presenza di eventuali disegni preparatori, di ripensamenti dell’artista o di eventuali strati pittorici preesistenti.
Fotografia a luce radente
Questo tipo di fotografia, che utilizza come illuminatore del soggetto un fascio di luce solare emesso lateralmente con un angolo di circa 30° rispetto al soggetto, permette di controllare lo stato superficiale di un dipinto e di vedere eventuali discontinuità della pellicola pittorica, quali sollevamenti, bolle, cadute o distacchi.
Fotografia a luce trasmessa
Questo tipo di fotografia che utilizza un fascio di luce opposto rispetto al soggetto, quindi frapponendo il dipinto tra la macchina fotografica e la fonte di luce. Nei dipinti con tela e imprimitura molto sottili, consente una sorta di radiografia, cioè di osservare il dipinto attraverso i suoi strati compositivi. Teniamo però presente che nelle zone dove è presente il telaio la luce non può passare. Questa fotografia può mostrare disegni preparatori, la stratificazione della pittura; inoltre anche in dipinti con imprimitura spessa, questa fotografia ci permette di analizzare lo stato di conservazione dell’opera, perché mette in risalto le zone ove il colore è caduto lasciando la tela nuda.
Le analisi poco utili
Analisi chimica del pigmento
Anche se negli ultimi anni la tecnologia permette grazie alla lettura di raggi riflessi (ad esempio raggi x), non è difficile imbattersi in dipinti sottoposti alla campionatura distruttiva di particole della superficie pittorica con la perdita irreversibile di parte di essa. Questa operazione, oltre ad essere ormai obsoleta ed evitabile grazie alla nuove tecnologie di cui sopra, in realtà porta informazioni sul tipo di pigmento usato per l’esecuzione dell’opera, davvero poco utili alla scoperta di indizi di una eventuale falsificazione. Ad esempio, qualsiasi falsario di buon livello sa che non deve utilizzare il bianco di titanio se sta falsificando un dipinto ottocentesco, visto che l’utilizzo di questo pigmento è cominciato nel primo ventennio del XX secolo.
Radiografia a raggi x (raggi molli)
Non tanto l’utilità ma quanto la difficoltà di eseguire correttamente una radiografia ad un dipinto, rende questa analisi costosa e da utilizzare solo quale ultima spiaggia, per la lettura di eventuali ridipinture (spesso, ma bisogna ammettere non sempre, leggibili con una riflettografia I/R) o di strati sottostanti il dipinto visibile ad occhio nudo. Anche se l’intensità è molto bassa (circa quella di una mammografia) e la lunghezza dell’esposizione ai raggi X è brevissima, la radiografia richiede che l’operatore agisca con tutti i crismi di una operazione potenzialmente pericolosa, quindi generalmente le radiografie vengono eseguite in laboratori specializzati in cui spesso la difficoltà è traslare l’opera se di grandi dimensioni.
L’analisi più importante
Ma cosa dobbiamo esigere dal perito che effettua le analisi sulla nostra opera d’arte? Dovremo pretendere una completa relazione tecnica con fotografie ben leggibili e spiegazioni esaurienti di quanto viene affermato nella relazione stessa; ma la cosa più importante è l’incrocio dei dati che provengono dalle risposte alle varie analisi ad evitare che la relazione tecnica sia un mero elenco delle operazioni effettuate. Dobbiamo avere la certezza che si siano ricercate delle risposte alle nostre domande riguardo l’autenticità dell’opera sottoposta ad analisi o quanto meno avere un nullaosta nel caso non si incontri nulla che faccia pensare ad una falsificazione o ad una mancata corrispondenza tra il presunto autore e l’opera prodotta.
In conclusione il perito che si occupa delle analisi ottiche non distruttive deve lavorare per produrre delle risposte e proporle al gruppo di periti che formano con lui un gruppo di lavoro in cui ognuno deve mettere la propria esperienza al servizio del cliente con tutta la collaborazione possibile finalizzata alla generazione di un elaborato peritale completo ed esaustivo.