Nonostante il periodo buio che il nostro paese sta vivendo, l’Italia rimane un Brand artistico-culturale che non conosce crisi. Una solidità per la quale dobbiamo ringraziare i mecenati del passato che hanno permesso la nascita dei tanti capolavori che popolano il nostro Paese ma che la politica dissennata degli ultimi decenni sta rischiando di far crollare. E questo nonostante oggi più che mai parlare di cultura in Italia voglia dire anche parlare di economia, di sviluppo e di lavoro, temi che dovrebbero stare molto a cuore ai nostri governanti. Ma quanto vale la cultura nel nostro Paese? E qual è il suo stato di salute?
L’ultimo numero di I.T.A.L.I.A. – Geografie del nuovo made in Italy, realizzato da Fondazione Symbola con l’appoggio dei Unioncamere e Fondazione Edison, cerca di fare il punto sullo stato dell’arte di quello che, di fatto, è uno dei settori produttivi a cui il nostro Paese potrebbe agganciarsi per uscire dalla cristi economica in atto. Con circa 460 mila aziende, infatti, il sistema produttivo culturale italiano rappresenta il 7.5% delle attività economiche dell’Italia. Una massa ingente che si può suddividere nei seguenti sub-comparti: 310 mila industrie creative (67.7% del totale), in cui fanno la parte del leone architettura e artigianato; 117 mila industrie culturali, principalmente afferenti al settore editoriale e dell’elettronica (libri, stampa, videogiochi, software ecc.). A queste vanno aggiunte 30 mila imprese del settore performing arts e arti visive e, fanalino di coda, circa un migliaio di imprese che si occupano del patrimonio artistico e culturale.
Questo sistema produttivo ha generato, nel 2012, un valore aggiunto pari a 75.5 miliardi di euro, pari al 5.4% del totale dell’economia e inferiore al 2011 di solo uno 0.5%: dato che dimostra la capacità di tenuta di questo comparto rispetto ad altri settori della nostra economia. Come confermano anche i dati relativi all’occupazione: le imprese culturali in Italia nel 2012 hanno dato lavoro a quasi 1.4 milioni di persone segnando un +0.5% rispetto al dato 2011.
Una capacità di reazione anticiclica che diventa ancor più evidente se alla componente privata si aggiunge anche il contributo della Pubblica Amministrazione e del non-profit: visto nel suo complesso il settore produttivo culturale arriva, in questo modo, a 80.8 miliardi di valore aggiunto, oltre 1.5 milioni di occupati e un peso sull’economia del paese pari al 5.8% sul fronte del valore e del 6.1% su quello occupazionale. In un Paese che, proprio in questi giorni, ha segnato un nuovo record nel campo della disoccupazione (12%) direi che non è male.
Come se non bastasse, il sistema produttivo culturale italiano va fortissimo anche sui mercati internazionali, con un export che, dal 1992 ad oggi, è cresciuto in maniera costante fino a triplicarsi e, oggi, le sue transazioni verso l’estero ammontano a 39.4 miliardi di euro e il settore può vantare un saldo commerciale positivo che nel 2012 ha segnato il record di 22.7 miliardi.
Ma parlare di settore culturale in Italia vuol anche dire parlare di un settore a cui si deve circa un terzo della spesa dei turisti che scelgono il Bel Paese come meta delle proprie vacanze e un comparto in cui ogni euro investito ne genera circa 2. Insomma, che lo si abbini con industria, turismo o sviluppo, il termine cultura sembra essere un asset strategico in cui il nostri governanti, prima o poi, dovranno decidersi ad investire. Mentre oggi, ancora una volta, Federculture, in occasione dell’assemblea annuale della cultura, è costretta a rinnovare il suo allarme, sottolineando come l’Italia stia sprofondando in un tunnel e stia rinunciando alla propria vocazione artistica e culturale sulla quale si è fondata l’identità e lo sviluppo della comunità nazionale.
I dati riportati nel Rapporto Annuale Federculture 2013 “Una strategia per la Cultura. Una strategia per il Paese”, d’altronde, parlano chiaro: nel 2012, per la prima volta in un decennio, la spesa per cultura e ricreazione delle famiglie italiane segna un -4,4%; diminuisce dell’11,8% la partecipazione culturale dei cittadini italiani e i musei statali perdono circa il 10% dei visitatori, che passano da 40 a 36 milioni, poco più di quelli entrati nei soli musei londinesi. Allo stesso tempo diminuiscono gli investimenti nel settore: risorse dei Comuni -11%; sponsorizzazioni private – 9,6%. Uno scenario desolante a cui si aggiungono un’ulteriore riduzione del budget del Ministero per i Beni e le Attività culturali, che nel 2013 scende a 1,5 miliardi di euro e il taglio del 32% dei fondi per la tutela nella programmazione ordinaria 2013: nel 2004 ammontavano a 201 milioni di euro oggi a soli 47 milioni di euro.
Una situazione insostenibile per la quale Federculture, confrontandosi con i Ministri Massimo Bray (Beni e delle attività culturali e del turismo) e Enrico Giovannini (Lavoro e Politiche Sociali), chiede rapidamente una soluzione presentando al Governo una serie di proposte concrete: sostenere i consumi delle famiglie grazie alla detraibilità delle spese per la cultura; promuovere il lavoro giovanile con un piano per l’occupazione culturale; rilanciare la produzione e la gestione cancellando le norme che soffocano l’autonomia e la capacità di programmazione di enti e aziende.
Nella speranza di un risveglio di coscienza da parte dei nostri governanti, intanto una prima buona notizia c’è e viene dalla Toscana dove la Giunta Regionale ha recentemente deciso di stanziare 600mila euro per il progetto Toscanaincontemporanea, strumento di intervento e promozione a favore dell’arte contemporanea, che vuole offrire un concreto sostegno ai giovani, siano essi artisti under 35 che studenti, che faranno domanda ai bandi di accesso ai finanziamenti stanziati presentando i loro progetti. E contributi straordinari, si legge nella nota inviata dall’ufficio stampa regionale, sono previsti anche per altri progetti di valorizzazione di arti visive contemporanee. Non resta che augurarci che anche in questo campo il buon giorno si veda dal mattino…
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