Dopo aver accarezzato il sogno del Leone d’Oro come miglior Partecipazione Nazionale nell’edizione 2017 della Biennale, curata dall’attuale Direttrice dell’Esposizione Internazionale Cecilia Alemani, il Padiglione Italia torna nuovamente a brillare come una delle più buone esposizioni degli ultimi decenni.
Essere a Venezia per i tre giorni dell’inaugurazione e sentire i lusinghieri commenti che addetti ai lavori di tutti i paesi ci rivolgono non può che riempirci d’orgoglio e contribuisce a migliorare l’idea che si ha all’estero dell’Italia.
Quello di quest’anno è un Padiglione che regala forti emozioni, coinvolgendo il visitatore e facendo riaffiorare ricordi ed esperienze intime e profonde.
Non me ne vorranno quindi il curatore Eugenio Viola e l’artista Gian Maria Tosatti, cui vanno il mio plauso e la mia riconoscenza per quanto realizzato, se il risultato della mia intima “camminata iniziatica” all’interno del nostro Padiglione Italia si allontanerà in parte, e/o in toto, dall’idea originaria alla base del loro progetto.
Ciò prova, d’altronde, la validità e attualità di Storia della Notte e Destino delle Comete – questo il titolo dell’opera di Tosatti -, del suo essere in grado di soddisfare i requisiti intrinseci che l’arte deve soddisfare, in altre parole emozionare, stupire, ma soprattutto di aprire ad una riflessione interiore che ci porta a rileggere in chiave critica il passato, ma al tempo stesso ci dà una visione proiettata sul futuro più o meno anteriore.
Nel silenzio, nell’immobilismo che si respira già dall’ingresso, si è proiettati in un altro tempo, in altri contesti, per me al 9 maggio 1978. Radio e televisioni hanno appena comunicato a reti unificate del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro all’interno di una Renault quattro rossa parcheggiata in via Caetani esattamente a metà strada tra la sede del PCI e della DC.
La notizia si diffonde e immediatamente Cgil-Cisl-Uil proclamano lo sciopero generale. Migliaia di lavoratori, studenti e cittadini si riversano nelle piazze, ma questa volta al loro fianco ci sono anche quelli che erano chiamati “i nemici del popolo”, ovvero i datori di lavoro.
Il Paese però si compatta, al posto della rivoluzione, dell’insurrezione auspicata dalle bierre, la quasi unanimità degli italiani – tra i quali, dopo il tragico epilogo del sequestro, anche tanti di coloro che fino ad allora erano stati simpatizzanti dei brigatisti – si stringe accanto a quell’uomo, che Pietro di Donato definirà nel titolo del suo libro “Cristo tra i brigatisti”, ritrovando uno spirito di unità nazionale che sembrava irrimediabilmente perduto e che sarà alla base della fine dell’esperienza della lotta armata.
Torniamo in quelle “fabbriche”, il silenzio regna sovrano e il vuoto ci permette di muoverci liberamente tra quei macchinari e in quei luoghi che ci sarebbero altrimenti interdetti.
Potendo entrare nell’appartamento al piano superiore notiamo che le condizioni del datore di lavoro, all’epoca ancora chiamato padrone, e dei suoi dipendenti non sono poi così diverse. La sobrietà degli ambienti, la mancanza di arredi e suppellettili di lusso dimostra quanto esso sia non un “nemico del popolo”, ma quanto in realtà sia il primo, come tanti bravi imprenditori di ieri come oggi, ad iniziare il lavoro la mattina e a lasciare gli ambienti di lavoro al termine della giornata, magari quando operai e operaie sono già usciti dallo stabilimento.
Certamente non tutto il capitalismo è buono, alcuni datori di lavoro hanno trattato o trattano i loro dipendenti come la regola, intesa come la Carta Costituzionale vuole, ma nel capitalismo del sistema produttivo italiano fatto di tante piccole e medie imprese il lavoratore è e deve essere inteso come il miglior alleato di chi richiede e necessità della sua mano d’opera e specializzazione.
Questo Padiglione ci ricorda che dobbiamo essere vigili, attenti a non ricadere in pregiudiziali contrapposizioni tra lavoratore e datore di lavoro. E qui vengo “all’attenzione” cui ci richiama e costringe la banchina che al buio “pericolosamente” ci porta in mezzo all’acqua. Dobbiamo restare vigili verso le sirene di pericolose derive fondamentaliste che potrebbero riportare in Italia a una contrapposizione sociale che, come sempre avviene, farà particolarmente male a quanti quotidianamente s’impegnano a lasciare ai propri figli, nipoti e/o più semplicemente ai giovani un futuro migliore.
Unica nota stonata della visita è una particolare sensazione di essere osservati, vigilati dal personale di sala, seppur con estrema educazione, durante tutto l’arco della visita. Ma anche questo però ci fa tornare al clima respirato nei cinquantacinque giorni del sequestro Moro, in particolare a quel 16 marzo, e concludo questa mia nota rendendo omaggio ai cinque eroi della scorta trucidati in via Fani, raccontando un aneddoto dei famigliari dell’agente Giulio Rivera.
Partiti immediatamente alla volta di Roma con la speranza di poter riabbracciare il loro caro, erano stati più volte fermati nel tragitto. E, come raccontato nel libro “Gli eroi di via Fani” di Filippo Boni, ebbero notizia della morte del figlio da un Agente della Guardia di Finanza durante il controllo dei documenti in uno di quei tanti posti di blocco.