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Collezioni Cattelani: arte contemporanea nel DNA

del

A inizio estate ho ricevuto una telefonata. Mi hanno raccontato i dettagli della prossima mostra Intra moenia. Collezioni Cattelani, promossa dalla Fondazione Campori e dal Comune di Soliera, in quel di Modena, curata da Lorenzo Respi di All Around Art, sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e con il supporto della Diocesi di Carpi. L’esposizione aprirà il prossimo 6 ottobre nel Castello Campori di Soliera, recentemente restaurato in prospettiva di un’apertura verso l’arte contemporanea.

Tiberio Cattelani seduto sull’opera Senza titolo (1995) di Milo Sacchi. L’opera è stata realizzata e donata dall’artista all’amico Tiberio in occasione del suo matrimonio. Foto Fabio Fantini.
Tiberio Cattelani seduto sull’opera Senza titolo (1995) di Milo Sacchi. L’opera è stata realizzata e donata dall’artista all’amico Tiberio in occasione del suo matrimonio. Foto Fabio Fantini.

Perché vi racconto tutto questo? Me lo sono chiesta anch’io, durante quella telefonata di inizio estate. Quando mi hanno raccontato la storia di collezionismo su cui fonda l’intera mostra, finalmente ho capito e sono corsa a intervistare Tiberio Cattelani, in rappresentanza dei fratelli Fabio, Laura, Annalisa e Annarita e della madre Afra, eredi e prosecutori di quella che fu la collezione iniziata dal padre Carlo Cattelani.

Alice Traforti: Le Collezioni Cattelani prendono vita da un corposo nucleo di opere della Collezione Cattelani, vissuta e costruita dai tuoi genitori, centrata sul rapporto tra Arte e Religione interpretato da importanti artisti del secolo scorso. Vuoi raccontarci della nascita e dello sviluppo della Collezione di Afra e Carlo Cattelani?

Tiberio Cattelani: «Afra e Carlo non erano persone particolarmente istruite, però avevano una grande spiritualità e un forte desiderio di sapere, di vivere e di conoscere. Questa curiosità li ha spinti, alla fine degli anni Sessanta, a intraprendere diversi viaggi negli Stati Uniti per conoscere il cosiddetto “sogno americano”, da cui Carlo era molto affascinato.

Lì in maniera miracolosa, senza neanche conoscere la lingua, ha incontrato galleristi, critici e artisti come Barnett Newman, Mark Rothko, Joseph Albers, Helen Frankenthaler, Ellsworth Kelly, Morris Louis, Frank Stella, dei quali ha iniziato a collezionare opere.

Sol LeWitt, Complex form, 1988, legno laccato, cm 90x60x60. Foto Fabio Fantini
Sol LeWitt, Complex form, 1988, legno laccato, cm 90x60x60. Foto Fabio Fantini

In esse, e in generale nell’Espressionismo americano, Carlo ha intravisto una forte ricerca della spiritualità, la stessa che si poteva ritrovare in un salmo o in una scrittura sacra.

Questa esperienza è stata tanto forte che ha fatto nascere in lui la necessità di conoscere sempre nuovi artisti, collezionare opere d’arte e commissionarne lui stesso.

Tuttavia il suo non è stato un percorso lineare: è passato dall’Espressionismo americano all’arte Minimal, passando dall’Arte povera a quella Concettuale, dal Fluxus alla Figurazione.

Giuseppe Chiari, An den Frühling, senza data, tecnica mista su spartito musicale, cm 100x72. Foto Paolo Pugnaghi
Giuseppe Chiari, An den Frühling, senza data, tecnica mista su spartito musicale, cm 100×72. Foto Paolo Pugnaghi

L’interesse primario di Carlo non risiedeva nel collezionare le opere in sé, ma nell’aiuto che esse potevano fornire per interpretare il mondo: ricercava la bellezza, “la bellezza è Dio – sosteneva – la filocalia che salverà il mondo. L’arte vera è immortale”.

Tutto ciò ha comportato “un’assoluta sua indipendenza dai dettami del mercato, dalle mode lanciate dalle riviste, e dall’estetica imperante nei musei e nelle mostre d’avanguardia”, scrisse Angela Vettese nel volume “Nuove vie dell’iconografia sacra nella raccolta Cattelani”».

A.T.: Ricordi com’era vivere l’arte in famiglia? Mi interesserebbe conoscere quale percezione ne avevate voi figli, più o meno consapevoli e interessati, come si vive l’arte contemporanea da figlio di un collezionista che ha dedicato la propria esistenza a raccogliere testimonianze artistiche.

T.C.: «Il vivere strettamente a contatto con l’arte è per me una situazione molto naturale, perché è sempre stato così da quando ho dei ricordi. Abbiamo ospitato, per periodi anche lunghi, artisti con i quali ci confrontavamo anche noi bambini nella quotidianità, anticipando quelle che ora chiamano residenze d’artista. Ricordo che alla nostra tavola erano sempre presenti artisti, critici, collezionisti, intellettuali insieme a noi ragazzi, a ex carcerati, zingari e persone molto semplici. L’idea dei miei genitori era quella della condivisione nella convivialità».

La famiglia Cattelani riunita in una foto di gruppo nel giardino della casa di Baggiovara (MO). Foto Archivio Famiglia Cattelani
La famiglia Cattelani riunita in una foto di gruppo nel giardino della casa di Baggiovara (MO). Foto Archivio Famiglia Cattelani

A.T.: Com’è stato il passaggio dalla Collezione alle Collezioni Cattelani? Decidere di continuare sulla strada del collezionismo non era una scelta così scontata.

T.C.: «Tutto quello che ho visto, imparato e conosciuto dell’arte attraverso mio padre mi ha procurato degli stimoli e delle emozioni uniche che non ho ritrovato in nessuna altra attività. È stato perciò necessario, in qualche modo, scegliere di continuare a collezionare arte. Il piacere del collezionare, da Carlo a noi figli, ci ha contagiato in modo naturale, spontaneo, ed è ancora animato dalla volontà di ciascuno di noi di analizzare e comprendere il mondo che ci circonda attraverso l’interpretazione che viene data dagli artisti. Come diceva Robert Filliou: “l’arte è fatta per rendere la vita più interessante dell’arte”. Sono nate così le nostre collezioni di famiglia».

A.T.: Le Collezioni Cattelani si sono guadagnate il titolo di “collezione universale” che ben rispecchia la sua peculiarità: rappresentare il panorama contemporaneo attraverso il gusto personale di ciascun componente del nucleo famigliare.  Secondo te, esistono delle direzioni rintracciabili, dei legami tra i tratti distintivi delle vostre personalità e il rispettivo modo di collezionare?

T.C.: «Forse la ricerca della bellezza, così come la sentiva Carlo, è il filo conduttore che lega tutte le nostre collezioni, anche se ognuno di noi l’ha interpretata a modo suo. La bellezza, infatti, è un concetto molto complesso e ampio, che non riguarda semplicemente il gusto personale ma anche, e soprattutto, l’impatto emotivo che suscita in ciascuno di noi. Il bello è quasi spirituale».

Francis Bacon, Second version, Triptych 1944, 1989, litografia a colori su carta, cm 75x56 ciascuno. Foto Paolo Pugnaghi
Francis Bacon, Second version, Triptych 1944, 1989, litografia a colori su carta, cm 75×56 ciascuno. Foto Paolo Pugnaghi

A.T.: Dal prossimo 6 ottobre le Collezioni Cattelani saranno visitabili in una grande mostra che si concentra proprio sul passaggio generazionale, a cura di Lorenzo Respi, presso il Castello Campori di Soliera (MO).  Vuoi raccontarci un po’ di questa mostra e del valore che assume per voi eredi?

T.C.: «La mostra in programma a Castello Campori di Soliera è per noi un momento molto importante, perché per la prima volta un curatore ci ha chiesto di presentare le nostre collezioni davvero secondo un’ottica “universale”, ovvero coinvolgendo tutti noi eredi nei prestiti e nella narrazione delle vicende collezionistiche. Questa nuova e inedita chiave di lettura sulle collezioni di famiglia ci ha stimolato a interrogarci sul come e sul perché ancora oggi continuiamo a collezionare sull’esempio di nostro padre Carlo.

Penso che questo sia il più grande merito di Lorenzo Respi che con il suo meticoloso lavoro ha costretto ciascuno di noi a mettersi in gioco in prima persona per raccontare la propria personale visione dell’arte.

Carsten Höller, Senza titolo, 1997, stampa su carta fotografica, cm 65x50. Foto Paolo Pugnaghi
Carsten Höller, Senza titolo, 1997, stampa su carta fotografica, cm 65×50. Foto Paolo Pugnaghi

A mio parere, anche il titolo che ha scelto per la mostra – Intra moenia. Collezioni Cattelani – è significativo in quanto lega la storia del castello solierese all’intimità delle nostre scelte sempre in un’ottica di “universalità”. Lorenzo Respi non ci ha solo guidato nella scelta delle opere, ma ha costruito anche un percorso espositivo suddiviso per nuclei tematici lungo il quale le opere si confrontano dialetticamente mantenendo viva l’idea di collezione “universale” tanto cara a nostro padre.

Ad esempio, all’ingresso della mostra il visitatore verrà accolto da una quadreria composta da decine di piccoli lavori che gli artisti hanno dedicato alla nostra famiglia, ricordi personali di frequentazioni e amicizie durate nel tempo.

Un ultimo accenno merita sicuramente la sala dedicata ai più piccoli, dove le opere saranno allestite ad altezza di bambino e saranno accompagnate da didascalie videoraccontate da una mia nipote: un modo intelligente e simpatico per coinvolgere noi eredi e le generazioni future.

Hermann Nitsch, Omaggio a Don Giuseppe Puglisi, 1993, casula e sangue, cm 190x70 circa. Foto Paolo Pugnaghi
Hermann Nitsch, Omaggio a Don Giuseppe Puglisi, 1993, casula e sangue, cm 190×70 circa. Foto Paolo Pugnaghi

La mostra, infine, sarà accompagnata da un catalogo con le vedute delle sale allestite, oltre alle riproduzioni delle opere esposte, arricchito da contenuti multimediali extra che racconteranno aneddoti su alcune opere e sul backstage dell’allestimento.

Intra moenia è, quindi, per la nostra famiglia un’esperienza di vita condivisa, vissuta dal punto di vista critico, personale e al tempo stesso “universale” di Lorenzo Respi, che l’ha curata cercando di metterne in evidenza la coralità».

A.T.: Infine, quella che è ormai diventata una domanda di routine: che cosa pensi dell’arte contemporanea oggi?

T.C.: «Come ha scritto Eliseo Mattiacci nel 1971: “L’arte è una nevrosi che va curata clinicamente. L’importante è trovare il vaccino adatto”».

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Questa è la storia di un passaggio, di un’evoluzione, di una matrice contemporanea impressa naturalmente nel DNA di un’intera famiglia, di generazione in generazione, semplicemente accogliendo l’arte a braccia aperte nella quotidianità.

Un esempio straordinario di come l’arte possa essere bellezza, spiritualità, condivisione e un utile strumento di comprensione del mondo e di sé stessi.

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